Ambra bussa alla porta del cottage affittato per l’estate da una famiglia infelice, dicendo che le si è rotta la macchina. In casa ci sono Eve, scrittrice di successo in piena crisi creativa, Michael, professore di letteratura e suo secondo marito, Astrid, dodicenne che riprende le albe con la telecamera e Magnus che a 17 anni non esce più dalla sua stanza, sconvolto dal suicidio di una compagna di classe per cyberbullismo.
La famiglia, oltre che infelice, è sconclusionata al punto che nessuno capisce che è un’estranea. Michael crede che sia venuta a intervistare Eve, mentre Eve crede che sia una studentessa e amante di Michael, i figli non si pongono il problema, perciò Ambra finisce col restare con loro. E tutti si innamorano di lei.
Più che un racconto dei personaggi, sembra di entrare nelle loro teste. Ali Smith entra nelle teste dei suoi personaggi e ci mostra cosa succede dal di dentro.
Entriamo nella testa di Magnus che ha vissuto nel nuovo secolo tre anni su diciassette. Di Astrid che ha dodici anni e che quindi è più nuova del fratello e se ne va in giro a filmare tutto.
“Magnus le ha parlato di come sono diverse le cose nei film rispetto alla vita reale. Nei film c’è sempre un motivo per tutto. Se in un film si vede una stanza vuota te la fanno vedere per un motivo ben preciso. Magnus ha preso una penna e l’ha fatta cadere. Ha detto che se nella vita reale ti cade una penna finisce lì”.
Ma questo è successo quando Magnus ancora parlava, perché ora non parla più. Dopo quel terribile fatto.
“Hanno preso la testa della ragazza. L’hanno messa su un altro corpo. Hanno spedito in giro l’immagine. Poi lei si è ammazzata”.
Da allora lui vorrebbe uscire da sé ed essere altro, un cane ubbidiente, un tasso che vive sotto terra, un animale.
“Invece Magnus si sente pieno di male. Aveva dentro il male prima ancora di rendersene conto. Credeva nella sua luce coerente” mentre “Era cattivo. Era sempre stato cattivo”.
Ora, schiantato dal rimorso, passa il tempo a pensare di essere qualcos’altro.
Quando arriva la voce fuori campo di Magnus sembra di stare in 13, la serie tv. Quella di Magnus e Astrid è una generazione massacrata dalla tecnologia, dai social, dalle foto e da whatsapp. La normale crudeltà adolescenziale viene potenziata con armi di distruzione di massa in modo spesso del tutto inconsapevole. Una bravata non finisce mai lì tra i quattro sbruffoni che l’hanno fatta, ma ha una portata devastatrice enorme.
Entriamo anche nella testa di Michael, il marito di Eve, la mamma di Magnus e Astrid. Il professor Michael Smart rimane folgorato all’arrivo della ragazza:
“Chiedo scusa, sono in ritardo. Io sono Ambra. Mi si è rotta la macchina”.
A tavola Michael fatica a contenere la sua emozione, la sorpresa che gli provoca il solo fatto di essere seduto davanti a lei. Ambra è famelica e bellissima. Il professor Michael Smart che va a letto con tutte le sue allieve e attacca le loro cartoline alla parete della sua stanza all’università, non provava un simile sentimento da quando aveva dodici anni, l’età “dell’intrattabile figlia di Eve”.
Ma lui “non era come un dodicenne di oggi per il quale non c’era nulla di nuovo e tutto era già strasaputo, stradetto, strafatto e postmodernamente rigurgitato su una T-Shirt, no, lui parlava di un dodicenne di un tempo, con la canottiera, che giocava sulla sponda di un fiume o di un lago profondo, che si stendeva fra l’erba alta ad ascoltare il rumore dell’estate, ad assaporare la dolcezza di un fil d’erba in bocca”.
Ali Smith è nata il 24 agosto 1962 a Inverness, in Scozia. Ha scritto cinque raccolte di racconti e nove romanzi, gli ultimi due sono Autunno e Winter (inverno), non ancora pubblicato in Italia. La scrittrice è stata quattro volte finalista al Man Booker Prize, oltre che con Voci fuori campo anche con Hotel World, L’una e l’altra e Autunno.
Ho avuto modo di vederla alla Basilica di Massenzio a Roma due estati fa, nell’ambito del festival Letterature, dove era tra i candidati allo Premio Strega Europeo con L’una e l’altra. Ali Smith è una figura buffa che durante la lettura del suo pezzo ogni tanto cantava.
Quelle che sentiamo qui sono le Voci fuori campo di persone che non vorrebbero essere in sé. (vedi anche qui) Le frasi ripetute danno proprio l’impressione del pensiero che vaga qua e là ma poi torna sempre su certi temi, torna su quello che fa male. Vorrei anche evidenziare l’ottima traduzione di Federica Aceto: credo che non sia un romanzo facile da tradurre.
Riflettevo su questo strano libro e poi improvvisamente ho capito: lei è davvero Mary Poppins. Ambra non è un personaggio ma una funzione narrativa. Si chiama Alhambra come un cinema perché è nata in un cinema. Lei è uscita dal cinema, è una creatura che vive nella fiction, non è reale. L’autrice ha messo tra i personaggi una funzione narrativa che ha le bellissime sembianze di questa fata che incanta tutti.
E come una fata, una Mary Poppins ma più bella e impertinente, una volta assolto il suo compito, scompare senza che gli altri restino attaccati a lei, alla sua immagine, alla nostalgia. Lei dà loro una nuova vita. Dà ad ognuno quello di cui ha bisogno. A Magnus il sesso, a Eve complicità e attenzione, a Michael l’essere ignorato, ad Astrid butta la telecamera giù dal cavalcavia.
Il suo scopo è animare questa famiglia i cui membri versano in cattive condizioni. Lei scombussola le loro vite. Il suo arrivo spariglia tutto. Ma le fate non sono buone nel senso che immaginiamo. Lo sconvolgimento non porta a soluzioni salvifiche, semplicemente fa uscire tutti dallo stallo, dalle sabbie mobili in cui si trovano. Dove andranno a finire dopo, nessuno lo sa.
grazie.
scrive e trasmette il suo pensiero molto bene.
Stef
Gtazie Stefano 🙂