Chi ha lasciato sulla scrivania di Igor Makarcev, direttore del diffuso quotidiano Trudovaja Pravda (la verità del lavoro), il testo clandestino dattiloscritto di La Russie en 1839 (La Russia nel 1839), opera del viaggiatore francese Astolphe de Custine? Il libro descrive i guai dell’Impero Zarista ma è ugualmente messo all’Indice dall’Urss perché le sue considerazioni appaiono ancora fin troppo attuali.
Makarcev, giornalista di lungo corso e uomo buono per tutte le stagioni, vorrebbe scoprirlo, ma non riesce a farlo perché, poco dopo questa scoperta, il 23 febbraio 1969, viene colto da un infarto e ricoverato in ospedale.
Temendo che il manoscritto fosse una trappola per testare la sua fedeltà al regime di Breznev, Makarcev lo aveva riposto in un cassetto della sua scrivania, dentro una busta indirizzata al KGB. Qui sarà scoperto dopo parecchio tempo da uno dei suoi redattori, che peraltro ne ignora totalmente il contenuto e il significato.
Intanto l’infarto di Makarcev, che teneva letteralmente in pugno il giornale, ha gettato la redazione nel panico. L’ultima decisione del direttore è stata quella di organizzare un subbotnik, ossia un giorno festivo di lavoro volontario, dedicato alla celebrazione del regime. Questo per affermare, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, la sua fedeltà al regime stesso. L’organizzazione di questo subbotnik, in assenza di Makarcev, si rivela più complicata del previsto. Ma c’è dell’altro.
La redazione della Trudovaja Pravda è un microcosmo comprendente una sterminata quantità di tipi umani. Persone di ogni genere, ognuna con la propria storia alle spalle, tutte con una incoercibile inclinazione a cacciarsi nei guai. Anche perché, nell’Urss di Breznev, per cacciarsi nei guai, basta pochissimo.
Prima su indicazione dei colleghi, poi su investitura semi-ufficiale da parte di Makarcev, non appena riesce di nuovo a comunicare, la responsabilità di tenere in piedi la baracca viene attribuita al personaggio più ambiguo, ma ambiguo in senso positivo, ossia capace di barcamenarsi in qualunque tipo di situazione. È il redattore e ghostwriter Yakov Rappoport, un ebreo sopravvissuto a ben due internamenti in campi di lavoro. Rappoport ha conoscenze dirette e indirette che arrivano dappertutto. Molti pezzi grossi del regime gli devono qualcosa perché ha materialmente redatto gli scritti che loro hanno poi firmato. Quindi è la figura più adatta a risolvere i problemi.
Neanche Rappoport, però, può fare miracoli. Molti dei problemi che deve risolvere sono ancora lì, quando finalmente, il 30 aprile Makarcev riprende il suo posto. Col passare del tempo, ai problemi iniziali se ne sono aggiunti continuamente di nuovi. Le conseguenze saranno tragiche.
Sintetizzare un romanzo come Angeli sulla punta di uno spillo di Jurij Druznikov, che nella traduzione italiana conta circa 560 pagine scritte piuttosto fitte, non è facile. Tanto più visto che il romanzo è diviso in settanta capitoli. E questi spesso introducono storie a parte rispetto alla vicenda principale, presentando i nuovi personaggi che via via si affacciano sulla scena.
La trama procede con la figura di Makarcev che resta sempre sullo sfondo. Mentre le azionei di Rappoport finiscono per rappresentare una specie di filo conduttore. Il plot si srotola in una concatenazione di sottostorie, in cui ogni personaggio di rilievo cede la scena a quello successivo come se fosse il testimone di una staffetta.
Si è parlato molto, e sicuramente a proposito, dell’influenza di Bulgakov, su Angeli sulla punta di uno spillo (vedi anche qui) per quanto riguarda la descrizione del mondo dominato dalla burocrazia e dalla paura in cui si muovono tutti i protagonisti e per il racconto di come i più scafati tra questi siano sempre pronti a passare da una posizione all’altra non appena si prospetta all’orizzonte il minimo pericolo.
Ma l’influenza di Bulgakov si sente anche nell’elemento fantastico che ogni tanto fa capolino. Ad esempio dopo la lettura del testo clandestino (samizdat) e soprattutto durante la malattia, a Makarcev appare ripetutamente il marchese de Custine. Con lui il giornalista ha delle approfondite conversazioni. Sebbene un romanzo come questo, ricchissimo di invenzione, di esperienza diretta e di feroce umorismo, viva benissimo di vita propria senza doversi necessariamente nobilitare con riferimenti ai capolavori precedenti.
Jurij Druznikov, nato il 17 aprile 1933 a Mosca, è stato uno scrittore dissidente, colpito ripetutamente dalla censura. E’ stato sottoposto a privazioni della libertà personale al tempo di Breznev e di Andropov. Ciononostante, è riuscito a rimanere attivo, scrivendo soprattutto per il teatro, e a diffondere qualche opera in forma di samizdat: la diffusione clandestina di scritti censurati, o in qualche modo ostili al regime sovietico.
Nel 1986, grazie all’intermediazione di un gruppo di intellettuali americani e in particolare al lavoro dell’avvocato e politico democratico, Gerry Sikorsky, che volò fino a Mosca per trattare la concessione del visto d’espatrio, lo scrittore è stato autorizzato da Gorbacev a trasferirsi negli Usa. Lì ha insegnato Letteratura Russa all’università di Davis, in California, fino alla morte, sopraggiunta il 14 maggio 2008.
La sua opera è poco nota in Italia, perché tradotta da piccoli editori, soprattutto Barbera, e alcuni titoli sono anche usciti fuori catalogo. Restano comunque ancora reperibili sul mercato dei remainder o dell’usato. E ne vale la pena!