Raramente negli ultimi tempi la lettura di un libro mi ha tanto stupito e ancor più raramente ha suscitato il mio entusiasmo. Restare in Vietnam di Luca Pollini, pubblicato da Elemento 115, mi ha stupito per il lavoro immenso che c’è dietro (cinque anni mi ha detto lo scrittore) per scovare gli ex soldati americani rimasti in Vietnam, per poi scegliere di raccontare la storia di uno solo: Marlin McDade.
Mi ha entusiasmato per la scrittura, così aderente alla materia da divenire un tutt’uno con la trama. Questo capita agli scrittori più bravi, quelli che non si limitano a raccontare una storia, ma cercano lo stile, l’unico stile, per farlo. Ci riescono in pochi, uno per tutti Kerouac.
Conoscere Marlin McDade in un bar di Da Nang e farsi raccontare la sua sconvolgente storia, per Luca Pollini deve essere stata un’esperienza indimenticabile. Ciò traspare benissimo dal testo, che ha la forma di una storia raccontata in prima persona. Empatia, vicinanza, comprensione sono riservate a quest’uomo che aveva vent’anni quando, nel 1969, è partito per la guerra in Vietnam.
E quello che mi piace di questa narrazione è che Luca Pollini è riuscito a fare di Marlin McDade un ragazzo americano come tanti altri, in quegli anni di gran fermento: lo stesso giorno in cui Marlin parte per l’addestramento militare sarebbe dovuto andare con la sua ragazza al concerto di Woodstock. Questo particolare apparentemente irrilevante è invece sintomatico dei tempi, perché se eri un ragazzo americano di vent’anni ti poteva capitare di andare ad ammazzare civili in Vietnam, oppure a fricchettonare a Woodstock.
Quando in America il movimento contro la guerra si diffonde nelle città e nelle università, Marlin McDade vive in un paese sperduto del Kansas dove non c’è niente di interessante, o anche solo piacevole da fare, dove l’unica cosa che la gioventù vuole, è andarsene. E’ per gli stessi motivi che nel ’67, migliaia di giovani si riversarono a San Francisco a vivere la summer of love.
Il padre, ex militare e a sua volta figlio di militare, è convintissimo della giustezza della guerra contro i comunisti vietnamiti e spinge un confuso e disorientato Marlin ad arruolarsi volontario. Da quel momento e per tutto il resto del racconto, la sua è una progressiva e terrificante discesa agli inferi. Il primo gradino è il corso di addestramento, dove bisogna urlare ”Uccidere senza pietà è lo spirito della baionetta” e dove ti insegnano a non avere rispetto per nessuno:
”Quando ve li troverete davanti capirete che sono come animali”… “anche un bambino può lanciare una granata o essere imbottito di dinamite… sono tutti vietcong e non puoi fargli cambiare idea, li puoi solo ammazzare”.
Il body count
Queste raccomandazioni creano nei soldati americani una paura inaudita che, come dice Marlin, “fa commettere azioni che non puoi immaginare”. Ad esempio era in vigore il Body count, il conto dei vietnamiti uccisi, che serviva a mostrare i successi americani, facilitava la carriera agli ufficiali e fruttava più cibo, birra, sigarette ai soldati, e persino due o tre giorni di vacanza in una spiaggia di Saigon.
“Uno schifoso torneo proposto a ragazzi di vent’anni a cui danno un premio se fanno fuori la gente”.
Far parlare direttamente Marlin è stato fondamentale per aggiungere qualcosa di nuovo su questa guerra, visto che di libri sul Vietnam e sulle atrocità perpetrate dalle truppe americane se ne sono scritti tantissimi. E sono stati girati anche molti film. Ma vi posso assicurare che se credete di saperne già abbastanza di quella guerra vi sbagliate. Vi manca questo libro perché non sono film magnifici come Apocalyspe Now o Il cacciatore a raccontare come sono andate davvero le cose. Un conto è lo spettacolo della guerra, un conto la sua realtà. Leggere Restare in Vietnam è stato per me come avere davanti, seduto al tavolo della mia cucina, Marlin McDade che parla del Vietnam. Efficace, in questo senso, è l’uso della prima persona, ma anche il modo colloquiale, quasi dimesso, con cui le atrocità perpetrate sui vietnamiti sono raccontate.
Alla fine del 1970, tornato a casa una prima volta per la morte della sorella Susan, Marlin scopre che la sua ragazza Eleonore è diventata una fervente pacifista e sta con un altro. Non solo, scopre anche che quello che hanno passato e stanno passando in Vietnam i ragazzi americani non interessa a nessuno, anzi sono odiati da tutti. Perciò nell’Aprile del ’72 torna in Vietnam. Nelle basi americane si comincia a respirare aria di smobilitazione, i soldati non sono più disposti a morire per una guerra che sta per finire, per combattere si riempiono di eroina, disertano o uccidono gli ufficiali pur di non andare in battaglia.
Infine in un attacco vietcong alla base americana di Saigon, Marlin viene gravemente ferito. Dopo le cure ricevute all’ospedale americano, per la riabilitazione viene mandato in uno vietnamita e qui farà un incontro che gli cambierà per sempre la vita. Però nel frattempo è costretto a rientrare in America, lascia un paese:
“Con dieci anni di bombe, milioni di morti e feriti, milioni di dollari spesi inutilmente, dove ci sono 900 mila orfani, 200 mila invalidi, un milione di vedove, dove la terra coltivata è bruciata e avvelenata”.
Anche in America Marlin avrà un incontro che gli cambierà la vita. Il suo principale, nell’officina meccanica dove trova lavoro, vedendolo un giorno afflitto e triste gli dice: “Marlin devi affrontare i tuoi fantasmi. Secondo me dovresti tornare là”.
Tutta la storia di Marlin è raccontata alla luce di questa scelta fatta dopo la fine della guerra. La scelta di ritornare là per restarci e provare a rimediare al male che lui personalmente ha fatto e ha visto fare. E ancora oggi si occupa, per varie associazioni, dello sminamento di intere aree abitate – mine che causano ancora migliaia di morti e feriti – e della bonifica della terra dall’agente chimico Orange, il micidiale defoliante usato dagli americani durante la guerra.
Marlin sembra aver ritrovato un po’ di pace vivendo in Vietnam.
Ma “quando vengo a sapere di qualcuno che salta in aria per una mina”… “beh mi sento di averlo ucciso io”.
Luca Pollini è giornalista e saggista. E’ stato inviato di guerra per radio e tv. Ha pubblicato tra gli altri libri: I Settanta, gli anni che cambiarono l’Italia; – Gli Ottanta, l’Italia tra evasione e illusione; – Hippie, la rivoluzione mancata; – Amore e rivolta a tempo di rock; – Immortali: storia e gloria di oggetti leggendari; – La musica è cambiata. Collabora con mensili e quotidiani, si occupa di storia contemporanea.