Certe volte, fare i conti con il passato non è semplicemente difficile, è quasi impossibile. Specie se questo passato nasconde un buco nero che conduce dritto all’Inferno. Non un inferno metafisico, ma quello reale e fin troppo solido che sanno creare, a volte, gli uomini in terra.
Qualche tempo fa, già Marilina Veca e Stefano Cattaneo avevano ricostruito la storia terribile di Maria Teresa Novara in un libro intitolato Anatomia di un delitto, rimasto purtroppo poco conosciuto. Ora, Alessandro Perissinotto, autore di solida e meritata fama, la riprende nel suo nuovo romanzo, Il silenzio della collina: ma non per realizzare un doppione dell’altro libro, bensì per inserirla al centro di una vicenda narrativa di dolorosi rapporti famigliari e di ricerca della propria identità personale.
Siamo ai giorni nostri, nelle Langhe
Domenico Boschis, affascinante attore televisivo di mezza età, annoiato e deluso dalla piega che sta prendendo la sua vita, torna al suo paese perché gli sono giunte notizie di una grave malattia del padre Bartolomeo, con cui non ha rapporti da tempo. Bartolomeo è un agricoltore rozzo e solitario. Un uomo senza amici, brutale con la moglie che lo ha lasciato per rifarsi una vita a Torino, accanto a un altro uomo. E si è portata dietro il figlio ancora piccolo. Padre e figlio sono estranei al punto che il primo non ha nemmeno avvertito il secondo quando è stato ricoverato in un hospice per malati terminali.
Domenico è il classico viveur che prende e lascia senza essersi mai fatto incastrare dal peso di una famiglia. Ma, adesso, davanti a quel vecchio fragile e completamente dipendente dall’assistenza altrui, sente il peso della responsabilità che gli grava sulle spalle. Deve per forza occuparsi del padre nei suoi ultimi giorni, anche per evitare ricadute pubblicitarie negative sulla sua immagine.
Dopo una breve fase iniziale di diffidenza, Bartolomeo sembra contento della vicinanza del figlio. E questa imprevedibile manifestazione di sensibilità spinge Domenico a legarsi a lui come non era mai accaduto prima. Perfino le radici langarole da cui si è sempre tenuto alla massima distanza (pur essendo laureato in Lettere, disprezza Pavese e Fenoglio e si rifiuta ostinatamente di leggerli), finiscono per affascinarlo. Anche grazie alla vicinanza di due amici d’infanzia con cui ha conservato, nonostante tutto, un forte legame affettivo: la viticoltrice Caterina e il farmacista Umberto.
Così l’odiatissima cascina in cui viveva il padre, dove Domenico ha trascorso i primi, traumatici anni di vita, si rivela un luogo capace di ispirargli una inaspettata nostalgia.
Sembra che Bartolomeo si stia spegnendo come una candela. Tra il male (un tumore cerebrale) e i continui farmaci che gli vengono somministrati per affrontare dolore e sintomi vari, dorme quasi sempre e, nelle poche ore quotidiane di veglia, non sembra molto lucido. Ogni tanto, però, appare sconvolto da un pensiero che si fa sempre più dominante: “La ragazza! La ragazza!” continua a urlare, apparentemente senza ragione.
Dai pochi e smozzicati discorsi che il padre riesce a mettere insieme, Domenico, dopo una serie di ricerche, si rende conto che si sta riferendo alla vittima di uno spaventoso e per molti versi oscuro delitto, la cui storia non spiegheremo per non togliere al lettore interesse per il romanzo.
Il silenzio della collina:
una storia non inventata, ma presa di peso dalla realtà
I fatti risalgono agli ultimi anni del “miracolo economico”, subito prima degli “anni di piombo”.
Domenico si trova suo malgrado a disseppellire torbidi segreti anche dal passato di gente insospettabile. Le sue successive ricerche e scoperte finiranno per gettare un’ombra quanto mai sinistra sulla realtà di una provincia, tanto ricca di benessere economico, quanto povera di valori morali.
Eppure, durante questa discesa negli inferi, Domenico ritrova sorprendentemente se stesso e le sue origini sempre rinnegate: la lettura di La malora, quasi impostagli dall’amica Caterina, gli fa nascere il desiderio di approfondirne le tematiche e di dare al romanzo la forma di uno spettacolo teatrale per riproporlo a un pubblico più vasto.
La stessa terra aspra e ostile su cui il padre ha sudato per tutta la vita senza mai ricavarne nulla di più del minimo necessario a sostentarsi, gli appare come una miniera dalle potenzialità mai completamente esplorate. La vita, che gli sembrava incanalata verso un binario morto, trova una nuova strada proprio nell’ultimo posto dove lui sarebbe andato a cercarla. E il legame con il padre moribondo, che si stabilisce man mano quasi senza una precisa volontà da parte di entrambi, gli fa scoprire una dimensione affettiva di cui fino ad allora aveva ignorato l’esistenza, accompagnata dal sollievo di essere riuscito a rendersene conto prima che fosse troppo tardi.