Sostiene Camilleri che i romanzi storici sono la cosa più preziosa che abbia scritto. Ha pienamente ragione: almeno per chi si riconosce tra i suoi – pochi – lettori scandalosamente refrattari a Montalbano. Soprattutto quando, attraverso gli stilemi del giallo, lo scrittore offre lo spaccato realistico di un’epoca e ne fa denuncia, irridente e tragica allo stesso tempo, come in questo La stagione della caccia, (Sellerio editore, Palermo 1992) che ora è diventato film tv (su RAIUNO Lunedì 25 FEBBRAIO, in prima serata).
Siamo ancora una volta a Vigata, città del celebre Commissario e ormai luogo-simbolo del nostro immaginario, ma nel 1880: l’Unità d’Italia è ormai compiuta, ma il tempo è ancora fermo tra i nobili ancorati al loro blasone. I più ricchi e potenti sono i Peluso di Torre Venerina, discendenti nientemeno che da Federico II. E qui la saga di famiglia si tinge di giallo, a tratti di nero. All’improvviso vi fanno irruzione lutti e follia. In paese è da poco arrivato un giovane farmacista, quando si apre la stagione della caccia.
A morire però, inspiegabilmente uno dopo l’altro, saranno proprio i componenti del casato. Il vecchio patriarca semiparalizzato e misteriosamente ritrovato sulla spiaggia; il nipote un po’ scemo, ma finalmente erede “masculo” tanto atteso; la Marchesa sua madre, impazzita dal dolore; Il Marchese Filippo, che intanto, complice una coppia di contadini, è riuscito ad avere un secondo figlio ricorrendo ad un espediente piuttosto in voga a quei tempi; suo fratello Totò, di ritorno dopo aver fatto fortuna in America; la di lui consorte e perfino la servitù d’oltreoceano; e infine il dissipato cugino Nenè, che cerca di risollevare le sue finanze chiedendo la mano della Marchesina. Sarà lei, Ntonto’, l’unica a sopravvivere alla mattanza, ma a carissimo prezzo.
Due ore di spettacolo dal finale inatteso…
con un imprevisto scarto di registro – dal comico al tragico – di chi non ammette giustificazioni e reclama legalità: nel rispetto, grazie alla regia di Roan Jhonson, dei paradossi che compongono il mondo di Camilleri. Dove c’è spazio per tutti, protagonisti e comprimari, disegnati in un cast di pregio: dal giovane farmacista interpretato da Francesco Scianna al suo antagonista Marchese Peluso, il ricchissimo cialtrone che Tommaso Ragno rende empatico, oltre che simpatico; dalla Marchesina Miriam Dalmazio alla Donna Matilde Donatella Finocchiaro; dal parroco Ninni Bruschetta alla giovane Serafina di Alice Canzonieri, ai tanti altri attori che compongono il ricco mosaico del film.
Prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti e Nicola Serra, con la collaborazione di Max Gusberti e RaiFiction, La stagione della caccia è stato girato in un mese tra Scicli, Marzamemi, Donna Fugata e Ispica. Una terra di cui il regista ha voluto mantenere il valore simbolico, lasciando, dice, “il tutto più sporco e polveroso” e che la scrittura di Andrea Camilleri sa restituirci con tutte le sue contraddizioni.
E lo fa molto spesso “babbiando”, con la complicità dei co-sceneggiatori Francesco Bruni e Leonardo Marini. Come in battuta di caccia, alza però il tiro della sua penna contro un’aristocrazia malata, dedita al patriarcato e ai suoi vizi, arroccata ai suoi privilegi, ignara della fine. Ma anche contro quel ceto nuovo che dovrebbe sostituirla, e che per vendetta infrange la Legge.