Con i suoi 79 anni d’età, è uno dei villain più famosi del fumetto internazionale, nonché uno dei più longevi. Fedele al suo profilo sopra le righe, si ritrova ora ad essere portato sul grande schermo per la prima volta da protagonista. Joker di Todd Phillips è però molto più che un cinecomic: è più dell’adattamento di un fumetto incentrato sul nemico numero uno di Batman. E questo gli è valso il Leone d’Oro a Venezia.

Inquietante e dissacrante
Joker (leggi anche qui) è un film che rappresenta in maniera inaspettata il presente politico e sociale, incarnando lo zeitgeist (lo spirito del tempo) che non abbiamo sempre il coraggio di guardare in faccia. Se pensiamo poi che a girarlo è stato un regista noto per la saga di Una notte da leoni e In viaggio con il folle, il cortocircuito è completo.
Del resto è nella natura ibrida del personaggio contraddire le aspettative in modo dissacrante. A dispetto del nome, Joker è inquietante e disturbante, fa battute che non fanno ridere e ha in sé qualcosa di intimamente drammatico.

Fin dalla sua prima apparizione nel 1940 la storia delle sue origini è rimasta in sospeso, inizialmente avvolta nel mistero e poi risolta in vari modi. Maggior diffusione l’ha avuta quella ripresa da Tim Burton nell’interpretazione di Jack Nicholson. Ovvero un piccolo criminale con aspirazioni da comico che finisce sfigurato da sostanze chimiche che ne alterano l’aspetto e la psiche.
Quella più interessante e “nobile” è firmata invece per i fumetti dal maestro Alan Moore e riadattata al cinema da Christopher Nolan in The Dark Night, titolo italiano Il cavaliere oscuro (vedi il trailer): lì il racconto autobiografico cambia a seconda dell’interlocutore ma in ogni caso delinea Joker come uno psicopatico sfuggente. L’interpretazione da Oscar (purtroppo postumo) è quella di Heath Ledger, a cui è poi seguita quella camp e rock di Jared Leto nel dimenticabile Suicide Squad (vedi il trailer).
Tante versioni cinematografiche, sono forse troppe?

L’uomo che ride di Victor Hugo
C’è da dire che i creatori di Joker, Bill Finger, Bob Kane e Jerry Robinson, per il suo aspetto s’ispirarono proprio al cinema, ovvero al film muto L’uomo che ride, a sua volta tratto da un romanzo di Victor Hugo. Gwynplaine, il protagonista de L’uomo che ride, era stato sfigurato alle labbra da ragazzo e costretto quindi a un eterno sorriso: un particolare drammatico, una maschera grottesca che suscita pietà quando confrontata con le sue tante sventure.
Ecco, il Joker nell’incarnazione di Joaquin Phoenix ha molto in comune con Gwynplaine. Come lui soffre di una tragica scissione fra interno e esterno, fra emozioni e loro espressione. Affetto da una malattia mentale conclamata, tanto da essere in terapia, Arthur Fleck ha una risata incontrollabile che scoppia quando è teso, imbarazzato o nervoso. Ovvero in tutte le situazioni in cui ridere è fuori luogo e socialmente inaccettabile. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, lavora come clown e sogna di diventare uno stand up comedian, riempiendo il suo diario dei sogni di battute nere.
Gotham City
Sa che “è dura essere sempre felice” ma ci prova, ci prova con ogni fibra del suo essere malato. La sera a casa siede davanti alla tv per seguire il programma comico del suo idolo, interpretato con la giusta dose di istrionismo da Robert de Niro. Poi mette a letto sua madre, costretta in casa da una malattia di cui si capirà più avanti l’origine. Madre e figlio vivono in povertà, lui che tenta di sbarcare il lunario lavorando per l’agenzia di clown e lei che scrive innumerevoli lettere indirizzate a Thomas Wayne (il padre del futuro Batman, Bruce), deus ex machina di Gotham.

