Morso come l’atto dell’affondare i denti in qualcosa. Come la parte della briglia che costringe la bocca del cavallo. Come la sensazione umana di fame. Il Morso, come il titolo che Simona Lo Iacono dà al suo intenso romanzo dallo stile elegante e ricercato, vincitore del Premio Racalmare-Sciascia. Pubblicato nel 2017 da Neri Pozza, si ispira a una storia vera, raccontata tuttavia in maniera piuttosto insolita.
Siracusana di nascita, l’autrice è un magistrato cinquantenne del Tribunale di Catania con la passione per la scrittura. Ha infatti già pubblicato altri due romanzi storici, anche questi ambientati nella sua Sicilia: L’albatro e Le streghe di Lenzavacche, arrivato nel 2016 tra i 12 finalisti del Premio Strega.
La scrittura fila via liscia e le pagine scorrono senza intoppi. All’inizio campeggia una citazione dalla poesia di Salvatore Quasimodo. E’ “Un invito ad andare contro le apparenze, mettersi nei panni degli altri e abbandonarsi a un processo di commiserazione, di pietà umana”, come ha spiegato la stessa scrittrice.
“Vi riconosco, miei simili,
o mostri della terra.
Al vostro morso è caduta la
pietà, e la croce gentile ci ha lasciati”.
Siamo a Palermo, fra il 1847 e la rivoluzione del 1848. Protagonista è la giovane Lucia Salvo. Una donna realmente esistita, la cui storia viene raccontata da Luigi Natoli in Storie e leggende di Sicilia: storicamente, Lucia “la siracusana”, era una rivoluzionaria antiborbonica. Fingeva di essere stupida per entrare inosservata nelle carceri e passare messaggi segreti ai cospiratori. Proprio a lei si ispira l’autrice per costruire il suo romanzo.
“Ricordati questo nome Luciuzza, e ricordati pure che sei una Salvo, una che porta o riceve salvezza”.
L’arrivo in casa Ramacca
Sua madre ripeteva spesso quelle parole. Ma di salvezza, Lucia, spedita come serva da Siracusa a Palermo presso i Conti Ramacca, ne intravedeva ben poca. Sua madre insisteva che sarebbe stata bene, soprattutto se il Conte Figlio l’avesse presa nel letto, che l’unico peccato a questo mondo era morire di fame.
Malata di epilessia, Lucia veniva detta la pazza, la babba in siciliano. La chiamarono così in seguito al “fatto”, una crisi epilettica, poi nessuno ne parlò più. Eccezion fatta per nonna Manina che sulla vita e sulle sue sottigliezze non tergiversava mai. D’altra parte, all’epoca, era comune che malattie del genere fossero scambiate per forme di follia. Ma nonna Manina era morta ormai e Lucia era in viaggio per andare a prendere servizio in casa Ramacca: una delle più antiche, ricche e influenti famiglie di Palermo.
Il morso
Il “fatto” aleggiava su Lucia qualunque cosa lei facesse e in qualunque luogo lei si trovasse: non avvisava mai. Iniziava sempre con un formicolio, poi una scossa… infine, la schiuma dalla bocca.
“Mille corvi le rodono in fronte, travasano il male e la battono di destra e di mancina”.
La giovane non fa in tempo a giungere in casa Ramacca, che il Conte Figlio prova ad approfittare di lei, così come aveva fatto con molte altre serve malcapitate. Ma Lucia si difende dall’aggressione con un morso rabbioso e ribelle, la “contaminazione” che devia l’epilogo della storia. Alla fine la scampa fra le grasse risate del Conte Figlio, colpito dal coraggio e dalla determinazione di questa ragazza folle e bellissima, la creatura più libera che abbia mai incontrato.
Col passar dei giorni, in soccorso di Luciuzza corre sempre il Castrato Signorino, così ridotto fin dalla pubertà perché la sua ugola d’oro potesse allietare i salotti dei ricchi. Risate per loro, lacrime per lui.
“Uomo non più, né donna, né entrambi. Angelo forse, ma controvoglia”.
Mentre queste due povere creature fanno squadra di fronte alla comune malasorte, a realizzare tutti i desideri e i capricci del Conte Figlio ci pensa il nano Minnalò, disperato per tutte le stranezze di vossignoria. Intanto è il Conte Padre, un anziano da tempo allettato, a fare amicizia con Lucia. Lei sa conquistarsi la sua fiducia: lo va a trovare, sbatte i cuscini e spalanca le finestre. Lui torna ad avere appetito, è più allegro e con Luciuzza parla pure. Proprio quando i piani prestabiliti si stanno per compiere con il matrimonio di Assunta Agliata, promessa sposa del Conte figlio dei Ramacca, vicissitudini inaspettate cambiano direzione alla storia.
Vicende personalissime, narrate sullo sfondo di una Palermo che vorrebbe mantenere l’immobilismo delle sue tradizioni millenarie e dei riti borbonici, mentre menti giovani e ribelli preparano già la rivoluzione.
Il trasferimento in casa Agliata
Un giorno a Lucia accade il “fatto“ davanti al Conte Figlio e a Minnalò. “Che paura che fa ‘sta pazza? Così la riduce la sua follia? Non può più stare in casa Ramacca”. Con un accordo viene spedita dal Conte Agliata. Ci pensi lui alla pazza.
Strano luogo casa Agliata! Uomini eleganti vi si incontrano nelle ore più assurde della notte, fra rituali e discussioni di politica e religione, per assumere decisioni che sembrano molto serie. Chi sono mai questi eletti che si riuniscono in un crocchio, bisbigliano a bassa voce, vanno evocando un Gran Maestro e restano finché la pendola di casa Agliata non batte le cinque?
Luciuzza, di Casa Agliata, ama soprattutto i tanti libri. Nessuno potrebbe immaginare che una servetta pazza sappia leggere, invece glielo aveva insegnato nonna Manina.
“Fuori l’aria è ancora tiepida, sebbene sia dicembre inoltrato, e di questo 1848 incipiente si vada dicendo che è fituso e maligno, senza promesse di uva buona, senza piogge ad annaffiare la terra”.
La piega diversa che prende la storia
Il Conte Figlio si districa fra i suoi tanti dubbi: amare o essere amati? Subire l’amore o comandarlo? Lo trovano spaesato e mansueto sulla spiaggia battuta dal vento. Di lì a poco – pensate che impreviste vie può prender l’amore – scapperà in America a vivere il suo amore col Castrato Signorino, un sentimento che mai in terra di Sicilia sarebbe stato compreso.
Intanto, il Conte Padre convince Agliata che per fermare la rivoluzione alle porte una pazza serve sempre. A che cosa? A far entrare e uscire messaggi dal carcere dello Steri. Chi bada ad una povera serva pazza che porta vivande di carità da consegnare a Don Maurizio Fortunato? Quei biglietti segreti basteranno a far credere al cospiratore che il Gran Maestro sia amico della rivoluzione.
Così Lucia porterà fuori dal carcere i messaggi di risposta con i piani dei rivoluzionari. Ma il Conte Ramacca, il Conte Agliata e gli altri loro compari avvertiranno Re Ferdinando II e l’esercito stroncherà la rivolta del 1848 e ucciderà i ribelli, a partire da Rosolino Pilo.
Tuttavia i massoni palermitani faranno di nuovo male i conti! Di nuovo l’amore sconquasserà i loro piani. Palermo alla faccia loro sarà liberata. E Luciuzza finirà al manicomio:
“Sospira. Non le importa. Finisce di scrivere sulla parete est, dove è rimasto spazio. Righe sghembe e storte su cui scatarra, sputa sopra e ride”.