Quando c’era l’URSS. La Russia prima di Putin

Quando c'era l'URSS di Gian Piero Piretto

Alla russa!

Quando c’era l’URSS. 70 anni di storia culturale sovietica di Giampiero Piretto è un bel libro di 632 pagine dove “si analizzano eventi storici, imprese, campagne promozionali e dissuasorie subite dai cittadini del paese dei Soviet, con uno speciale accento sulla percezione dei fatti nella quotidianità della gente comune”.

Vi si descrive un mondo a parte in cui la storia procedeva in parallelo con quella dell’Occidente ma si manifestava “alla russa”: con il suo linguaggio, le sue espressioni artistiche e culturali, ricche di sfumature, nonostante i controlli del regime. Prima di affrontarne la lettura vi propongo alcune osservazioni scaturite dalla presentazione del libro.

In URSS il ‘68 è il ‘61

Si anticipa la rivolta che in Occidente ci sarà nel ‘68, ma non per le strade di Mosca, poiché occupare gli spazi pubblici era prerogativa del regime sovietico, bensì sotto al monumento a Majakovskij. I giovani russi si riuniscono lì a leggere poesie. Majakovskij era popolare tra i ragazzi come uno scrittore della Beat Generation. I giovani sovietici riempivano anche i Palazzetti dello Sport, dove i poeti venivano acclamati come vere e proprie rockstar.

Il movimento, favorito dalle aperture di Kruscev, spinse molti giovani ad abbandonare la città per cercare la Russia profonda. Si avventurarono così nella taiga per vivere una vita selvaggia, percorrendo le vie del paese come Jack Kerouac, oppure si spinsero verso l’Occidente. Proprio come nel libro Il biglietto stellato di Vasilij Aksenov, che racconta il viaggio di un adolescente verso il lembo più occidentale dell’impero: l’Estonia.

L’effervescenza dei ragazzi sovietici non era caratterizzata da antisovietismo, come avverrà per i dissidenti degli anni ‘70, ma dal desiderio di esplorare dopo la prigione staliniana. Tuttavia il regime era sempre in guardia, preoccupato da eventuali effetti incontrollabili.

L’avanguardia

Il 1º dicembre 1962 si svolse una mostra di giovani artisti al maneggio di Mosca. La mostra è divenuta celebre per la “piazzata” di Nikita Kruscev in visita all’angolo riservato agli astrattisti. Il segretario del PCUS si infuriò alla vista dei quadri e dopo aver insultato pesantemente i giovani pittori, appellandoli come pederasti, fece portare i quadri all’ammasso del legname.

Tuttavia Kruscev aveva comunque promosso un’evoluzione artistica, anche se come sempre “alla russa”. Si passò così dall’arte di stampo staliniano, che rappresentava l’uomo sovietico come un essere invincibile, forgiato nell’officina del comunismo, ad una rappresentazione del popolo più aderente alla realtà. I volti divennero più realistici e si rappresentò l’operosità e la felicità del popolo con sapore quasi bucolico.

Larissa Salmina, commissario del padiglione sovietico alla biennale di Venezia del ’62, scrive nel catalogo che “L’arte esposta nel padiglione riflette in modo sincero e con ottimismo la realtà della vita sovietica”.

La commedia musicale
ovvero l’arte raffinata della propaganda

Facciamo un salto indietro, siamo nel 1936 e in Urss impazzano i film musicali. Questi non si rivolgono al pubblico evoluto di Mosca e Leningrado, ma a quello delle città e delle campagne disseminate nella sconfinata Russia. Sono per un pubblico composto spesso da figli di “servi della gleba”, che è stata abolita solo nel 1861.

La cinematografia sovietica sperimentale degli anni Venti non è certo adatta alla provincia e comunque è insopportabile per Stalin. Così i colti registi d’avanguardia si trasformano in creatori di cinema popolare, ancora una volta alla russa.

Grigorij Aleksandrov e Ljubov’ Petrovna Orlova, protagonistra di “Tutto il mondo ride”

Grigorij Aleksandrov, nel 1930 va a Hollywood e scrive con Ejzenštejn, col quale collaborerà per otto anni, la sceneggiatura di due film per la Paramount. Malgrado i film non saranno mai realizzati, Aleksandrov entrò in contatto col mondo scintillante del cinema americano e in seguito fu tra i fondatori della commedia musicale sovietica.

