Unus pro omnibus, omnes pro uno
Così recita la nota locuzione latina adottata dalla Svizzera come l’espressione che la rappresenta; poi utilizzata da Dumas, in forma invertita e in francese, tous pour un, un pour tous, come motto dei suoi celebri e straordinari moschettieri: tutti per uno, uno per tutti!
Tecnicamente questa formula si dice “chiasmo”. E’ cioè una figura retorica in cui si crea un incrocio immaginario tra due coppie di parole con uno schema AB e BA.
Ce lo ripropone, ma solo a metà – Tutti per uno – la professoressa Anna Oliverio Ferraris come titolo del suo gradevolissimo romanzo, scritto “per dare voce alle cose non dette”.
Nota psicoterapeuta, scrittrice e docente di Psicologia dell’età evolutiva e dello sviluppo all’Università di Roma, la professoressa Oliverio Ferraris, che io leggo, apprezzo e stimo fin dagli anni dei miei studi universitari alla facoltà di Filososfia, vanta una ragguardevole bibliografia. Oltre ad aver diretto la rivista Psicologia Contemporanea, è stata membro della Consulta di qualità della Rai e del Comitato nazionale per la bioetica.
Il libro ci accompagna all’interno di una storia che prende il via dalla sofferenza di Fabrizia, una bambina di dieci anni, alle prese con la separazione dei suoi genitori, Giovanni e Lucia. La storia termina al compimento del diciassettesimo compleanno della protagonista che, nel gruppo di psicoterapia, ha trovato una seconda famiglia i cui componenti sono, appunto, tutti per uno.
Fino alla sera in cui, durante la cena nella loro pizzeria preferita, i genitori non le hanno annunciato la decisione di separarsi, Fabrizia aveva sempre creduto che loro fossero “un triangolo perfetto”.
E non aveva mai temuto il buio fino a quel momento. Quella notte invece sognò di essere aggredita dai suoi giocattoli, improvvisamente divenuti creature urlanti e cattive. Lei aveva ardentemente desiderato di correre da mamma e papà, ma una sensazione di impotenza l’aveva tenuta inchiodata al letto.
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Quand’è che i figli sono pronti per accettare la separazione dei genitori?
A mio modesto avviso, in quarantaquattro anni di vita da figlia, madre e insegnante, la risposta che mi sono data è: MAI. Un figlio vorrà sempre vedere i propri genitori insieme, ma la realtà delle cose molto spesso comporta il contrario. Così bisogna affrontare quel dolore, cercando di superarlo con il minor numero di conseguenze psichiche possibile.
“Talvolta la vita presenta dei passaggi difficili, come un mare agitato, ma se hai degli spazi tuoi per rigenerarti, e dei rapporti armoniosi con alcuni amici, non solo non affondi ma riesci a mantenere la rotta”.
Questo le aveva detto Barbara, la sua psicoterapeuta, all’inizio della terapia.
Nel volgere di poco tempo, Fabrizia non era stata chiamata soltanto ad accettare la separazione dei suoi genitori, ma anche ad “ingoiare” le nuove famiglie che suo padre e sua madre si erano ricostruiti con altri partners. Inclusi i loro precedenti figli.
“Hanno deciso tutto passando sopra la mia testa”.
La perdita dell’appetito. Il senso di rabbia e di tristezza. L’ostilità verso i nuovi compagni dei suoi. Un compleanno dimenticato. Uno schiaffo ricevuto da un uomo che non è suo padre. Una fuga dalla nonna, unico riferimento rimasto saldo dentro di lei.
Da qui la decisione dei genitori e di Barbara di sostenere le difficoltà di Fabrizia in modo più deciso, inserendola in un gruppo di psicoterapia. Nel gruppo ci sono altri sette ragazzi, oltre a lei e gli psicologi Barbara e Arturo.
Adolescenti, figli di separati e non solo…
Attraverso questa scelta narrativa, l’autrice ci propone molteplici spunti di riflessione su varie problematiche adolescenziali nelle quali i figli dei separati, e non solo, possono incappare.
Dall’iniziale astio degli uni verso gli altri, i ragazzi passano gradatamente al recupero della fiducia verso il prossimo, alla condivisione delle esperienze. Si produce così un effetto catartico che conduce i protagonisti a ritrovare il senso dell’amicizia e, infine, il senso di sé.
Ritengo che la lettura di questo libro possa seguire un doppio binario. Può essere la lettura semplice e piacevole di una storia interessante. Oppure una struttura ben congegnata dei fondamenti del settore psicosociale che sono una cartina di tornasole delle esperienze che la professoressa Anna Oliverio Ferraris ha accumulato nel corso della sua feconda carriera.
Un sentito ringraziamento va quindi all’autrice, per aver messo a disposizione il suo sapere regalandoci un racconto che è, contemporaneamente, strumento di lavoro e cura per l’anima.