Durante la quarantena, stiamo riscoprendo il bello di qualcosa che non facevamo da un po’ per mancanza di tempo. Ora – in alcuni casi – ne abbiamo fin troppe di ore da occupare. C’è chi è tornato a creare davanti ai fornelli, chi ha riscoperto la scrittura, chi ha un giardino a disposizione. Io ho ripreso in mano il joystick, riaccendendo la passione sopita per i videogiochi.
Ammetto che non sono assolutamente un’esperta, né tantomeno una grande gamer – anche se mi piacerebbe – ma il mondo dei videogiochi mi ha sempre affascinata e qualche avventura me la sono goduta.
Da dove ripartire? La mia nuova saggezza da trentenne mi ha subito messa in guardia da qualsiasi gioco capace di rendermi più nervosa di quanto non sia già, visto il periodo che stiamo vivendo. Così mi è stato consigliato di giocare a LIMBO. No, non sto parlando del ballo dove si rischia un gran mal di schiena, questo è un altro tipo di limbo.
Uscito dieci anni fa, Limbo è un videogioco di genere puzzle-platform di uno sviluppatore indipendente danese, Playdead, nel quale bisogna risolvere enigmi sotto forma di puzzle logici o strategici ed evitare trappole mortali.
Il gioco inizia in una foresta buia, i colori che vedremo saranno sempre e solo il bianco e il nero. Il protagonista si risveglia lì, da solo e disorientato come i giocatori. Due piccoli occhi luminosi e un corpo disegnato appena, sempre di profilo. Non possiamo non notare che potrebbe trattarsi di un bambino, avrà 8 o 9 anni, e qui mi sono interrogata sul titolo del videogame.
Il limbo dantesco
Nella Divina Commedia, il limbo è il I cerchio dell’Inferno e – come indica l’etimologia della parola – il “lembo” rappresenta l’orlo più esterno degli abissi infernali. Dante decise di collocarci le anime dei pagani virtuosi e dei bambini nati senza battesimo. Non è un luogo terrificante come tutti gli altri gironi dell’Inferno, ma lì le anime che non scontano nessuna pena, sono come sospese e vivono con la voglia mai appagata di vedere Dio. Questo dolore fa emettere loro dei profondi sospiri che fanno tremare tutto il cerchio.
Ho pensato dunque di essere di fronte al mondo dei morti, anche a causa di un ambiente di gioco estremamente dark. Insieme al bianco e nero, è soprattutto la colonna sonora a rendere tutto ancora più inquietante. Sarà una musica leggera ad accompagnarvi durante l’avventura: una melodia fatta di note che vi faranno accapponare la pelle, soprattutto quando – a causa di un pericolo incombente – si faranno più acute e incalzanti.
Andando avanti scoprirete che gli enigmi sono ben nascosti – liane su cui arrampicarsi, carrelli da spostare, mostri da sconfiggere – ma soprattutto, prima di riuscire a risolverli, dovrete morire tante volte. Playdead ha definito questo tipo di gioco come “prova e muori”. Ed ecco un nuovo amico senza nome che inizierà a percorrere scenari sempre diversi, per un totale di 39 capitoli dove la difficoltà degli enigmi e la pericolosità delle trappole aumenteranno a dismisura.
Non avere via d’uscita
Ma cos’è, ancora, un limbo? In italiano usiamo spesso questa espressione. Sarà capitato anche a voi di dire “mi sento come fossi in un limbo” quando vi siete trovati in una situazione senza via d’uscita o almeno non definita, non chiara. E questa è esattamente la sensazione che mi ha dato il gioco. “Ne uscirò mai?”, mi sono chiesta in più momenti.
L’ambiente e gli scenari cambiano continuamente durante l’avventura, distruggendo ogni definizione che avevo trovato per questo luogo misterioso. L’ipotesi iniziale – che fossimo nel mondo dei morti – è rimasta, ma è mutata come le cose che mi circondavano. Dopo aver incontrato ragni giganti e mostri inquietanti, spuntano piccole creature che si nascondo nelle loro case sugli alberi, minute quanto il protagonista, ma che vogliono ucciderlo. E sappiate che ci riusciranno, molte volte.
L’Isola che non c’è
Così quel mondo mi ha fatto pensare all’Isola che non c’è, con i bimbi sperduti che cercano di proteggere il loro territorio da qualcosa di sconosciuto. Mi sono chiesta quale potesse essere la connessione tra questa e il mondo dei morti. Sapevate che ci sono teorie per cui Peter Pan è in realtà è l’angelo che ha il compito di accompagnare i bambini nell’aldilà, cioè nell’Isola che non c’è? Credo sia davvero improbabile che James Matthew Berry, l’autore del romanzo, avesse mai pensato a Peter come a un angelo della morte, ma allora dov’è nata quest’ipotesi?
Un personaggio molto simile a quello che noi conosciamo come Peter Pan è il dio Hermes, il messaggero degli dei greci. Lui e Peter hanno molto in comune: sono scapestrati, sconsiderati, estremamente furbi e hanno un animo infantile che non vogliono abbandonare. Hermes nasce già fanciullo per poi non invecchiare mai e uno dei suoi tanti compiti era quello di accompagnare le anime nel mondo dei morti – essendo l’unico dio, insieme ad Ade, che può fare avanti e indietro dagli inferi. Proprio per questo veniva chiamato psicopompo, l’accompagnatore delle anime.
Le rovine della città
Tornando al gioco, subito dopo aver partorito quest’idea come Zeus partorì Athena direttamente dalla sua mente, ecco che ci ritroviamo in una città distrutta e abbandonata. Uno scenario tipico dei migliori racconti distopici post-apocalittici. Quindi forse non siamo nel mondo dei morti, forse stiamo giocando semplicemente nel mondo dei vivi dopo che qualcosa o qualcuno lo ha distrutto.
Tra il tetto di un palazzo e la scritta cadente di un hotel, tra uno scenario tecnologico e un altro immerso in una spettrale natura, il protagonista è di certo alla ricerca di qualcosa, ma cosa? La libertà? Il paradiso? Il mondo dei vivi? O magari sta cercando qualcuno… Non voglio assolutamente togliervi il gusto di arrivare alla fine e scoprirlo da soli.
Il senso di ogni cosa
Ho giocato per un totale di dodici ore – spalmate in più giorni, giuro – e ho trovato davvero divertente il fatto di dovermi ingegnare per riuscire a superare i vari livelli che, spesso, mi hanno messa in grande difficoltà. Il merito di Limbo è sicuramente quello di avermi fatto volare un po’ con la fantasia mentre tentavo di dargli un senso. Anche se, a volte, le cose non hanno per forza un senso, servono soltanto a farci ragionare per restituire il significato a qualcos’altro, per ricordarci che possiamo goderci il viaggio senza pensare da dove siamo partiti e dove finiremo.
Insomma, Limbo vi farà sicuramente compagnia in queste lunghe giornate e – vi svelerò un segreto – nessuno vi giudicherà se andrete a dare un occhiata alle soluzioni sul web. L’ho fatto anch’io!