Tornato in patria realizzò Tutto il mondo ride una classica commedia musicale che narra le vicende di un aspirante musicista di Odessa. Nel 1936 lavorò a Il circo, un film più sfarzoso che introduce anche elementi di propaganda. Narra di un’artista americana del circo che, perseguitata in patria per aver dato alla luce un bambino nero, trova rifugio in Urss dove “ovviamente” non esiste razzismo. Lì viene accolta e accettata in un tripudio di canti e balli, conditi con sontuose coreografie hollywoodiane (quardate qui).

La vicenda di fantasia non è poi così campata in aria, infatti negli anni ‘30 alcuni afroamericani comunisti si trasferirono in unione sovietica, sedotti da una campagna anti imperialista (per saperne di più cliccate qui).

Il poeta e scrittore Langston Hughes è tra i neri americani accolti in URSS

La nouvelle vague

Il disgelo arriva anche a Mosca e i film cambiano. Basta eroi, guerra, commedie musicali e lavoratori operosi. Mosca viene fotografata come fosse Parigi e i film assomigliano a quelli di Truffaut.

Ad esempio A zonzo per Mosca, il più famoso in Occidente, racconta una giornata festiva di Kolia, Velodia e Aljona: due ragazzi e una ragazza che girano per Mosca godendosi piccole avventure cittadine. Il mattino dopo, Kolia, Velodia e Aljona sono ancora insieme in metropolitana e si accingono a riprendere contatto con la realtà lavorativa quotidiana.

Per la prima volta si vede Mosca sotto la pioggia, in precedenza era sempre ripresa nei giorni assolati. Un giovane Nikita Mikalkov (Kolia) canta la colonna sonora del film che diventerà la canzone più popolare del periodo. I ragazzi girano per la città, vanno agli imponenti magazzini GUM, costruiti dallo Zar nel 1893.

La musica accompagna una bellissima scena, dove la ragazza (Aljona) viene corteggiata sotto la pioggia da Velodia che le gira intorno in bicicletta, proteggendosi con un ombrello (qui potete vedere il film… ma in russo).

Insomma non una Mosca severa ma una città dolce, che profuma di fiori e primavera, dove anche un occidentale vorrebbe andare a passare una vacanza romantica.

La glaciazione e il ritorno in cucina

Nel 1964 tutto cambia, Leonid Breznev viene eletto segretario del PCUS e Krushev defenestrato. Si torna al controllo stretto del partito su tutte le attività culturali, tuttavia come sempre si arriva a un modus vivendi: i giovani artisti, intellettuali, registi, si trovano un lavoro “normale” e nel tempo libero – e in Urss ce n’è tanto – continuano a scrivere, dipingere, filmare.

Schizzo dello scultore Ernst Neizvestnyj che nel ’62 litigò con Nikita Chruščёv sull’arte

Le riunioni ora non avvengono più alla luce del sole, ma nelle cucine delle case di quei fortunati che abitano in un appartamento non in coabitazione. Si sceglie la cucina perché è il luogo più grande e più caldo della casa russa. Vi partecipano decine di persone stipate a discutere di tutto, si crea un nuovo linguaggio a-sovietico con il quale si manifesta il disinteresse assoluto nei confronti della società così come è organizzata. Non è un aperto dissenso ma un rifiuto a parteciparvi.

Quando c’era l’URSS di Gian Piero Piretto, che parte dalla rivoluzione d’ottobre, è molto più ricco di questa breve esposizione. Contiene un inventario di tutte le “cose sovietiche” ormai finite in magazzino, all’apparenza rozze ma se interpretate secondo la “dialettica sovietica”, estremamente sofisticate. Ne è prova il fatto che nella Russia attuale esiste un revival e una forte nostalgia del passato. Si va dal ritorno di oggetti veri e propri come le scatolette di tè con l’elefante in cui era impacchettato il tè ufficiale, alla nostalgia per la vita di un tempo, avvolta nella rassicurante propaganda del regime.

Marco Melillo

Marco Melillo

Di professione Malaussène, di vocazione coccodrillo, soffre il freddo ma anche il caldo. E' uno dei primi fan delle "Poetesse nude". E’ lagnoso e divorato dalla fantasia.

2 commenti

  1. Sembra il proseguimento dell’esame di Storia dell’Europa Orientale che preparai ai tempi. Interessante e ben presentato da Marco Melillo.

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