Autore de La simmetria dei desideri e di Tre piani, da cui Nanni Moretti sta girando un film, Eshkol Nevo è uno scrittore israeliano, ex pubblicitario, insegnante di scrittura creativa. Lo abbiamo incontrato al ghetto di Roma, alla presenza di un pubblico numeroso, dove è stato intervistato da Maurizio Molinari.
Qual è il suo rapporto con la scrittura? Perché scrive? Come ha iniziato?
Ho cominciato a scrivere quando ero molto giovane e l’ho fatto perché avevo qualcosa dentro che non riuscivo a esprimere. Ero un ragazzo timido e scrivere era il solo modo per esprimere i miei sentimenti. Ogni mio libro ha una diversa motivazione. In Tre piani volevo investigare il rapporto tra genitori e figli. La tensione che c’è tra l’essere genitori e l’essere parte di una coppia. Per me ogni scrittura è una sorta di indagine in cui alla fine non si ha una risposta ma molte più domande e forse una profonda comprensione di quello che stai scrivendo.
Tre piani è la storia di un condominio a Tel Aviv che apparentemente è una palazzina normale ma a poco a poco si scopre che ci vivono delle famiglie. Qual è la dinamica che lega queste famiglie?
In pratica il libro parla di tre famiglie, ognuna della quali abita in un piano. E ogni famiglia ha un segreto. Noi pensiamo che la famiglia sia uno spazio intimo della nostra vita ma a volte all’interno della famiglia c’è un segreto che aiuta a tenerla unita. Un altro argomento che ho affrontato nel libro è quello della solitudine all’interno della famiglia. Se crediamo ai film hollywoodiani, vediamo che si incontrano, si sposano e vivono felici e contenti. Ma sappiamo che non è così.
Quando diventi un genitore e hai dei figli, magari pensi che non sarai mai più solo. E non è vero. Sono questi gli aspetti che volevo indagare nel libro. Ci sono tre confessioni in questo libro, anche se noi, come ebrei, non abbiamo il rito della confessione, non abbiamo neanche i confessionali. Eppure nel mio libro c’è un personaggio che ha così bisogno di confessarsi che a un certo punto esce e va a cercare una chiesa.
Intervista a Eshkol Nevo: le famiglie e i loro segreti
Quand’è che un segreto unisce e quando separa una famiglia?
Sentendo questa domanda ho pensato a quello che successo, non nel libro, ma alla mia famiglia. Quando avevo circa vent’anni e facevo il soldato, i miei genitori sono andati a vivere negli Stati Uniti per un anno. Durante il loro soggiorno lì, mio padre ebbe un attacco di cuore. Per fortuna sopravvisse ma non ci fu permesso dirlo a sua madre, quindi alla nonna. Era un segreto.
In effetti io non ne ho mai parlato con nessuno e non ne ho mai scritto. Ho ancora l’istinto a tenerlo segreto. Ora voi a Roma lo sapete, ma mi raccomando mantenete il segreto. Mia nonna era una persona molto sensibile e quindi lei sentiva che qualcosa non andava ma continuava a chiedere e noi negavamo. Poi a un certo punto ebbi un congedo per un mese, andai a trovare i miei genitori e mia nonna venne con me.
Perché non gliel’abbiamo detto? Perché lei era una tipica madre ebrea ed era sempre preoccupata per tutto. Perciò volevamo proteggerla. Mentre eravamo in aereo mi chiedevo se avessi dovuto prepararla in qualche modo perché lei avrebbe capito che mio padre aveva qualcosa che non andava. Perciò avevamo deciso che glielo avremmo detto. Dovevo prepararla in aereo o no? Poi siamo atterrati. Mio padre e mia madre sono venuti a prenderci per portarci a casa e mentre guidava lui gliel’ha detto. Io non ho mai capito se avevamo fatto la cosa giusta a non dirglielo. Lei era molto offesa: io sono la madre, come avete potuto non dirmelo?! D’altro canto noi l’abbiamo protetta e in effetti le abbiamo risparmiato sei mesi di angoscia. Questa è la natura del segreto, è complicato.
Intervista a Eshkol Nevo al Ghetto di Roma
Israele paese di conflitti in cui si parlano tante lingue
L’idea in Tre piani è che tutto sia così intenso in uno spazio molto ristretto, questo non è forse uno specchio di Israele, dove ogni persona che si incontra ha un segreto?
Effettivamente Israele è un posto molto intenso e questo per uno scrittore è un paradiso. Abbiamo così tanti conflitti nel nostro paese che basta sollevare lo sguardo per trovarne uno per strada. Non è solo una questione di densità, è che ci sono arabi ed ebrei, persone religiose e non religiose, ricchi e poveri, emigrati dalla Russia e dalla Francia. Si parlano tutte le lingue perché Israele è un paese di immigrati. Parliamo tutti ebraico ma ci sono tante altre lingue. Per me che racconto storie questa è una grande opportunità.
