Il Natale trafitto di Alda Merini

Alda Merini, nata il ventuno a primavera del 1931, anima folle, circonflessa, circonfusa di santa sanguinaria e ipocrita si conquistò palmo a palmo i giorni di una vita segnata dalla malattia mentale e da una travagliata esperienza poetica.

Il Natale trafitto di Alda MeriniIniziò l’attività poetica negli anni Cinquanta, grazie all’attenzione di Giorgio Manganelli, Giacinto Spagnoletti e Pier Paolo Pasolini. Dopo le raccolte d’esordio La presenza di Orfeo e Tu sei Pietro, la Merini toccò il culmine con l’antologia La Terra Santa (1984) ed ebbe la definitiva consacrazione letteraria negli anni Novanta con le antologie Testamento (1986) e Vuoto d’amore (1991), curate da Giovanni Raboni e Maria Corti.

Un inappagato desiderio d’amore

Il primo dei due fondamentali poli dialettici della sua poetica è l’inappagato desiderio d’amore – di volta in volta sensuale vento selvaggio che assalta come lupo nella notte e lacerante anelito sanguinante verso braccia che mi rifiutano.

Un’accorata richiesta di fedeltà e comprensione 

Ti debbo parole come l’ape
deve miele al suo fiore, perché t’amo
caro, da sempre, prima dell’inferno
prima del paradiso.

Qui i toni echeggiano Emily Dickinson. La zingara Alda si fermerà al chiarore di una saffica luna per un unico bacio. Un’ansia religiosa la proietta verso un Dio di giacenza e di dubbio dalle mitiche forze, capace di leggere negli occhi l’esperienza del dolore e dell’internamento, di spegnere gli ardori di folli pupille e ascoltare il fiducioso richiamo di chi dispera.

Alda MeriniLa dirompente angoscia che trattiene la poetessa nelle sue unghie e dentro l’anima buia, precipita verso l’esperienza drammatica del manicomio, oscuro tranello con le sue barriere inferocite di fiori e il tempo perduto in vorticosi pensieri – in cui lei cade come in un pozzo acquitrinoso.

Ma ancora la luna si apre nei tetri giardini di un inferno decadente e folle, sorge il mattino azzurro fra sbarre. E se la linea oscura del silenzio è grande si deve tentare il riscatto, perché da una stazione imbrattata di fango/si può partire verso le vie del cielo. Il verso ricorda l’annaspare nel fango occhieggiando le stelle di Elio Pecora in Rifrazioni.  Non sono marginali e sarebbero tutti da indagare i contatti fra i due poeti.

I poeti, usurai pieni di croci, soli come bestie

E se i poeti usurai pieni di croci, soli come bestie somigliano ad una muta di cani alla periferia della terra, sono pure usignoli dal dolcissimo canto, non latrano invano e fanno ben più rumore/di una dorata cupola di stelle. La Merini, oste senza domande, riceve tutti solo che abbiano un cuore e orgogliosa, accorta seminatrice, colma il foglio bianco di versi i quali, brandelli di carne o polvere chiusa di un tormento d’amore, si sciolgono in un canto mai facile.

Natale 1989

Natale senza cordoglio
e senza false allegrie…
Natale senza corone
e senza nascite ormai:
l’inverno che già sfiorisce
non vede il suo “capitale”,
non vede un tacito figlio che forse un giorno d’inverno
buttò i suoi abiti ai rovi.
Marina cara,
la giovinezza ti lambisce le spalle
ed è onerosa come la poesia:
portare la giovinezza
è portare un peso tremendo,
sognare fughe e fardelli d’amore
e amare uomini senza capirne il senso.
Il divario di una musica
Il divario della tua fantasia
non possono che prendere spettri,
perciò ogni tanto te ne vai lontana
in cerca di una perduta ragione di vita
in cerca certamente della tua anima.

Il componimento è tratto da Le briglie d’oro. Poesie per Marina 1984-2004, una delle ultime raccolte poetiche di Alda Merini, pubblicata nel 2005 da Vanni Scheiwiller, che contiene 104 poesie d’amore. Scrive Alda Merini nella premessa: “come Cerere e Proserpina, Marina è stata un po’ la terra del mio canto”. Si riferisce a Marina Bignotti, la curatrice della raccolta con la quale ha lavorato per anni.

In questa splendida poesia, un incipit con un perentorio e insistito “senza sottrae alla celebrazione ogni valenza festosa e vanifica fiduciose aspettative di nuove nascite, tanto più quella del tacito Figlio che redime. Marina è un fantasma femminile, vero protagonista della lirica ben più del Natale, che è la ricorrenza in cui il testo è stato composto.

La donna vive il peso di una giovinezza nella quale l’amore, fardello di incomprensioni, disinganni, ansie irrisolte, incombe oneroso. Lontana va Marina – dopo aver sperimentato la ribelle diversità della propria fantasia, in cerca di un possibile “varco”. Le guardiamo noi, della razza di chi rimane a terra.

 

Marco Camerini

Marco Camerini

Formatosi alla scuola storico-critica di Walter Binni – di cui è stato allievo e con il quale ha collaborato negli anni conclusivi del suo magistero accademico alla Sapienza di Roma – è stato a lungo docente di Lingua e Letteratura italiana presso i Licei. Gli interessi della sua attività critica e saggistica sono rivolti alla lirica novecentesca e alla narrativa contemporanea, in particolare anglo-americana.

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