Chi frequenta i festival cinematografici lo sa: entrare in sala è sempre una scommessa. Trattandosi per lo più di anteprime (e la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia su questo è rigorosa), talvolta finite di montare a pochi giorni dalla presentazione in sala, reperire informazioni anche solo sulla trama di un film è molto difficile, quindi per lo più si ignora quello che ci aspetta. Bene, quest’anno Venezia è stata generosa: il livello medio dei film è stato decisamente buono, le stroncature tutto sommato poche.
La quantità di film presentati certo non aiuta il lavoro dell’inviato, costretto dal programma fittissimo a scelte scomode. Non è stato perciò possibile vedere l’attesissimo Suspiria di Luca Guadagnino, per esempio, né First Man di Damien Chazelle, che reduce dal trionfo sognante di La La Land (vedi qui il nostro articolo) ha firmato un film su Neil Armstrong dal taglio realistico. Una fila di tre quarti d’ora non poi ha prodotto una poltrona per What You Gonna Do When The World’s On Fire? di Roberto Minervini, crudo documentario in bianco e nero sui conflitti razziali nel sud degli Stati Uniti. Nonostante ciò, le pellicole da segnalare non mancano!
KLK
Il podio dei film che abbiamo più apprezzato
Roma di Alfonso Cuarón
Girato in un morbido bianco e nero, il ritorno di Cuarón nel nativo Messico è un film dal fascino ipnotico incentrato su Cleo (una misurata Yalitza Aparicio), cameriera e tata di una famiglia benestante nel quartiere Roma di Città del Messico, negli anni ’70. Le vicende personali s’intrecciano con un mondo irrequieto e sottilmente violento. L’ampliarsi progressivo dei confini definiti della grande casa borghese conduce alla natura che, ritratta con la stessa sconvolgente brutalità, bellezza e poesia di una fotografia di Salgado, è capace di scatenare una catarsi. I conflitti creati dall’uomo si ricompongono così grazie agli affetti costruiti giorno dopo giorno e cresciuti nel rispetto. Una regia di mirabile equilibrio, basata su un sapiente alternarsi di stasi e movimenti di camera immersivi, fa di questo film, prodotto da Netflix, un’opera che cresce piano fino ad entrarti dentro.
The Ballad of Buster Scruggs di Joel & Ethan Coen
Nato come miniserie per Netflix poi ricomposta in lungometraggio, l’ultimo film dei fratelli Coen è un concentrato del loro stile posto sullo sfondo iconico del selvaggio West. Sei episodi, sei capitoli di un immaginario libro di racconti, di lunghezza e tono variabili, articolano una riflessione come sempre amara e cinica, appena allietata da un caustico humour nero che strappa inaspettate risate. Si parte con una sorta di musical country in salsa quasi tarantiniana per chiudere con un episodio a metà strada fra un racconto di Poe e l’orizzonte senza speranza di Cormac McCarthy. Nel mezzo, un rapinatore di banche sfortunato (James Franco), un combattivo cercatore d’oro (Tom Waits), un amarissimo brano di crudeltà (Liam Neeson) e una storia d’amore stilizzata tanto delicata quanto tragica (Zoe Kazan).
At Eternity’s Gate di Julian Schnabel
Il pittore torna alla regia per realizzare un poetico e intenso ritratto di Vincent Van Gogh, magistralmente interpretato, o meglio, abitato come una seconda pelle da Willem Dafoe. La camera che segue insistentemente Vincent, quando non si sostituisce ai suoi stessi occhi in coinvolgenti soggettive, replica i gesti febbrili del pennello del maestro olandese. Con un andamento cronologico ma fluttuante, Schnabel scava nel sentire più intimo di Van Gogh senza cedere alla banalizzazione dell’icona di artista tormentato, troppo spesso superficialmente attribuitagli. “Perché dipingi?”: chiedono a Vincent. “Per smettere di pensare.” Il regista, artista egli stesso, sa cosa vuol dire e conosce Van Gogh così bene da sapere che forse queste parole valevano anche per lui, un uomo incantato dalla Natura e in cerca di assoluto, il cui vero dramma è stato di essere in anticipo sui tempi.
French Invasion
Amanda di Mikhaël Hers
Uno zio ventenne e la nipotina si trovano a dover sopravvivere a una perdita dolorosa. Toccante e delicato, è un inno all’umanità che sopravvive grazie agli affetti, al prendersi cura dell’altro, all’aprirsi anche verso chi ci ha fatto del male, perché in una società dove la violenza può mietere vittime in modo casuale e insensato, l’unica speranza è appunto nell’amore e nella semplicità. La piccola protagonista Isaure Multrier ha dato un’interpretazione che è un capolavoro di naturalezza e intensità, ben sostenuta da suo “zio” Vincent Lacoste.
