Albert Camus, nato nel 1913 a Mondovì (oggi Drean) in Algeria, da un contadino francese emigrato che morì nella battaglia della Marna (1914) e da una ragazza spagnola analfabeta, superò la povertà delle origini grazie al suo straordinario intelletto. Dopo la laurea in Filosofia ad Algeri – all’epoca una delle più prestigiose università francesi – intraprese l’attività di giornalista e si affermò rapidamente come scrittore ed esponente di punta dell’esistenzialismo.
Malgrado fosse ancora giovane, nel 1957, con un bottino di quattro romanzi, sette saggi e quattro opere teatrali, fu insignito del premio Nobel per la Letteratura (vedi qui il nostro articolo). A quel punto, sembrava che la sua vita dovesse definitivamente decollare, nonostante i problemi di salute. Era affetto da tubercolosi che in gioventù lo aveva costretto a smettere l’attività di calciatore. Ciononostante era anche un forte fumatore. Il ministro della Cultura André Malraux lo voleva alla direzione della Comédie Francaise ma lui, ritenendo che si trattasse di uno sforzo eccessivo per le sue condizioni, aveva chiesto di dirigere un teatro sperimentale. All’inizio del 1960, questo accordo era ormai cosa fatta, restava solo da firmare il contratto.
Ma il Destino aveva in serbo per lui un ben diverso epilogo.
Camus trascorre il Capodanno del 1960 in Provenza con la famiglia del suo editore Michel Gallimard a cui era molto legato.
Il 3 gennaio 1960
I Gallimard – oltre a Michel, ci sono anche la moglie Janine e la figlia Anne – e Camus si rimettono in viaggio per Parigi, sulla Facel Vega FV3B guidata dall’editore. Camus accetta il passaggio all’ultimo momento, dopo aver già acquistato il biglietto del treno per Parigi.
Il viaggio è lungo e, con il precoce calare della notte, il gruppo decide di fare una tappa intermedia. La sera del 3 gennaio, la Facel Vega si ferma a Thoissey, un paese nel dipartimento dell’Ain, nella regione del Rodano-Alpi, distante circa 4 ore di viaggio da Parigi. Il gruppo trascorre la serata festeggiando Anne Gallimard, che proprio quel giorno compie 18 anni, e dorme nell’albergo Chapon Fin.
La mattina del 4 gennaio 1960
Dopo colazione, i quattro ripartono di buon’ora. Intorno alle 10, mentre la Facel Vega attraversa il comune di Villeblevin, in Borgogna, distante poco più di un’ora da Parigi, su un tratto rettilineo della frazione Petit-Villeblevin, Michel Gallimard perde improvvisamente il controllo dell’auto. La velocità in quel momento è di circa 140 chilometri all’ora. Il mezzo finisce contro uno dei platani che fiancheggiano la strada e da lì rimbalza contro un altro albero, accartocciandosi e sfasciandosi.
Michel Gallimard, gravemente ferito, muore dopo alcuni giorni in ospedale; Albert Camus, che è sul sedile del passeggero, viene estratto dall’auto in fin di vita. Ha fratture al cranio e alle vertebre cervicali. Sopravvive solo pochi minuti. Janine e Anne Gallimard, che erano sui sedili posteriori e sono state sbalzate in un campo, riportano ferite non mortali e sopravvivono.
Entrambe le donne erano distratte al momento dell’incidente, e si sono rese conto di ben poco. Tuttavia, Janine riferirà che il marito aveva improvvisamente esclamato “Merde!” mentre l’auto sbandava senza ragione di lato, con un forte rumore di qualcosa che cedeva nella sua parte inferiore, prima dell’impatto con il platano. Alcuni testimoni oculari riferiranno a loro volta che l’auto aveva cominciato a sbandare all’improvviso, da sola, senza ragione, in un tratto di strada largo nove metri e con pochissimo traffico. L’esame dei periti accerterà poi che un’asse dell’auto si è spezzata, probabilmente in seguito al blocco di una ruota, dovuto allo scoppio di uno pneumatico, rendendo la vettura incontrollabile.
