Si è appena conclusa “la notte delle edicole”, organizzata dai giornalai per trovare una soluzione alla loro crisi e chiedere di poter accedere al finanziamento pubblico per l’editoria. Intanto continua la nostra inchiesta sulla chiusura delle edicole (vedi qui la puntata precedente) con questa intervista di Marco Melillo a un edicolante misterioso. Si tratta di un edicolante di successo che ha voluto mantenere l’anonimato. Scopriamo qual è la sua ricetta.
Sul lato della piazza c’è una macchia di colore. Se l’intervistatore fosse una gazza si precipiterebbe pensando di aver trovato l’albero della cuccagna. In realtà si tratta di un’edicola sgargiante che, per rispondere alla crisi, attira clienti come fossero uccellini curiosi.
A colorare l’edicola sono giocattoli, figurine, buste a sorpresa, album, giochi da tavolo, calendari e quaderni. Il risultato si vede perché gli uccellini entrano felici. Alcuni sono clienti fissi a cui il nostro giornalaio, che vuole rimanere anonimo, prepara già il pacchetto con i quotidiani abituali e suggerisce le novità in uscita, intrattenendosi con loro in conversazioni.
Poi arrivano i bambini, la vera risorsa. Accompagnati dal papà o dalla mamma che nell’attesa che il piccolo scelga cosa comprare, diventano anche loro possibili clienti.
Vediamo perché questa edicola marcia così spedita. Chiediamo al nostro giornalaio, che pratica la professione dal 1982, cosa è cambiato.
Dal 1990 le vendite di quotidiani e periodici si sono dimezzate, resistono invece i settimanali di gossip e tv. Come per le librerie c’è stato un aumento enorme di titoli. Se parliamo di televisione, prima del 2000 esistevano Tv sorrisi e canzoni e il Radiocorriere Tv. Ora ci sono 6 o 7 riviste e ne escono continuamente di nuove.
Il proliferare di titoli ha in parte arrestato il calo delle vendite. Anche se dal punto di vista del fatturato, essendo il nostro ricavo il 18,7 % del prezzo di copertina e avendo queste riviste prezzi bassissimi, non c’è stato un grande beneficio per noi edicolanti.
Allora cos’è che vi ha consentito di andare avanti?
Quello che si è rivelato una vera risorsa sono i gadget per bambini. Nel 1990 non c’erano e quindi tutto quello che è arrivato con questi gadget è stato un reddito aggiuntivo. Anche per le figurine il discorso è più o meno lo stesso, un tempo c’erano solo quelle dei calciatori e qualcuna degli animali, ora ce ne sono tantissime che discendono dai videogiochi e dai cartoni animati. In più si sono aggiunte le card che sono delle figurine di maggior valore e si usano anche per giocare. Quelle dei Pokémon ad esempio arrivano a costare fino a 5 euro a bustina.
I ricavi sono sufficienti?
No, l’edicolante come già detto, prende il 18,7% sul prezzo di copertina e molte pubblicazioni hanno dei prezzi che vanno da 0,50 a un euro. Perciò per noi sono più un peso che una fonte di guadagno. Ci sono poi gli allegati gratuiti che comportano un lavoro di assemblaggio – perché bisogna inserirli manualmente nel giornale a cui sono collegati – a fronte di un misero introito. Esiste solo un modo per tenere in piedi il mondo della distribuzione, quello di aumentare la percentuale per l’edicolante e portarla fino al 30%.
Non è un po’ esagerato considerando i costi di produzione dell’editore?
Gli editori se ne fregano altamente della rete di vendita. Pubblicano settimanali e periodici a prezzi di copertina ridicoli e li riempiono di pubblicità. In realtà loro guadagnano con la pubblicità. Facciamo un esempio: su una pubblicazione da 50 centesimi all’edicolante ne spettano 9. Per fare il prezzo di un caffè si devono vendere più di dieci copie, quindi è contro il nostro interesse tenerle in evidenza sul bancone. Personalmente ritengo che l’editore con questo tipo di pubblicazioni ci possa fare i coriandoli.
Arriva una richiesta di una nuova uscita di figurine e l’edicolante corre al computer: l’edicola è completamente informatizzata. Ci affida a Pino, cliente affezionato, confidente e memoria storica del quartiere che ricorda quando “qui era tutta campagna”.