The Sisters Brothers di Jacques Audiard
Un western con lo spessore della cinematografia francese, maestra nell’inscenare i rapporti umani. Il film inizia con spari nel buio e continuerà a rappresentare, non senza ironia, violenza e morte pronte a esplodere dal nulla. Ma in realtà quello che conta sono le relazioni fra gli uomini: i due fratelli del titolo, i bravissimi John C. Reilly e Joaquin Phoenix, e i due amici Jake Gillenhaal e Riz Ahmed. Da un lato la violenza dall’altro l’utopia della fratellanza e della pace: su questi opposti Audiard gira con ritmo bilanciato un film che inizia come film d’inseguimento, continua come film di caccia all’oro e finisce con un anti-climax clamoroso.
Frères ennemis di David Oelhoffen
Un crime teso dove i valori ed i punti di vista non fanno che invertirsi: il poliziotto è il traditore della banlieue da cui proviene, mentre la “famiglia” criminale, che dovrebbe accogliere i suoi “figli”, colpisce alle spalle per un sospetto. Quando ci sono dei soldi in gioco non esistono fratelli né padri ma solo nemici. E le mille finestre dei grattacieli di periferia sono cieche di fronte alla violenza della comunità criminale che riproduce se stessa perché troppo spesso chi dovrebbe combatterla non sa capirne i meccanismi. Ottime prove di Matthias Schoenaerts e Reda Kateb per un film forse non originale, ma che parla della Francia di oggi e delle sue contraddizioni.
Ieri, oggi e domani: presente passato
The Favourite di Yorgos Lanthimos
Il triangolo fra due persone che si contendono i favori di un potente non è certo cosa nuova. Ma se è tutto al femminile allora vuol dire che qualcosa sta veramente cambiando. Non in positivo, forse, ma le questioni di genere non saranno mai veramente superate finché non si comincerà a parlare di individui anziché di uomini e donne. Lanthimos, regista visionario dalle messinscene finemente studiate e smaccatamente grottesche, dirige il formidabile trio Emma Stone, Rachel Weisz e Olivia Colman, la meno nota al grande pubblico ma splendente per umanità e complessità nel rischioso ruolo della pazza regina Anna. Un film non perfetto, forse un po’ banale persino, ma che dimostra la forza autoriale di Lanthimos.
Monrovia, Indiana di Frederick Wiseman
Tra sconfinati campi di granturco e allevamenti intensivi, la placida cittadina di Monrovia, 1400 anime nel cuore degli USA, è un luogo fuori dal tempo. Il decano dei documentaristi Wiseman se ne concede parecchio per darne uno spaccato tanto significativo quanto privo di critiche (ma non di giudizio). Nella loro bolla fatta di saggi scolastici, aste di trattori e innocue riunioni di massoni ultrasessantenni, qui tutti paiono beatamente ignari della realtà circostante. E anzi guardano con sospetto a possibili aumenti di popolazione o all’arrivo di nuove aziende. Nel suo piccolo Monrovia è il polso dell’America di Trump e di tutte le provincie del mondo che non sanno comprendere come l’interconnessione globale non consenta più l’isolamento, vera condanna alla scomparsa.
Gli adattamenti
L’amica geniale di Saverio Costanzo
Attesissima la serie tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, di cui a Venezia sono state presentate fuori concorso la prime due puntate. La serie diretta da Saverio Costanzo, una co-produzione HBO-RAI Fition e TIMvision, ha avuto la Ferrante tra gli sceneggiatori. A interpretare Elena e Lila bambine, sono rispettivamente Elisa Del Genio e Ludovica Nasti, mentre Margherita Mazzucco e Gaia Girace saranno le due protagoniste adolescenti. Più di questo però non posso dire perché a causa della grande affluenza non sono riuscito a vederla. L’appuntamento per gli appassionati è per il 27 novembre quando verrà trasmessa su Raiuno.
La profezia dell’armadillo di Emanuele Scaringi
Un piccolo gioiello, un’opera prima girata con disinvolta libertà e palese fedeltà alla sceneggiatura tratta dalla graphic novel di Zerocalcare (al secolo Michele Rech) e da lui stesso firmata insieme a Oscar Glioti, Valerio Mastrandrea e Pietro Martinelli. Irresistibile mix di ironia, caustico umorismo romano, malinconia e riferimenti pop, il film costituisce un raro esempio di adattamento. Pur concedendosi qualche divergenza dal materiale originale ne mantiene vivo lo spirito più autentico, quello della Rebibbia tanto cara a Zerocalcare. Quartiere dove, come recita il suo famoso murales con il mammut, “ci manca tutto – non ci serve niente”. Azzeccatissimo il cast che con Simone Liberati nei panni del protagonista e Pietro Castellitto in quelli del suo migliore amico Secco ci regala puro brio e sentita naturalezza. Mentre Valerio Aprea anima l’Armadillo, coscienza molto critica di Zero. Memorabile il gustoso (e pieno di saggezza) cameo di Adriano Panatta.