Un flusso inarrestabile di storie, un moltiplicarsi di personaggi. Raccontati con leggerezza ed ironia. Al lettore il compito di capire chi sono I costruttori di ponti romanzo d’esordio di Tiziana Zita; a chi scrive il piacere di segnalarne il divertimento.
E di riconoscersi nella saga di una famiglia che attraversa gli anni dal dopoguerra a quelli di piombo, a Roma e dintorni.
Trattasi della famiglia Pietranera, numerosa come usava a quei tempi, e il cui albero genealogico una mano infantile ha inscritto in una grande casa: c’è il ramo benestante e molto prolifico (nonna Duse e nonno Augusto) e quello povero che produce inizialmente meno frutti, ma che poi si rifà con i cinque fratelli scatenati (in ordine di apparizione al mondo: Emma, Beatrice, Matteo, Augusto e Silvia) che costituiscono la discendenza di nonna Graziosa e nonno Bernardino. L’una non propriamente bella e in eterno conflitto con colei che diventerà sua nuora, l’altro mezzo matto e cieco da un occhio per via della guerra. Difficile non innamorarsi di entrambe.
E, per quanto descritti con incedere veloce, difficile non cogliere che sono proprio personaggi come loro a raccontarci di un’Italia contadina che saprà riscattarsi attraverso la fatica, i sacrifici e lo studio dei figli.
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Gessato e scarpe di vernice nera
Pietra su pietra, ecco allora lo spaccato di una nazione e della sua Capitale, della Storia fatta da tante piccole storie: i mille aneddoti di quando le ragazze di buona famiglia erano guardate a vista, e i ragazzi con i vestiti e le scarpe lucide della festa andavano nelle balere e sapevano farle innamorare piroettando sulla pista, e nascevano tra mille sotterfugi amori tra classi sociali diverse, e infine matrimoni indistruttibili.
Come quello tra la ricca Livia e il povero Nicola Pietranera, diversi come il giorno e la notte: lei capricciosa e svogliata a scuola (“al dettato di francese ha preso tredici sotto zero”), lui studioso e intraprendente negli affari. E non solo negli affari, tant’è che la ragazza rimane incinta quasi senza accorgersene (altro leit motiv dell’epoca): dice di essere vergine come la Madonna ma “comunque, in modo umano o divino,” concepisce la prima figlia “in una Cinquecento, il 2 luglio 1958.” In famiglia succede il finimondo, ma la ragazza minaccia il suicidio, si chiude in bagno gridando “m’ingoio le supposte!”.
A soli 29 anni “Liviaccia” raggiunge il ragguardevole traguardo di cinque figli.
Uno di questi è la voce narrante del romanzo, Matteo: testimone ilare delle vicende, e certo ugualmente scanzonato protagonista, ma capace di farsi da parte per lasciare spazio a tutti gli altri.
Seguiamolo ad esempio nella descrizione della coppia dei genitori:
Lei ci avrebbe preso a fucilate tutti quanti.
Lui aveva la capacità di rendere maestosa qualsiasi cosa.
Oppure nel tratteggiare fulmineo una madre isterizzata da un ménage che sognava diverso:
Era una sirena, ma non quella del mare, era una sirena d’allarme. Urlava continuamente dalla mattina alla sera e dovevi sempre guardarti dal suo furore. (…) menava tutti indistintamente, dall’età in cui uno se lo ricorda fino ai dodici, tredici anni. Le botte erano di vario tipo. C’era il manrovescio semplice: tu la incontravi in corridoio e lei non te lo dava di dritto, che ti preparavi, ma di rovescio che non te lo aspettavi. Botta secca ed efficace che poteva essere condita dal manrovescio con anello, quando si apprestava a uscire. Poi c’era il battipanni, che teneva nello sgabuzzino, e lo spolverino con canna sottile e piume d’uccello, forse il peggiore di tutti. Te lo dava sulle ginocchia nude, allora tu cercavi di saltare per evitarlo, ma era impossibile perché colpiva a raffica. Lei ti prometteva: «Dopo te le do con gli interessi!». C’era una sacra furia in tutto questo. «Io t’ho messo al mondo e io ti ci levo.»
Nell’evolversi del racconto, troveremo molte chiose di questo tipo, e sarà una goduria. Tra “incidenti creativi” come uncinetti conficcati nelle natiche, porte a vetri infrante, vacanze lunghissime nella casa al mare, perlustrazioni avventurose, la banda di Matteo e i suoi fratelli percorre gli anni 60 assaporandone e vivendone i cambiamenti. I primi giornaletti “sporchi”, i primi baci, i primi viaggi all’estero, le prime confidenze:
Abbiamo scoperto di essere maschi e femmine. A quel punto il fortino delle aquile è diventato il fortino dei baci. Tra l’altro Alberto Villa ci prese da parte e ci disse: «Ho scoperto che i miei genitori hanno un libro di torture cinesi. Ci sono anche delle immagini. Sapete che tortura fanno i cinesi?». «No.» «Pensa che gli uomini mettono il pisello nella figa delle donne!» Ci fu una condanna totale.
Gli anni Settanta
“Formidabili quegli anni”: superata la prima adolescenza, l’alter ego di Tiziana Zita si muove nel clima rovente del post 68, ma continua a farne una cronaca semi-seria e molto individuale. L’approdo al liceo Mamiani, epicentro delle lotte studentesche romane e scuola dell’élite intellettuale di sinistra (“In questo contesto io ero un bifolco perché venivo da una cultura abbastanza rozza. Avevo cominciato a leggere a tredici anni in modo random perché mi appropriavo dei libri di nostra madre che all’epoca leggeva Papillon – e passi – ma poi anche Drum, Mandingo e tutte queste storie di negri che si trombavano le padrone.”); gli innamoramenti e le esperienze sessuali piuttosto catastrofiche, come quelle con le gemelle Dardanelli:
Io ero innamorato di tutte e due, ma era un inferno. Quello era il festival della promiscuità. Non sapevi come andava a finire una serata, figuriamoci una relazione. Se poi eri innamorato di due gemelle che non ti si filavano era un guaio.
La scoperta degli allucinogeni, dalle canne all’LSD all’eroina che avrebbe falcidiato un’intera generazione. E ancora: la carica ribelle del femminismo, gli espropri proletari, il terrorismo e i suoi presunti fiancheggiatori, spesso inconsapevoli ragazzini dalla testa calda:
Arrivo a Primavalle, in quella sede politica dove poi scoprirò che l’ottanta per cento erano delle Brigate Rosse, anche se noi, rimanente venti per cento, non lo sapevamo. Di fatto quello era un posto di reclutamento.
Storie private su suolo pubblico
Di questo è fatto I costruttori di ponti. Che potrebbero ora lanciarsi in un’altra impresa. Poiché Tiziana Zita è stata story editor e producer di serie tv, e come il padre dei fratelli Pietranera ha esperienza, passione creatività e intraprendenza, potrebbe pensare a costruirci un’altra opera: per esempio una fiction.
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