Sangue giusto di Francesca Melandri

“Parente nostro sì, parente nostro no… ma a te cosa cambia, saperlo di sicuro?”

L’Esquilino, è il quartiere – anzi il RIONE più centrale di Roma

Non se la prenda a male Piazza di Spagna ma, come spiega Francesca Melandri nel suo Sangue giusto, l’Esquilino è al centro esatto del Grande Raccordo Anulare, nonché inscritto nel triangolo formato dalle tre basiliche più monumentali dopo San Pietro: San Giovanni, Santa Croce in Gerusalemme, Santa Maria Maggiore. Queste ultime due facenti proprio parte del rione. Ricchissimo di storia e arte, anche antropologicamente è un posto super interessante, è la zona di Roma a più alta multiculturalità, ormai assunta a postulato sociologico dell’Urbe.

Dove per multiculturalità intendo, non solo la mescolanza delle più varie sfumature epiteliali, ma anche quella di persone di diversissima provenienza sociale, che cercano di convivere mescolandosi e, pur mantenendo ognuno la propria radice culturale, creano al contempo una nuova entità inclusiva e tollerante, il sangue giusto nel senso migliore del termine.

Credo sia questo il motivo principale per cui la Melandri fa vivere la protagonista Ilaria proprio qui. Anche se in parte è sicuramente autobiografico, visto che l’autrice (e anche io, per quello che conta!) ci vive, per cui la descrizione dei profumi, odori – non sempre celestiali, per amor di verità – e colori, è proprio racconto di vita vissuta.

Un ragazzo che rivendica di avere il “sangue giusto” per restare in Italia

Mercato Esquilino

Quando Shimeta Ietmegeta Attila Profeti, nel 2010, si presenta davanti alla sua porta di casa dichiarandosi suo nipote, Ilaria è perplessa ma non respingente. “Tuo padre ha avuto mio padre con mia nonna durante la guerra in Abissinia degli anni ’30”: le dice lui e Ilaria lo fa entrare in casa. Poi per venirne a capo chiama il suo mezzo fratello (anche qui, stesso padre, madre diversa), Attilio junior, che abita sullo stesso pianerottolo, “tra piazza Vittorio e la stazione Termini” .

La storia di questo libro inizia così, con il ragazzo che rivendica il “sangue giusto” per restare in Italia, per avere un permesso di soggiorno e iniziare una nuova vita visto che nel suo Paese non è più possibile.
Attilio Profeti, 95enne protagonista e motore iniziale di tutto, non è ormai più in grado di confermare o smentire alcunché, così Ilaria e Attilio jr cercano il bandolo della matassa nella memoria familiare.

Ilaria, sfogliando libri alla Biblioteca Nazionale, googlando nomi, spulciando nella scatola di latta dei ricordi del padre, scoprirà un’intera parte della vita che quest’uomo bello e fortunato non le aveva mai raccontato.

Due filoni paralleli: l’era Berlusconi con l’arrivo di Gheddafi…

Sangue giusto dipana la sua trama su due filoni paralleli. Quello contemporaneo, in piena era Berlusconi con tutto il suo corollario di Ruby, Bunga Bunga, Gheddafi amico del cuore poi scaricato alla velocità della luce, più il resoconto di quello che passano tutti i migranti che arrivano nei cosiddetti centri di accoglienza. Poi c’è il filone storico, con il racconto della vita di Attilio/Attila Profeti ragazzo, camicia nera in Abissinia durante la guerra di conquista e i relativi deliri fascisti, uno tra tanti, sulla superiorità della razza.

Questo è il destino delle razze superiori quando s’incrociano con le inferiori: l’inevitabile decadenza […] per questo il meticciato è il cancro della civiltà

… e la Guerra d’Africa

Nei libri di storia non si parla molto della Guerra d’Africa, nella memoria collettiva il racconto del Fascismo è tutto concentrato sull’Italia e sui suoi rapporti con la Germania hitleriana, dall’esaltazione mussoliniana alla Resistenza.
Ammetto che io stessa, pure essendo una grande appassionata di storia contemporanea, non avevo mai approfondito questa parte del Ventennio. Francesca Melandri (vedi qui la nostra intervista video all’autrice) con Sangue giusto, ci racconta le atrocità coloniali italiane nella guerra d’Abissinia, dalle più efferate come gli attacchi con le armi chimiche, a quelle solo apparentemente più blande come il madamato.

