E se riuscissimo a trovare dei sogni che sono già lì, pronti, pronti da gustare, da dosare a nostro piacimento, da vedere e rivedere? Un assortimento intero di sogni, è ciò che ci propone Danilo Eccer con la mostra Dream al Chiostro del Bramante, dove i sogni incontrano la grande arte contemporanea.
Da giovani urliamo “Facci sognare” agli artisti che amiamo.
Quando i sogni non vengono a noi, noi andiamo ai sogni. Viaggiamo, ascoltiamo musica, guardiamo film, leggiamo storie. Cerchiamo delle situazioni che alimentino i nostri sensi, l’anima e la mente. Affastelliamo materia grezza, ingredienti di sogni, momenti unici e irripetibili, arte, desideri, che diventano una parte di noi, entrando in quel profondo, misterioso e disordinato calderone che siamo noi.
E così, lì dentro, si trasformano. Soggetto al capriccio di chissà cosa, tutto interagisce, si mischia, prende delle maschere e dei nomi nuovi, prende delle iniziative, si capovolge, si frulla, macera e alla fine riemerge nel modo più sbalorditivo, oltre ogni immaginazione. È nato un sogno.
Ma se riuscissimo a trovare dei sogni che sono già lì, pronti, pronti da gustare, da dosare a nostro piacimento, da vedere e rivedere, da percorrere insieme a un amico per poi commentarli davanti ad uno spritz? Un assortimento intero di sogni, è ciò che ci propone Danilo Eccer con la mostra Dream al Chiostro del Bramante.
Sono emozionata. Dei sogni tutti per me, che mi si spiegano davanti come una scatola di cioccolatini… da vedere come e quando voglio, in pieno giorno… Non gli ingredienti grezzi dei sogni come il film, il brano musicale, il viaggio, ma autentici sogni pret-à-porter, sogni prêt-à-vivre. Con vita propria. Sfacciati. Pericolosi.
In questa scatola ci sono quattordici sogni…
da gustare entro il 5 maggio 2019. Come in ogni percorso gourmet, ci sarebbe un ordine da seguire. Così il primo ci accoglie all’ingresso: due colossali volti di donna in marmo dell’artista spagnolo Jaume Plensa. Si presentano solenni come due guardiani all’entrata del tempio. E come tutto ciò che vediamo nei nostri sogni, hanno qualcosa di diverso, qualcosa che non va… Varchiamo la soglia e non si torna più indietro.
Di solito le mostre e i musei hanno una guida, commenti, recensioni e biografie. Le evito, casomai leggerò dopo. In fondo, quando mai abbiamo avuto un libretto d’istruzioni per i sogni? Al posto delle recensioni, ci sono delle voci profonde che ci racconteranno delle cose misteriose e in un certo senso inafferrabili. Come in ogni sogno che si rispetti. Quattordici voci di attori e attrici importanti che animano storie e visioni di Ivan Cotroneo. Voci che ci trasmettono la loro interpretazione del sogno, una visione diversa dalla nostra. La loro presenza ci obbliga a confrontarci con ciò che sentiamo dentro.
Percorro ogni tappa con una sorta di riverenza. L’intelletto non deve interferire – i sogni, le voci e le parole che ci stanno dentro devono fare il loro lavoro: stupirci, incantarci e, se necessario, turbarci. Vedo la collina di sabbia di Giovanni Anselmo che, se uno ci dovesse salire sopra, franerebbe… e penso a quei sogni che tutti abbiamo, come quando camminiamo e il terreno frana, impedendoci di spostarci in avanti. Dopo, attraverso la foresta di Mario Merz… quella che prima era la mia casa ora si è trasformata in foresta, ed è rimasta soltanto la tivù.
Senza biografie e spiegazioni, quegli elementi che stanno dietro all’opera d’arte, come gli elementi che stanno dietro ai sogni, rimangono nascosti. Assaggio ogni cioccolatino senza sapere che cosa sia. A volte indovino, spesso no. Spesso vengo travolta e basta. Nell’opera di Bill Viola sento di essere avvolta nell’acqua, come in tanti miei sogni, l’acqua a volte torbida, a volte limpida, sempre profonda. Perché mai dovrei cercare di pensare o di capire, se la sensazione è così coinvolgente?
