
Il commissario Kovalenko è un Maigret a tutti gli effetti: ha una moglie bella che gli prepara deliziosi pranzetti, vive una vita di coppia felice ma minata dal rimpianto di non avere figli. Sembrerebbe che Leonardo Fredduzzi abbia voluto infilare la testa nella ghigliottina creando un personaggio così simile a quello uscito dalla penna di Simenon. Tuttavia l’autore sfugge abilmente alle tricoteuses (quelle che facevano la maglia durante la rivoluzione francese aspettando che tagliassero la testa ai nobili) della ortodossia letteraria, mettendo il suo Maigret nella Mosca del 1967.

Ne La venere di Taškent il commissario Kovalenko indaga sulla morte violenta di un’attrice arrivata appunto da Taskent, l’estrema provincia dell’impero, per recitare al Taganka, teatro storico e di avanguardia in odore di eresia perché, sotto la direzione di Yuri Lyubimov, a partire dal 1964, proponeva adattamenti di opere di Brecht e dell’avanguardia sovietica in cui si nascondevano riferimenti al totalitarismo comunista.
Le indagini si svolgono in una città tornata alla normalità con la presa di potere di Leonid Breznev dopo gli anni turbolenti della rivoluzione, della guerra, di Stalin, e dell’effervescente riformismo di Kruscev.
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Sotto la cappa brezneviana però qualcosa si muove
Si spacciano i “dischi delle ossa”, Lp clandestini di musica occidentale che viene copiata e incisa sulle lastre radiografiche: sì proprio le lastre fatte in ospedale. Circolano anche le prime auto private delle quali è impossibile trovare i pezzi di ricambio, mentre locali notturni e ristoranti di lusso si aprono discretamente ai giovani burocrati.
Kovalenko indaga con circospezione destreggiandosi tra KGB – che è interessato alle attività dissidenti del direttore del Taganka – alcuni sospettati per piccoli traffici illegali, e procuratori dalla manetta facile, riuscendo a mantenere la sua verginità di uomo di commissariato non incline alle trame.
L’indagine si conclude con successo grazie a qualche tranello che il commissario tende tra una birra e l’altra.
Alla fine Kovalenko e signora si godono una meritata vacanza sul Mar Nero nel compound riservato alla polizia, accanto al più lussuoso blocco del KGB che dispone addirittura di un piccolo autobus privato per la spiaggia riservata.
Una breve appendice al libro illustra la raffinatezza della censura susloviana, a caccia di critiche al regime nascoste nelle pieghe di opere teatrali: Michail Suslov, custode dell’ortodossia comunista dal 1947 al 1982 anno della sua morte, salvo la breve parentesi di Nikita Krushev, fu costantemente impegnato nel perseguire la dissidenza antisovietica.
Un libro che vale la pena di leggere per respirare il profumo di una Mosca apatica e primitiva nella vita di tutti i giorni, ma complessa e sofisticata nei rapporti tra dittatura e dissidenza.
Leonardo Fredduzzi
Nato nel 1976, vive a Roma. Dal 2007 lavora presso l’Istituto di cultura e lingua russa. Attualmente cura le relazioni con vari partner culturali (università statali, centri d’insegnamento privati, fondazioni) in diverse città della Federazione Russa. Si occupa inoltre di comunicazione e programmazione di eventi in ambito culturale (musei, teatri, case editrici). Pubblicato da Voland, La venere di Taškent è il suo primo romanzo.
Recensione che attrae il lettore. Sono una lettrice di gialli/polizieschi per cui la trama mi attira e penso che leggerò questo libro !
Per gli amanti del genere giallo/poliziesco sembra il libro giusto. Leggendo la recensione sembra interessante l’ambientazione del cupo clima del mondo sovietico. Andrà letto