Unbelievable è una serie americana prodotta da Netflix e distribuita a partire dal 13 settembre 2019. In 8 puntate, la serie ripercorre il caso dello stupratore seriale Marc O’Leary, 33enne del Colorado, condannato all’ergastolo per aver commesso e confessato più di 30 stupri, avvenuti tra Washington e il Colorado.

Unbelievable è indubbiamente una storia al femminile. Di una donna è l’intero progetto. A crearlo produrlo, scriverlo e sceneggiarlo, è l’esperta Susannah Grant, sceneggiatrice di progetti di successo come Cinque in famiglia ed Erin Brockovich. Donne sono tutte le protagoniste: la giovane Kaitlyn Dever che interpreta Marie Adler, le determinate Toni Collette e Merritt Wever, nei panni, rispettivamente, della Detective Grace Rasmussen e la Detective Karen Duvall. E femminile è il dramma di cui si parla: lo stupro.
Un’inchiesta premiata dal Pulitzer
Come When they see us, di cui abbiamo parlato qui, anche questa serie è ispirata ad un fatto di cronaca veramente accaduto, in cui la confessione estorta ad un’adolescente ha un ruolo centrale. Si tratta della storia della giovane Marie Adler che, dopo aver denunciato una violenza sessuale, ritratta e viene accusata di falsa testimonianza. Il caso era già stato reso pubblico dall’inchiesta An unbelievable story of rape, curata dai giornalisti T. Christian Miller e Ken Armstrong per ProPublica, che ha vinto il Premio Pulitzer nel 2016 nella categoria dedicata al giornalismo investigativo. Se ne parla anche in uno degli episodi del podcast This American Life. La serie in 8 puntate ne approfondisce alcuni temi.

Il caso
D.M. – il nome della protagonista della storia non è mai stato rivelato nella realtà – è una ragazza dal passato complicato. Abbandonata dai genitori biologici, passa gli anni tra orfanotrofi e centri di accoglienza, sperando in una adozione molte volte promessa e mai ottenuta. Nel 2008 si trasferisce in una nuova città: Lynwood. Qui dovrà ricominciare da capo, nuovi amici, nuovo lavoro, ma alla fine trova il suo equilibrio. Finché una sera di agosto, nel cuore della notte, un uomo misterioso fa irruzione nella sua camera e, dopo averla legata, bendata e imbavagliata, la violenta. Dopo essersi riuscita a liberare, D.M., allora diciottenne, chiama la polizia e denuncia il fatto.
Una volta arrivata in appartamento, la polizia nota degli elementi che reputa non convincenti. Inoltre, la ragazza sembra stranamente lucida e, in seguito all’estenuante richiesta di raccontare l’episodio più e più volte, finirà per contraddirsi in alcuni punti. Nonostante i medici rilevino segni di violenza e in camera ci siano impronte dello sconosciuto, nessuno sembra credere alla ragazza. Convinti che voglia solo attirare l’attenzione su di sé, i poliziotti la pressano. Ed alla fine, otterranno da lei una deposizione in cui confessa di aver inventato tutto.
Questa confessione le procura un avviso di garanzia per falsa testimonianza, l’attenzione della stampa e del web che inveiscono contro il suo comportamento. D.M. finisce in libertà vigilata, dovrà pagare 500 euro di cauzione, fare terapia obbligatoria, cercarsi un nuovo lavoro e provare a ricostruirsi una vita avendo perso ormai anche tutti gli amici che la reputano una bugiarda.