A un certo punto mi è stata ritirata la patente per tre mesi perché parlavo al cellulare mentre guidavo. All’inizio mi sembrava una catastrofe. Chi avrebbe portato mia figlia a scuola? Per un paio di giorni c’è stato il caos finché mi sono rassegnato a usare i mezzi pubblici. Non so qui, ma in Israele quando sei sull’autobus tutti parlano al cellulare ad altissima voce. Dopo tre giorni sull’autobus ho capito che quella era una miniera d’oro. Per tre mesi ho sentito le storie di uomini che venivano abbandonati dalle mogli, liti famigliari, persino dettagli di operazioni militari.
Ho usato quel periodo per raccogliere storie. Poi mi sono chiesto: ma dove finisce la nostra privacy? Se possiamo parlare di tutto ad alta voce, se fotografiamo e condividiamo tutto su Facebook, Twitter e Instagram, c’è ancora qualcosa che è rimasto privato? E’ ancora possibile avere dei segreti? Nel caso li avessimo a chi possiamo confessarli? E’ così che mi è venuta l’idea di questo libro.
Lei ha sostenuto il movimento delle tende. La protesta che c’è stata qualche anno fa quando dei gruppi di giovani israeliani che avevano problema a pagare l’affitto, hanno iniziato a mettere delle tende a Tel Aviv.
Queste manifestazioni sono avvenute nel 2011, guidate da studenti che mi hanno invitato a partecipare e mi hanno chiesto dei consigli. In realtà in Israele sono considerate un fallimento perché quel movimento non è riuscito a cambiare niente; l’economia è la stessa, il primo ministro è lo stesso. Per me invece è stata un’esperienza molto forte e importante perché condividere i propri valori e far sentire ad altre persone l’esigenza di cambiare qualcosa nella società è fondamentale.
Tra l’altro è stato un periodo in cui la mia vita ha avuto una svolta perché ero stato a Torino, alla Scuola Holden, e quando siamo tornati in Israele sono nati i nostri corsi di scrittura creativa con l’obiettivo di promuovere la tolleranza all’interno di ambienti intolleranti. In quel periodo è cambiata la mia vita. Quindi sì, io sono una persona che va alle manifestazioni. Un mese fa abbiamo manifestato e io avevo mia figlia sulle spalle e allora mi sono ricordato di quando anch’io ero sulle spalle dei miei genitori che manifestavano più o meno per gli stessi motivi. E’ importante pensare che si possa dire la propria opinione e si possa cambiare.
Insegnare è una cosa splendida ed è quello che volevo fare nella vita
Ci racconta questo incontro con la Scuola Holden e che tipo di scuola ha creato. Che cosa insegna ai suoi studenti?
Quando ho visitato la Scuola Holden sette, otto anni fa, perché vi ho tenuto un corso intensivo, sono rimasto impressionato dallo spirito di libertà della scuola. Io non ho mai pensato che il modo accademico fosse quello giusto per insegnare scrittura creativa. Quindi ho avuto l’ispirazione di iniziare una scuola in cui ci fosse uno spirito libero, di tolleranza e un approccio democratico con gli studenti.
Sono molto fiero di essere un insegnante. Penso che sia una splendida cosa da fare nella vita. Quando avevo sedici anni se mi avessero chiesto che cosa volevo fare nella vita, non avrei risposto lo scrittore, ma avrei risposto l’insegnante. Quando si insegna si vede subito e in maniera evidente l’effetto di quello che si sta facendo.
Vi racconto un episodio molto bello accaduto quest’anno. Alla fine di un workshop abbiamo chiesto agli studenti di raccontarci com’era andata e una ragazza ha detto: “Voglio ringraziarvi perché in questo corso io ho fatto esperienza di una grandissima intimità con tutte le persone presenti. Nella mia vita normale non si fanno delle conversazioni così profonde come quelle che io ho avuto in questi pochi giorni. Io ho molti amici su Facebook e molti amici fuori, ma mai con loro ci sono queste conversazioni autentiche e intime”.
E’ questo il motivo per cui insegno. Non è per creare degli scrittori, ma è l’aspetto umano quello che mi interessa. Credo che la tecnologia stia mettendo distanza fra le persone. C’era un tempo in cui con i miei amici de La simmetria dei desideri io parlavo – sono i ragazzi con cui sono cresciuto – ora invece ci mandiamo dei messaggi. Non dobbiamo perdere il contatto intimo con le persone e se io posso ripristinarlo con l’insegnamento, allora sto facendo qualcosa di importante.
I tre valori insindacabili di Israele
Lei ha un grande slancio verso il sociale, verso ciò che la circonda.
La situazione odierna in Israele per me è abbastanza preoccupante. Sono cresciuto con dei valori che erano al centro della nostra vita e che sono scritti nella nostra costituzione. Questi tre valori fondamentali e insindacabili sono la democrazia, il rispetto del sistema giudiziario e la libertà di parola. Sono assiomi non negoziabili perché questo è Israele, questo è ciò che siamo. E sono triste e anche arrabbiato che ci siano alcune parti del nostro scenario politico che li mettono in discussione.
