I roghi divampano sempre nelle fragili anime umane, così a Berlino, il 23 marzo, alle 23.41 di un anno indefinito, un palazzo “rivestito di intonaco rosa” prende fuoco. L’incendio divampa nell’ultimo romanzo di Simona Sparaco Nel silenzio delle nostre parole (DeA Planeta 2019), ovvero quelle dei suoi inquilini da troppi anni colpevolmente e tragicamente muti.
Per le quindici ore che lo precedono si snodano e interferiscono storie di figli lontani. Quella di Alice, “esile, bionda, fitta tempesta di lentiggini”, distratta e fantasiosa studentessa di architettura e quella dello spiazzante Bastien, “Kurt Cobain in versione arabeggiante”, con lo sguardo spiritato, frequenta cattive compagnie e non è mai quello che sembra.
Vi si snodano le storie di tenaci legami coniugali che sfidano il Tempo e di altri legami nascenti, pronti ad accettarne le leggi e a giocare la partita di un cammino affettivo condiviso.
Sono anche storie di “corpi”: quelli dell’algerina Naima, madre di Bastien – “occhi allungati e labbra rosse” in un fisico inerte di “marionetta disarticolata”: da 33 anni solo l’ambiguo esoscheletro di una minacciosa sedia a rotelle. Donna caparbia contro gli “smottamenti” insidiosi delle proprie gambe, quanto nella passione tenace per il marito “biondo eroe che invecchia malamente”.
In ognuno di loro c’è una insopprimibile, talora inconscia, esigenza di maternità, di rapporto filiale e d’amore che vengono declinati nelle forme della pudica intimità senile. Oppure in quelle della sessualità che “sgretola i pensieri” come i muri della Storia. O prendono le forme delle tele di Matthias, il ragazzo di Alice, o quelle di un caldo abbraccio rubato fra donne. Sono loro, le donne, le vere forze vitali del romanzo, tanto più intense quanto più le parole tacciono, frustrate da timori, rimpianti, fraintendimenti per essere, magari, affidate all’espressione scritta e finire nel quaderno della madre di Alice: un felice espediente metaletterario.
I protagonisti, nell’imminenza della tragedia, si cercano, si incontrano, credono di riconoscersi, si desiderano e si scrutano, offrendo al lettore nuovi dettagli fisici e psicologici che la voce narrante ha taciuto o, addirittura, delineato diversamente. Perché nessuno, in fondo, vuole sottomettersi al silenzio e rinunciare a ritrovare – rischiando – la propria identità profonda.
Alla fine, in un pre-epilogo avvincente e non del tutto consolatorio, le fiamme liberano i sentimenti più reconditi, alimentano e ravvivano – purificatrici – le passioni sopite o negate, bruciano, prima ancora delle cose, ipocrisie, omissioni, nevrosi paralizzanti e complessi inibitori.
Nella distruzione si tirano le somme, si tracciano bilanci provvisori, si aprono prospettive e progettualità inattese “con” rinato dialogo, mentre tutti salvano tutti, anzitutto se stessi, dall’equivoco di un’esistenza che esige di essere vissuta con pienezza e coerenza.
Nel silenzio delle nostre parole
Credo che Nel silenzio delle nostre parole costituisca l’esito migliore e più maturo di Simona Sparaco, non solo sul piano tematico ma anche strutturale e stilistico. 225 pagine per poco meno di 24 ore e un “doppio finale”. Ancor più convincente e originale, rispetto alle precedenti opere, è il suo stile, essenzialmente dialogico, asciutto e pure mai semplicemente referenziale, che si arricchisce di improvvise aperture liriche. Così si percorrono “strade nitide i cui colori paiono ripassati dalla mano ansiosa di un giovane pittore”, al quale viene affidata la descrizione suggestiva e minimalista di una Berlino evocata, senza convenzionalità, nei suoi musei, nelle mostre estemporanee, nell’atmosfera multietnica di negozi e locali.