La vicenda è archiviata come incidente e tale resta per 50 anni
Nel 2010, tuttavia, uno scrittore italiano, Giovanni Catelli, esperto di letteratura ceca, mentre si trova a Praga a compiere delle ricerche sul poeta Jan Zabrana, si imbatte in un suo diario inedito, chiamato Quaderno blu n° 91. In un’annotazione di questo diario, Zabrana afferma di aver appreso, da una fonte affidabile, che l’incidente in cui è stato ucciso Camus è stato provocato ad arte dal KGB. Alcuni agenti sovietici avrebbero danneggiato uno degli pneumatici della Facel Vega in modo che esplodesse durante il viaggio, per ordine del ministro degli Esteri sovietico Dmitri Shepilov, deciso a far tacere una voce scomodissima.
Camus infatti era un intellettuale di sinistra assai poco organico. Un ex comunista approdato su posizioni anarchiche e anche quando andò negli Usa nel 1946, la CIA lo tenne costantemente sotto sorveglianza. Camus ce l’ha a morte con il totalitarismo sovietico, come ha dimostrato più volte, specie durante la crisi ungherese del 1956. In quella occasione, ha attaccato duramente e senza mezzi termini, su periodici di sinistra come Monde Nouveau e Franc-Tireur, proprio Shepilov. Il ministro sovietico se l’è legata al dito e dopo tre anni di preparazione gliel’ha fatta pagare.
Anche perché, nel frattempo, Camus, invece di calmarsi, ha rincarato la dose nel 1958, in occasione dell’affaire Boris Pasternak. Ovvero quando al grande poeta russo, autore del Dottor Zivago, viene impedito di ritirare il premio Nobel per la Letteratura con la minaccia di bloccargli il rientro in patria. Pasternak, già anziano e malato, morirà nel maggio del 1960 dopo aver trascorso gli ultimi anni da recluso in casa.
Catelli, perplesso, consulta la moglie del poeta morto nel 1984. Maria Zabranova gli rivela di essere stata messa a parte del diario segreto del marito solo due settimane prima della sua scomparsa per un tumore al fegato. Incontra in seguito un cineasta ceco, Ales Kisil, che ha girato un documentario sull’opera del poeta, e questi gli dice che Zabrana tutto era, tranne che il tipo da prendere sul serio dicerie e pettegolezzi.
Catelli, aiutato da Maria Zabranova, compie altre ricerche per scoprire la fonte da cui Zabrana ha attinto la notizia. La rosa è piuttosto ristretta e comprende intellettuali che vivono tra Praga e Mosca e forse passano informazioni alla Cia o forse no, ma di sicuro hanno una gran voglia di andarsene in Occidente. I principali indiziati sembrano essere alcuni studiosi che all’epoca erano molto amici di Zabrana, ma poi si sono trasferiti in Usa o in Canada, come il traduttore Jiri Barbas, o Jiri Gibian e Jiri Zuzanek. Quest’ultimo, unico ancora vivente tra gli indiziati, vive in Canada e non è facile da contattare. Lo scrittore ceco Josef Svorecky, anche lui consultato dalla Zabranova, ipotizza che la fonte possa essere lo scrittore russo Vasilij Aksenev (del quale in Italia sono stati tradotti due romanzi).
Il curatore dell’edizione francese dei diari di Zabrana (dalla quale è stata ricavata anche una edizione italiana), Patrik Ourednik, ha escluso l’annotazione in cui si sostiene che l’incidente è stato provocato dal KGB, perché secondo lui è inattendibile.
Camus deve morire
Catelli finisce per scrivere un libro sull’argomento: Camus deve morire, uscito con Nutrimenti nel 2013. Quando si trova a presentarlo a Milano, viene contattato dal celebre avvocato Giuliano Spazzali, che sembra molto interessato alla vicenda. Spazzali era amico di un celeberrimo avvocato francese, Jacques Vergès, una figura davvero romanzesca.
Conosciuto dai mass media come l’avvocato del diavolo o l’avvocato del terrore o l’avvocato delle cause perse, Vergès è stato un sostenitore della causa dell’indipendenza algerina, come lo era stato anche Camus. Nel 1957 aveva difeso Djamila Bouhired, una militante del Fronte di Liberazione Nazionale algerino (FLN) condannata a morte in Francia per la partecipazione a un attentato che aveva fatto 11 vittime.
La Bouhired, inizialmente graziata da De Gaulle, fu poi liberata nel 1963 quando apparve evidente che il suo processo si era basato su indizi inconsistenti. Poi diventò la moglie di Vergès che nel frattempo si era convertito all’Islam.