Lui ci racconta del “becchime”: sono i biglietti dell’autobus, delle lotterie e le ricariche telefoniche. La rivendita ci guadagna pochissimo ma attira la clientela. In più la posizione strategica, che vede affacciarsi sui quattro angoli della piazza una grande gelateria, una farmacia e un elegante parrucchiere, ha consentito all’edicola di mantenere lo stesso movimento degli anni ’90. La piazza, per di più, è anche molto pulita per merito dei commercianti che hanno fatto svuotare, a loro spese, i tombini pieni di foglie e pulito il piccolo parco adiacente.
Il giornalaio torna infuriato.
Cos’è successo?
Semplice: un cliente ha chiesto informazioni su delle figurine viste in tv, mi sono collegato con i tre distributori che riforniscono le edicole di Roma e non ho trovato nessuna informazione, niente! Al telefono non rispondono, è sempre così, se c’è bisogno di un rifornimento è impossibile ottenerlo. Io chiamo anche gli editori, loro prendono nota ma poi non succede nulla, probabilmente buttano il foglietto nel cestino.
Insomma l’edicola è il posto dove si scarica tutto il peso della crisi?
Noi non soffriamo particolarmente, ma certamente ci vuole molto più lavoro di prima per portare a casa lo stesso guadagno. Anche se alla fine il guadagno c’è. La vera preoccupazione è la tenuta del sistema. Se il ritmo di chiusura delle edicole continua con questa velocità, a breve non ci sarà più una rete di vendita. Ma gli editori e i distributori nazionali non sembrano tanto interessati alla questione. Pensano esclusivamente a diminuire i costi di produzione dei giornali, rischiando di trovarsi con un prodotto che non possono più smerciare. La FIEG (la Confindustria degli editori) non si è mai interessata veramente alla distribuzione. L’accordo nazionale tra sindacato degli edicolanti e gli editori rappresentati dalla FIEG, è fermo da più di 20 anni. A loro interessa solo salvare i conti, licenziando o prepensionando giornalisti e poligrafici.
Oltre a chiedere di destinare parte del finanziamento pubblico per l’editoria alle edicole, quali altre soluzioni ci sono?
Come dicevo si potrebbe aumentare la percentuale dell’edicolante, o quantomeno diversificarla cercando di tenere in piedi le piccole rivendite. Quando il fatturato non è sufficiente alla sussistenza di un punto vendita dovrebbero intervenire editori e distributori, aumentando la percentuale di sconto in modo da integrare il reddito. Poi c’è la questione finanziaria: l’edicolante deve pagare la merce settimanalmente. Se non riesce a farlo, il distributore sospende l’invio delle pubblicazioni. Questo innesca immediatamente un calo delle vendite per mancanza di copie e quindi del fatturato, portando rapidamente alla chiusura dell’edicola. La rete di vendita si è talmente rimpiccolita che la chiusura di una rivendita non porta più allo spostamento dei lettori all’edicola vicina perché l’edicola vicina non esiste.
Lasciamo il nostro giornalaio al suo frenetico lavoro
A conferma del generale disinteresse per le edicole possiamo portare un esempio: non esiste un’anagrafica completa delle edicole italiane. Si vocifera che i punti vendita rimasti siano 15.000, ma i comuni non aggiornano i dati e spesso l’edicolante chiude, pur mantenendo la licenza, sperando di vendere l’attività. Il rischio, che preoccupa anche il nostro edicolante di successo, è che raggiunta la soglia di 10.000 punti vendita, la distribuzione non sia in grado di assorbire le copie prodotte, mettendo in crisi gli editori e portando alla paralisi di tutto il sistema.

Prendiamo ad esempio La Repubblica: fino al 2007 stampava circa 900.000 copie al giorno che ora si sono ridotte a poco più di 200.000. Per quanto si possa rimodellare una struttura in base alle reali esigenze del mercato, sotto una certa soglia è impossibile mantenere delle economie di scala. Ovvero, esiste un numero minimo di giornalisti per far uscire un quotidiano e un numero minimo di copie da stampare per avviare una rotativa.