La scorsa estate io ho parlato a una manifestazione contro una proposta di legge chiamata “fedeltà della cultura” per cui se tu non eri fedele al paese in quello che scrivevi, o nella tua produzione artistica, quindi se eri critico, potevano toglierti il sostegno dello stato. Questa è un’idea non democratica, al limite della dittatura, e per fortuna la legge non è passata, ma trovo preoccupante che qualcuno potesse proporla. Sì, penso che ora è il momento di parlare e io lo faccio ovunque. Lo faccio qui con voi a Roma e lo faccio a Tel Aviv, perché per me questo è veramente Israele.
Israele Start-up Nation e paese in cui si legge moltissimo
Israele è un paese in cui si legge molto, tanto che molti scrittori vorrebbero essere tradotti in ebraico perché lì si vendono tanti libri. Come convive questo attaccamento alla carta col fatto che Israele è nota per essere la Start-up Nation all’avanguardia nell’innovazione e nell’hi-tech. In genere la cultura digitale non va insieme alla lettura. Com’è possibile una Start-up Nation che ama leggere?
Questo affonda le radici nella storia del giudaismo perché noi abbiamo mantenuto la nostra identità con le parole. Il fatto di essere la nazione del libro è legato alle nostre origini. Ora c’è una sfida che la vita moderna ci pone e quindi cerchiamo di gestirla e di capire come andare avanti. C’è una nuova generazione che è dipendente dallo smartphone.
Io non so che forma prenderà il raccontare storie fra cinquant’anni. Che forma avrà il libro. Le storie ci saranno sempre perché credo che siano un’esigenza basilare dell’essere umano. Proprio di recente io ho pubblicato in Israele dei racconti brevi con una colonna sonora. E’ una fantasia che avevo da tantissimo tempo: scrivere una storia che avesse già una colonna sonora. Quindi mi sono messo a lavorare insieme al musicista. Sicuramente ci saranno dei nuovi modi di raccontare le storie e questa è una sfida.
Intervista a Eshkol Nevo al Ghetto di Roma
Tre piani da romanzo a film
Tre piani diventerà un film. Nanni Moretti lo sta trasformando in qualcosa che vedremo sul grande schermo. Ci racconta com’è nata andata?
Ero a casa, un giorno qualsiasi, e mi è arrivata una email da Nanni Moretti. Una email cortissima che diceva:
Ho letto il suo libro Tre piani e vorrei farne un film.
Lei è d’accordo?
In quel periodo mi arrivavano un sacco di fake email da falsi agenti letterari che mi proponevano di leggere del materiale. Quindi mi sono detto: “Questo probabilmente è un falso Nanni Moretti”. Perciò prima di saltare sulla sedia volevo essere sicuro che fosse lui. Perciò risposi: “Potrebbe, per favore, sviluppare la visione che avuto riguardo al mio libro?”. Ho pensato che se non fosse stato Nanni Moretti non avrebbe risposto. A quel punto ho ricevuto una lunghissima email da Nanni Moretti che mi spiegava esattamente la sua visione del film.
Allora mi sono sentito molto fortunato. Io sono sempre stato un ammiratore dei suoi film e quando ho visto Caro diaro, avevo 21 o 22 anni ed ero strabiliato dal film perché non mi ero mai sentito così intimo con un personaggio. Perciò sono molto contento. E posso dirvi è che proprio oggi ero sul set del film e ora cammino a cinquanta centimetri da terra. Fino ad oggi infatti c’erano solo email, ma dalle otto e mezza di questa mattina ho visto che stava accadendo davvero.
Sono arrivato e stavano girando una scena del libro che ho riconosciuto subito ed è stato come se un sogno diventasse realtà, ma non nel senso del cliché. Ogni mio libro è un sogno che è stato elaborato dal mio subconscio e stamattina, in un posto a un’ora da Roma, il mio sogno era davvero lì, interpretato da attori italiani. E’ stata un’esperienza meravigliosa per la quale sono ancora eccitato e non vedo l’ora di vedere il film.
Secondo lei, che cosa ha trovato di italiano nel suo libro, un regista come Nanni Moretti?
Dovrebbe chiederlo a Nanni Moretti. Ma provo a rispondere. Se io penso a scrittori italiani come Natalia Ginzburg, Italo Calvino, Paolo Giordano, Elena Ferrante, mi sento del tutto capace di identificarmi nei loro romanzi. I libri sono al di là delle differenze culturali. Uno dei momenti più speciali che mi sono capitati come scrittore è stato in un reading a Milano qualche anno fa, alla presentazione di Tre piani.
A un certo punto una signora ha alzato la mano e ha detto: “Non ho una domanda da fare, ma vorrei dirle che ho letto il suo libro e sono stata capace di perdonare me stessa”. E io ho pensato che è per questo che scrivo, per questi momenti che vanno al di là delle culture, al di là delle differenze, nelle profondità di quello che fai. Una delle ragioni per cui io ho scritto Tre piani è stato per perdonare me stesso. Perciò ho raccontato questi personaggi che fanno tanti errori; i libri sono in grado di dare ad ognuno di loro un momento di perdono. Se quella donna a Milano ha potuto perdonare se stessa leggendo il mio libro, posso dire di essere uno scrittore felice.