Qui sopra nella foto, quattro studentesse algerine militanti nel FLN, fotografate nel 1957 da Yacef Saadi. Sono Samia Lakhdari, Zohra Drif, Djamila Bouhired e Hassiba Ben Bouali. L’ultima, 19 anni, morirà il 9 ottobre di quello stesso anno accanto ad Alì La Pointe, come è mostrato nel film La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo.
In seguito, Vergès è stato difensore di terroristi sia di estrema destra sia di estrema sinistra, di criminali internazionali, di negazionisti, di qualunque cliente fosse stato rifiutato da altri avvocati. Arrivò a proporsi anche ad Ariel Sharon, nel caso in cui questi avesse avuto bisogno di assistenza legale. Pur sapendo che Sharon non avrebbe perso l’occasione di farlo eliminare dagli agenti del Mossad per le sue posizioni filo-palestinesi.
Vergès, che era di origine orientale franco-vietnamita e comunista, ha collaborato molti anni con i servizi segreti cinesi. Secondo Spazzali, era assolutamente certo sia del fatto che Camus fosse stato eliminato dal Kgb, sia che i servizi segreti francesi, pur essendo al corrente del piano, non avevano fatto nulla per fermarlo perché Camus stava sulle scatole anche a loro. Catelli sottolinea che i rapporti tra Francia e URSS sono sempre stati più fitti di quanto comunemente non si creda. Perfino ai tempi di De Gaulle. Perché i francesi non hanno mai visto di buon occhio l’egemonia statunitense sul mondo occidentale.
Ma, nonostante tutti questi indizi, le prove che le cose siano andate come sosteneva Zabrana sono ancora da trovare e il caso resta aperto.
Ma, come è riportato nell’articolo, Camus aveva accettato solo all’ultimo momento il pasaggio in auto offerto dal suo editore, come avrebbe potuto il KGB prevedere questo fatto e avere il tempo di sabotare l’auto?
In effetti, a prima vista, non sembra facile.
Tuttavia, stiamo pur sempre parlando di professionisti di un’attività in cui nulla può essere dato per scontato. Infatti, se si vanno a studiare le biografie disponibili di agenti segreti, una delle cose che si imparano è che spesso dei piani apparentemente perfetti sono falliti perché troppo rigidi e non adattabili al minimo cambiamento.
È possibilissimo che Camus fosse costantemente seguito in attesa dell’occasione propizia per colpirlo. E che il piano sia stato elaborato, scegliendolo tra le diverse opzioni disponibili, nelle ore della prima parte del suo viaggio, prima della sosta che era il momento migliore per manomettere l’auto.
Si possono trovare, nella cronaca e nella Storia, altri casi analoghi di delitti inspiegabili, sebbene attuati con altri mezzi. Vedi ad esempio la morte misteriosa e mai chiarita di Natale De Grazia, un ufficiale di Marina che indagava sui traffici di rifiuti tossici nel Mediterraneo, nel 1995.
Non so, a me sembra che si voglia cercare il complotto ad ogni costo, e poi, perché provocare una strage, un incidente che avrebbe coinvolto altre 3 o 4 persone “innocenti” e tra l’altro conosciute, come l’Editore (Gallimart), attirando ancora di più l’attenzione dei giornali e i sospetti della polizia (con relativi risvolti diplomatici), invece di attendere un momento più propizio, andando a colpo sicuro sull’unico obbiettivo?
Evidentemente i sospetti, almeno in Occidente, non sono stati così tanti, visto che si è cominciato a parlarne 50 anni dopo.
Il tema principale dell’articolo (e del libro) non è la meccanica dell’incidente ma i suoi possibili retroscena. L’incidente, è sufficiente che sia compatibile con la modalità di un sabotaggio, e indiscutibilmente lo è.
Sono anticomplottista per natura e non mi pronuncio sul fatto se Camus sia stato davvero ucciso dal KGB, o meno, visto che non ci sono prove sufficienti per affermarlo o negarlo. Ma l’ipotesi mi sembra plausibile.
Non credo che il KGB si facesse scrupoli ad uccidere delle persone innocenti, pur di raggiungere il suo obiettivo.
Se la priorità era che la morte di Camus passasse per un incidente, il fatto che ci fossero anche altri rendeva più difficile pensare che fosse un’azione mirata contro lo scrittore.