“Gli sembra che quella pianura, il giallo dei campi, il verde del foraggio, il marrone della terra disossata sia tutto quello che ha, sia, in fin dei conti, quello che è”.
Fabbrico, piccolo paese della provincia emiliana: è questo il perno delle 176 pagine dell’esordiente Roberto Camurri, mediante il quale la sua scrittura netta e materica, sbroglia la matassa densa delle vite di sei personaggi.
Davide, Valerio, Anela, Luigi, Elena e Mario sembrano simbiotici col paese in cui abitano, fatti quasi della sua stessa inalterabile terra. E si dibattono, come insetti presi nella tela, fra gli accadimenti ordinari e straordinari delle proprie esistenze, mentre intorno a loro niente sembra mutare, se non qualche casetta in costruzione, qualche esercizio commerciale di nuova apertura, a ridosso di ville padronali e chiese che, lasciate in abbandono, vanno lentamente in rovina.
Poche frasi qua e là, precise come i raggi di un laser, a darci la percezione del tempo che trascorre senza compassione. La vita di ogni personaggio è la faccia di un esaedro, in se’ completa, ma al contempo parte di un unico solido geometrico.
Undici capitoli con titoli di essenziali elementi fisici o atmosferici: sassi, polvere, erba, asfalto, buio, neve, ghiaccio, disgelo, cielo, albero, mare, a richiamare una narrazione terrena che si snoda a partire dal bar e dalla piazza del paese.
Sullo sfondo, come un poster appeso da troppi anni, la malinconia in cui si annidano amori, cespugli, morti e alberi, droga e cani. Autobiografia di un paesino, una vera e propria epica di provincia, lo stile letterario di Roberto Camurri, trentaseienne cresciuto, appunto, a Fabbrico, triste e magnifico come tutti i paeselli di provincia, del quale lui è innamorato come io lo sono della mia Fiuminata, verde gioiello dell’Appennino Umbro-marchigiano. Forse li amiamo perché entrambi ne siamo scappati – lui a Parma ed io sul mare – e, quando fuggi, non c’è scampo, dietro qualche inattesa curva a gomito ti aspetta la nostalgia.
La critica ha definito il libro di Roberto Camurri uno degli esordi più sorprendenti del 2018. Scrittura espressiva ed educata, racconto scevro da ogni regionalismo eppure impregnato dal senso di appartenenza ad un luogo lontano una decina di chilometri da tutto, in cui ogni cosa è A misura d’uomo.
Quattro strade per raggiungere Fabbrico, in discesa quando arrivi, in salita quando te ne vai, a rammentarci Eraclito ad ogni passaggio che: “le due vie sono l’una e la medesima”.
Un uomo, come granello fra tanti, è misura di se stesso, come ci aveva già insegnato in un tempo lontanissimo Protagora, questa è la vera cifra di una narrazione in cui i personaggi sono potentemente vitali, anche quando qualcosa di importante lo perdono, o lo lasciano andare nella rassegnazione.
L’essere umano si muove in uno “spazio” piccolo, come piccolo si sente di fronte alle proprie emozioni che eccedono la proporzione cui è abituato.
Il tono, la voce, il punto di vista mutano velocemente e spesso nel corso del racconto, quasi a sfidare il lettore che si confonde fra i salti temporali che, fino ad un certo punto, appaiono lineari: poi il tempo della narrazione e il tempo della storia confliggono. “Questa costruzione aumenta l’impatto emotivo sul lettore. Il motivo è dato dal fatto che in alcuni punti noi lettori sappiamo più di quello che sanno i personaggi. I loro desideri di felicità ci sono noti e ci è noto anche dove tutto questo andrà a finire”: scrive Gianluigi Bodi.
Personaggi aitanti e giovani si trasfigurano in donne e uomini maturi, imbolsiti, accanto agli “oggetti” irrinunciabili del quotidiano: le ciabatte che Davide scorda a casa di Anela, la sedia rossa davanti al bar, i kiwi nel frigo, i corridoi dell’Università.
In lontananza il cielo incendia al tramonto, l’orizzonte lontano, le montagne là in fondo che incorniciano l’ora felice, l’ora di gioia che le convenzioni sociali chiamano tradimento, che gli amanti chiamano amore, che il fato chiama necessità affinché nessuno debba morire col rischio di non essere mai nato. E’ la metafora della strada usata da Eraclito e in seguito da altri pensatori. La strada è intesa come “via personale” che l’uomo deve ricercare e trovare. Se non lo fa non potrà trovare la PROPRIA via e sarà costretto a vagare per una strada che non gli appartiene; la sua vita sarà come quella di chi non è mai nato perché non vive la sua vita.
Una fotografia. La fotografia di un lontano passato che ritrae Valerio accanto ad Anela e Davide. La tiene in mano Ludovica, a quattro anni, mentre gli corre incontro nel giardino di casa: “Papà, papà chi è questo signore nella foto?”.
E Anela appoggiata alla finestra chiusa si era sentita un’intrusa come:
“un vertice che doveva esserci solo per non far perdere consistenza a quella che sarebbe stata una retta infinita, destinata al precipizio”.
Roberto Camurri ci consente con questo libro di osservare da vicino i suoi quadri densi di colore, per chi ama i pasti frugali accompagnati da un bicchiere di Lambrusco e per chi sa che:
“A volte il tempo per le parole è un tempo sbagliato e allora sceglie di tacere aspettando di tornare al mare”.
A misura del proprio essere.