Quest’ultima è una città sull’orlo del precipizio, con uno sciopero dell’immondizia in corso, ratti che scorrazzano liberi in ogni dove mentre i privilegiati organizzano lussuose serate di beneficenza (ogni riferimento a capitali realmente esistenti è casuale).
In una delle primissime scene del film, Arthur si trova in vesti da clown a lavorare sul marciapiede, pubblicizzando una svendita, quando viene preso di mira da una banda di giovani teppisti e finisce con l’essere malmenato. Arthur è fragile ed esposto, la psiche perennemente in bilico. Come avrebbe detto il Joker di Ledger, gli manca solo una “spintarella” per precipitare e la trama del film, su cui soprassediamo per evitare spoiler, gliela fornisce in abbondanza.
Più si va avanti e più le meschinità, l’indifferenza, i pregiudizi si abbattono inesorabili su di lui e sulla sua risata tragica. Finché la misura non appare colma e qualcosa scatta nella sua mente confusa. Da quel momento in poi inizia una sorta di riscatto al contrario, tanto segreto quanto la sua maschera di clown diventa nota. Dalla cronaca nera si trasforma in vessillo di una popolazione arrabbiata e rancorosa, violentemente tesa a dividere il mondo in noi e loro. L’escalation è lenta e ineluttabile, in un crescendo di tensione costellato di picchi di violenza inattesi e brutali.

Non è un film facile, ma è costruito con un’integrità stilistica e di contenuti esemplare: i riferimenti al cinema degli anni ’70 e in particolare a Taxi Driver di Scorsese sono tanti e tutti azzeccati (vedi il trailer). Perché come allora anche oggi ci troviamo come sospesi su un baratro, anche noi a rischio “spintarella”, in un mondo che tende alle polarizzazioni estreme. Noi e loro, poveri e ricchi, Occidente e Oriente. Ignorando che in fondo l’essere umano è sempre uguale a sé stesso in qualunque tempo e in ogni luogo.
La maschera del Joker nella finzione, o quella di Guy Fawkes in V per Vendetta (vedi il trailer), nella realtà si svuotano del significato originario per diventare bandiera di una ribellione senza orientamento. Si da fuoco alla mondezza per rabbia anche se così si finisce per inspirare fumi tossici. Perché si è rimasti chiusi fuori da un cancello o da uno studio televisivo, ignorati troppo a lungo. Mancano gli strumenti (mentali, culturali, morali) per riappropriarsi dei propri diritti. Quindi si finisce con l’urlare più forte o con il coprirsi il volto di biacca e dare sfogo ai propri istinti omicidi.

Joaquin Phoenix e Todd Phillips
Joaquin Phoenix indossa la magrissima e quasi malsana pelle di Arthur Fleck/Joker con una perizia magistrale, una naturalezza commovente. Sarebbe troppo facile dire che porta tutto il film sulle sue spalle,. Perché se è vero che la sceneggiatura è fin troppo lineare e quasi prevedibile nel colpo di scena, Joker ha altri punti di forza. Nella regia misurata ma non banale di Todd Phillips, nella fotografia suggestiva e in linea con l’ispirazione anni ’70 (altro che la filologia superficiale di Tarantino!), nelle scenografie e i costumi perfettamente al servizio del film.

Ma sì, Phoenix è perfetto e sarà praticamente impossibile strappargli l’Oscar dalle mani. Così Joker (vedi il trailer) sarà probabilmente il film che sdoganerà definitivamente i cinecomic agli Oscar (pioniere fu sempre la DC Comics con la trilogia di Nolan, seguita più recentemente da Black Panther), e meritatamente. Con buona pace dei critici a priori che temono l’idealizzazione dello psicopatico che, no, non è idealizzato né mostrato come un eroe, ma di cui si vede accanto alla psicopatologia omicida pure l’umanità. Del resto, di banalità del male aveva già parlato qualcuno… e non era Batman.
Recensione ricchissima di spunti e con un taglio critico di grande fascino. Grazie Marzia