Qualche tempo fa, in un bell’intervento alla radio, il grande artista Emilio Isgrò rivendicava il diritto-dovere degli artisti di osservare la realtà, da una posizione possibilmente defilata, per darne una propria interpretazione che potesse aiutare a comprenderla. Mai come in questo periodo confuso, in cui giorno dopo giorno si susseguono proclami e smentite, fake news e dichiarazioni ambigue e contraddittorie, si avverte la necessità di trovare il proverbiale bandolo della matassa.
Ed ecco che, con il tempismo brutale tipico dell’Arte, Venezia 75, ovvero la 75a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, presenta, in tutte le sue sezioni, uno straordinario ventaglio di interpretazioni della realtà. La cosa più affascinante è che, nella maggior parte dei casi, il presente si specchia attraverso la lente distanziante e quindi più lucida e puntuale del passato. Che sia la corte della regina Anna nell’Inghilterra del ‘700 o il selvaggio West, oppure la Budapest del 1910 o, ancora, un passato recente come gli anni ’70 o i primi anni del 2000, tutto risuona sinistramente con il presente.
E quindi, cosa ci presentano i film proiettati al Lido? Un mondo perennemente in bilico, dove la violenza, appena celata sotto la superficie, è pronta ad esplodere brutale alla prima occasione. Si naviga a vista, giorno dopo giorno. Ci si rallegra, dove possibile, nelle piccole cose, barcamenandosi fra le grottesche assurdità del potere. Un mondo scosso nelle sue stesse fondamenta, per il quale non si prospettano soluzioni e da cui solo con una positiva resilienza – termine che indica la capacità umana di adattarsi al cambiamento – possiamo tutelarci. Tematiche in linea con la scorsa edizione, dunque, ma che questa volta irrompono in modo diretto. Con una maturità crescente, quest’anno la Mostra di Venezia affronta il presente con una chiarezza ancora maggiore, grazie appunto al confronto con la Storia.
“Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente”
Diceva l’’indimenticato Indro Montanelli e la selezione di film presenti in laguna sembra far proprio questo motto, a tutte le latitudini. Che parta da fatti storicamente accertati, come la strage di pacifici manifestanti nel primo ‘800 in Inghilterra ricostruita in Peterloo di Mike Leigh, o da loro interpretazioni romanzesche e fantasiose come The Favourite di Yorgos Lanthimos, un buon film sa sempre che la Storia ha un valore umano e narrativo potente, capace di far risuonare corde inaspettate nello spettatore.
E là dove le riflessioni degli intellettuali sembrano mancare, forse il cinema, la fiction, può centrare il bersaglio.
Non a caso, giunta alla sua 75. edizione la Mostra arriva a ripensare se stessa, guardando alle scorse edizioni dalla 1a alla 74a con una piacevole mostra fotografica nella suggestiva sede del mitico Hotel des Bains. L’imponente struttura, resa indimenticabile da Visconti nel suo Morte a Venezia, è da anni chiusa per una ristrutturazione integrale che dovrebbe trasformarlo in un residence di lusso. Con i lavori attualmente interrotti e lo splendore liberty degli ambienti, impolverato da un’aura di sobria decadenza, l’ex hotel è la sede perfetta per una passeggiata nella storia della Mostra. Con un pizzico di nostalgia e la sensazione fortissima che Venezia sia stata da sempre uno specchio dei tempi e uno spazio per riflessioni di indubbio valore artistico e visionarietà d’avanguardia.
Orson Welles, l’ultimo film inedito
Non per nulla è stata scelta dagli eredi di uno dei più grandi registi di sempre, Orson Welles, per la presentazione del suo ultimo lavoro, un inedito finito di montare con amore e pazienza. Autobiografico e metacinematografico, con una costruzione magmatica che intreccia finzione e realtà, The Other Side of the Wind è la prova che, a 30 anni dalla sua scomparsa, Welles sa ancora stupirci e insegnarci più di una lezione sul cinema.
Una vetrina internazionale con titoli di valore
Insomma, con un alto tasso di star e di film in odore di Oscar, quest’anno Venezia si è confermata come un player internazionale capace di attirare grandi nomi e di costituire una vetrina straordinaria anche per il cinema nostrano, presente con vari titoli di valore.
La decisione di accettare pellicole prodotte da Netflix, produttore ricusato snobisticamente da un festival di Cannes sempre più purista, si è rivelata poi particolarmente interessante, permettendo a premi Oscar come Alfonso Cuarón e i fratelli Coen di presentare in Sala Grande due tra i film più apprezzati in Laguna, rispettivamente Roma e The Ballad of Buster Scruggs.
La vittoria del Leone d’Oro a Roma e del premio per la miglior sceneggiatura a The Ballad of Buster Scruggs si rivestono quindi di un doppio significato, sdoganando finalmente Netflix anche nel circuito festivaliero. Ad essere premiati dalla giuria presieduta da Guillermo del Toro, messicano come Cuarón, sono stati tutti i favoriti della vigilia, quelli che per una volta hanno messo d’accordo sia gli addetti ai lavori che il vasto pubblico.
Così Willem Dafoe, Coppia Volpi come Miglior Attore per il suo strepitoso ritratto di Vincent Van Gogh in At Eternity’s Gate. E così Olivia Colman, che dai successi sul piccolo schermo (The Night Manager e The Crown 3a e 4a stagione) passa trionfalmente al grande schermo e merita la Coppa Volpi come Miglior Attrice per una mirabile regina Anna in The Favourite, dove esplora una gamma sorprendente di stati d’animo, riuscendo in qualche misterioso modo a scansare il ridicolo o il macchiettistico.
Il film di Lanthimos si assicura anche il Leone d’Argento-Gran Premio della Giuria, mentre il Leone d’Argento per la Migliore Regia va al western atipico di Jacques Audiard per The Sisters Brothers.