A centinaia di migliaia di chilometri di distanza da Lynnwood, tra Golden e Westminster, in Colorado, le detective Stacy Galbraith e Edna Hendershot cominciano ad indagare assieme su degli episodi di stupro che presentano elementi in comune.
Dopo lunghi mesi di collaborazione e controlli incrociati, le due riescono, nel 2011, ad individuare lo stupratore seriale. Si tratta di Marc O’Leary, 33enne originario di Lakewood, Colorado, condannato poi all’ergastolo. La scoperta viene confermata dal ritrovamento di tutti gli strumenti con cui metteva in atto le aggressioni. Tra questi gli hard disk in cui archiviava le foto delle donne dopo averle stuprate. Ed è proprio tra queste foto che compare D.M.
Grazie alle due detective, il caso viene sottoposto di nuovo all’attenzione della polizia di Lynwood e D.M. otterrà il risarcimento della cauzione versata nel 2008, di 500$ e 150.000$ per i danni subiti. Una magra consolazione, in realtà, se pensiamo al fatto che, oltre alla confessione pubblica di aver commesso un grave errore, nessuno della polizia di Lynwood ha ricevuto alcuna ammenda per aver indotto una giovane adolescente a confessare il falso in preda al panico.
D.M. nonostante tutto, si è però finalmente rifatta una vita. Ha trovato un compagno, un nuovo lavoro ed oggi è madre di due bambini.
La serie tv
Rispetto al caso reale, la serie di Netflix arricchisce la storia di particolari drammatici. Marie Adler, dopo aver confessato il falso, per esempio, tenterà il suicidio, cosa di cui però non abbiamo testimonianza reale. Tutto il mondo delle vittime è parzialmente ricostruito in modo finzionale, a partire dai loro nomi distorti, per questioni di privacy. Si tratta di un passaggio necessario nella trasformazione in un genere di parziale intrattenimento, ma l’obiettivo appare subito chiaro.
Al centro di Unbelievable, infatti, c’è un mondo composto di strati di pregiudizi e di nodi psicologici che non fanno altro che annebbiare il senso della verità: il mondo della violenza alle donne. E’ notizia recente, per esempio, lo scandalo suscitato dalla sentenza del giudice del tribunale di Barcellona che ha annullato l’accusa di stupro nei confronti di un branco che aveva violentato a turno una minorenne, condannando gli imputati ad una pena minore. Per la legge spagnola, infatti, il reato di stupro sussiste solo in presenza di uso della forza o minaccia, mentre, in questo caso, la giovane si trovava in “stato di incoscienza” indotto da alcol e droghe – forniti dal branco ovviamente – e non ha dunque opposto resistenza agli uomini.

Il reato di stupro è da sempre coperto da un alone di “se” e “ma”, decisamente più lungo del normale
Rispetto ad altri reati, quello di stupro è da sempre coperto da un alone di “se” e “ma”, decisamente più lungo del normale. Dubbi che vanno dal più banale “forse se l’è cercato” al più sofisticato “vuole vendicarsi di qualcuno e attirare l’attenzione su di sé”. Eppure casi di donne che hanno visto la propria vita distruggersi dopo essere state vittime, o che, addirittura, hanno deciso di togliersi la vita di fronte alla vergogna e alla punizione collettiva, dovrebbero averci insegnato qualcosa.
Nella serie, proprio per affrontare ed esorcizzare questi pregiudizi, le protagoniste sono tutte donne ed è sul rapporto tra di loro che le 8 puntate si concentrano. Tre attrici che interpretano tutte mirabilmente il loro ruolo e che spingono a riflettere, più che sul ruolo della giustizia – in questo caso ripristinata – proprio sull’essere donna. Su quel mix così difficile da coniugare tra fragilità, determinazione, forza di volontà e accettazione sociale, ruolo pubblico e vita privata.
Personalmente, credo che la serie riesca perfettamente nel suo intento. Perché al termine delle puntate, le loro storie, i loro sguardi, le loro conversazioni, ti si stampano in mente. Tre donne completamente diverse tra loro, nelle credenze e negli stili di vita, che però lottano per lo stesso scopo: essere riconosciute. E vincere.
Per questo motivo, da donna, anche se non sono mai stata femminista, mi piace leggere questa storia un po’ come un manifesto. Che, in questo caso, si è affermato anche grazie a un po’ di fortuna. Ma la speranza è che la fortuna, in queste cose, smetta finalmente di avere un ruolo.