Mi affaccio in una stanza fatta di sole ombre…
le ombre di Christian Boltanski, e all’improvviso sono in uno di quei sogni dove cerchi i volti ma trovi… Più tardi passa galleggiando un albero ricordandomi che anche io nei sogni galleggio e a volte volo – dove vado? Dove va l’albero fluttuante di Henrik Håkansson? Ma questo pensiero va subito via, perché ora sta muovendosi sul pavimento della sala una creatura oscura ed enorme di Kate McGwire. Ora invece mi appare una stoffa scintillante, leggerissima. Quasi mi rallegro, finché non vedo tutti gli aghi che la compongono. A fianco trovo due figure concave in cera. Guardo meglio, è pietra, colorata e traslucida e penso, magari, la tela di Doris Salcedo è uscita da là? La guardò meglio e cambio idea, come accade nei sogni: la scultura di Anish Kapoor è uno stampo dove potrei adagiarmi, chiuderlo, e adeguarmi alle sue forme.
Perché no?
Nei sogni si può fare ed essere tutto ciò che vogliamo
I sogni sono caratterizzati spesso da stanze, stanze, stanze – e dal nostro passaggio, a volte timoroso, a volte frenetico, attraverso di esse. In una stanza trovo la pioggia-labirinto dorata, che mi avvolge senza bagnarmi, di Tsuyoshi Tane. Quanti sogni ho fatto dove si trovava oro, pietre preziose, ogni ben di dio e me ne riempivo le tasche… ma poi al risveglio, niente. Che ironia! Arriviamo liberi e indifesi ai sogni, e soltanto così possiamo sperare di uscirne arricchiti… Vado avanti. Trovo un uomo che dorme sotto le stelle. Chissà se l’uomo di Anselm Kieffer, al risveglio, nelle tasche troverà un po’ di polvere?
Attraverso altre stanze. Battiti di luce, un viaggio nel buio costellato di numeri infiniti quanto le stelle, enigmatici, magnetici. Forse sono coordinate. Ce li propone Ryoji Ikeda. Poi entro in un’altra stanza che però inizia ad avvolgersi e salire, una scala-caverna sognata da Alexandra Kehayoglou con tanto di licheni e pitture rupestri, anch’essa ci avvolge e ci porta su fino a… fino ad una stanza optical, di prospettive distorte e giramenti di testa, degna di un film di Kubrick – o sarà di Breton? Invece è di Peter Kogler. Cerco il filo che mi condurrà all’uscita e finisco per tuffarmi nell’opera, luminosa anch’essa, di un’altro giapponese, Tatsuo Miyajima. Con Ettore Spalletti trovo un altro tipo di luminosità, algida, il limbo, un nuovo sogno. Altre opere, ma che dico, altri sogni, o in realtà altre realtà… di Luigi Ontani, di Wolfgang Laib, Claudio Costa… come il protagonista di La Vita è Sogno di Calderón, mi viene da dire: Svegliatemi, che non è possibile che ci stiano in un sogno tante cose!
I sogni gourmet
ci salutano con una porta di luce di James Turrell, come un giorno che finisce (o comincia). Ora abbiamo dentro materia molto speciale per altri, nuovi, sogni personali. Ora abbiamo dentro nuove domande, come dice il racconto, di quelle che non hanno risposta – le uniche che vale la pena farsi.
Arrivo all’uscita. Come tutti i sogni che si rispettino, il ricordo inizia già a sprofondare, e non ho nemmeno una briciola d’oro su di me, soltanto ricordi enigmatici che sanno di magia. Come dopo un sogno vero. Lì ci sono tre ragazze che a tratti avevo incontrato, giovanissime, studentesse al primo anno di università. Chiedo loro: “Vi piace?” Si guardano e ridono. -“Si!” -“Figo!”
Mi piacciono. Vado con la domanda più difficile: “E voi, sognate?” Si guardano e ridono, una risata diversa. Si guardano di nuovo. Le ringrazio e saluto prima che possa crescere l’imbarazzo. Tanto, anche se non lo dicono, so che anche loro, come tutti noi, continueranno a chiedere ai loro artisti di farle sognare.
Veramente deludente! 12 euro buttati via!
Almeno potrebbe raccontarci come mai l’ha trovata tanto deludente… a differenza dei tanti che l’hanno apprezzata.