Veniamo così a sapere che, per evitare le sanzioni della Società delle Nazioni, gli effetti devastanti dei bombardamenti con l’iprite venivano spiegati dai fascisti come conseguenze di una forma di lebbra endemica dell’Etiopia. Inoltre le misure corporee di qualche centinaio di indigeni scelti ad hoc venivano assurte a spiegazione scientifica della inferiorità della razza africana. E i campi di concentramento in mezzo al deserto erano fatti così bene da essere studiati dai tedeschi per “certi loro motivi, su cui non si dilungarono”.

Francesca Melandri autrice di Sangue giusto

La delicatezza narrativa dei suoi romanzi

La delicatezza narrativa che ritrovo i tutti i suoi romanzi si unisce all’accuratezza storica, dovuta a una ricerca quinquennale dell’autrice sulla guerra d’Abissinia, sul razzismo scientifico e sull’indottrinamento di propaganda che plasmava pensieri e sentimenti. Corsi e ricorsi storici di cui siamo attuali testimoni, purtroppo.

Il binomio storia vera/trama inventata, espediente narrativo in molti libri che raccontano parte della storia d’Italia, rende questo Sangue giusto avvincente come una saga e interessante come un saggio. Anche perché da noi non c’è stato nessun processo ai gerarchi fascisti come invece è successo in Germania e libri come questo sono invece fondamentali per tenere sempre presente che a criminali di guerra come Graziani non è proprio il caso di erigere statue o intitolare strade.

Lo Zighinì etiope, che ci accompagna lungo tutte le pagine del libro, è piuttosto complicato da preparare. Soprattutto perché è abbinato all’Injera che è una specie di pane/crêpe acidulo fatto con la farina di Teff… assaggiatelo, perché è molto buono, in un ristorante dedicato.

La faccio molto più semplice e vi racconto di un piatto che, per la spezia che usa, racchiude la quintessenza delle cucine dell’Esquilino, così ben evocate da Francesca Melandri: il pollo al curry.
Molto semplice, potete variare la piccantezza variando il tipo di curry che userete. Quello che si compra normalmente nei supermercati è così occidentalizzato che il subcontinente indiano presente in zona lo snobba, ma per noi va benissimo. Velocissimo, gustoso, il pollo al curry si cucina in una sola pentola e con un po’ di riso basmati (al gelsomino, se volete esagerare) è pure un piatto completo!

Pollo al curry

8 tra cosce e sovracosce di pollo
1 mela verde tagliata a cubetti
1 cipolla gialla di media grandezza, tritata
50 gr di farina
50 gr di burro o, se volete essere filologici, ghee (il burro chiarificato, si trova nei supermercati)
2 o 3 cucchiai di curry, secondo il vostro gusto (per me 3)
1 litro di brodo vegetale o di pollo
Riso basmati per accompagnare

Passate sulla fiamma il pollo per togliere eventuali piumette, poi infarinatelo così da coprire per bene tutti i pezzi. Fate fondere metà del burro in una casseruola capiente. Poi adagiateci il pollo e fatelo rosolare da tutte le parti, quindi scolatelo e mettetelo da parte su un piatto. Nella casseruola aggiungete il restante burro e fate rosolare leggermente la mela e la cipolla. Poi unite un bicchiere di brodo, il curry e mescolate per formare una salsina densa.
Adagiate di nuovo il pollo nella casseruola, rigiratelo nella salsa di curry, poi aggiungete il resto del brodo e coprite. Lasciate cuocere per circa 30/40 minuti, finché il pollo è ben cotto.
Scoperchiate gli ultimi 5 minuti se vedete che il sugo è troppo liquido.
Servitelo caldo con del riso basmati che, nel frattempo, avrete bollito in acqua salata.

Simona Chiocca

Simona Chiocca

Napoletana di nascita e romana per scelta, da sempre sono innamorata della cara vecchia Inghilterra. Lavoro nella produzione cinematografica e da che ho memoria sono appassionata di cucina e passo quasi ogni momento libero spignattando e infornando a più non posso. Cinefila e profondamente gattara, vivrei in un autunno perenne con libri e tè.

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