Tutto chiede salvezza è il romanzo di Daniele Mencarelli vincitore del Premio Strega Giovani 2020 ed entrato nella “cinquina” dei finalisti che quest’anno saranno eccezionalmente sei, anziché cinque. Pubblicato da Mondadori, racconta la storia di un giovane sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio a causa di una violenta esplosione di rabbia. Qui trovate l’intervista di Roberto Concu allo scrittore Daniele Mencarelli.
“Chi è senza speranza non solo non scrive romanzi ma, quel che più conta, non ne legge. Non ferma a lungo lo sguardo su nulla, perché gliene manca il coraggio. La via per la disperazione è rifiutare ogni tipo di esperienza, e il romanzo è senz’altro un modo di fare esperienza”.
Flannery O’Connor
Dialogare al telefono con Daniele Mencarelli è stato respirare una boccata d’aria fine, pura, rigenerante. Proprio come leggere il suo romanzo e le sue poesie. Del resto è poeta colui che è capace di vivere le situazioni contingenti sino ad andare oltre, e così nutrire la vita di uno slancio nuovo. Persino quando si è schiacciati da un male a cui non si sa dare un nome preciso, questo può essere vissuto come un dono della vita, da cui può scaturire una nuova visione individuale e sociale in cui più nulla e nessuno è escluso.
A qualcuno questo incipit potrebbe sembrare pretenzioso in un tempo sospeso come quello attuale, dove la visione come sguardo rivolto al futuro appare impossibile, se non indecente. A qualcun altro potrebbe suonare un linguaggio vecchio, legato a categorie di riflessione, letterarie e non, di un’era fa. Metto le mani avanti e dico no, oggi più che mai è necessario impegnarsi e riprendere a esercitare il pensiero critico, com’è emerso chiaramente dal dialogo con Daniele.
“C’è una catastrofe che insidia la nostra epoca.
È la rinuncia alla nostra risorsa più importante:
la capacità di ragionare”.Ermanno Bencivenga, La scomparsa del pensiero
L’esperienza si fa romanzo
Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli è un testo radicato nella realtà. Sia perché scaturisce dall’esperienza personale dell’autore, sia perché pone un interrogativo – tra gli altri – sull’approccio della scienza medica e clinica al disagio e a quel che chiamiamo malattia mentale. Un interrogativo sul ruolo della scienza nella società quanto mai attuale, evidentemente.
Del resto, la storia del ventenne Daniele narrata nel libro scaturisce dalla domanda esistenziale più autentica che un uomo possa porsi. Tuttavia se a interrogarsi sul senso dell’esistere e sulla morte è un ventenne ancora privo degli strumenti necessari a sostenerne il peso, allora c’è il rischio che egli non venga pienamente compreso, né in famiglia né nella società. E quando quel carico diventa insopportabile perché non c’è risposta, tale consapevolezza può trasformarsi in rabbia, e la rabbia esprimersi nella violenza.
Proprio a causa di ciò, il protagonista del romanzo viene sottoposto a una settimana di trattamento sanitario obbligatorio o TSO. Sigla altrettanto sinistramente attuale in questo periodo. Tutto chiede salvezza è il diario della settimana trascorsa da Daniele in TSO.
Tutta la fragilità umana
Siamo nel 1994. Nella stanza del reparto psichiatrico in cui viene ricoverato, la vita dona a Daniele una serie di incontri che l’aiuteranno a ritrovare la via del ritorno a casa. E la casa in cui farà ritorno non potrà essere la stessa da cui era stato allontanato. Anzitutto Daniele Mencarelli incontra i “cinque pazzi” che lui chiama:
“Fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”.
Indicando quello che solo in futuro saprà nominare, l’autore invita a riconsiderare il modo in cui si guarda a quest’altra cosa così difficile da comprendere. E infatti, tendenzialmente, la si separa, la si esclude dalla vita cosiddetta normale. Domandarsi dove sta il confine tra normalità e follia non è retorico. E perché non provare a immaginare che ciò che chiamiamo pazzia non sia un modo diverso di stare al mondo?
Questi cinque fratelli vanno incontro a Daniele e l’accolgono totalmente…
“Indifesi di fronte alla propria condizione, di uomini nudi abbracciati alla vita”.
A sua volta, Daniele va loro incontro e li abbraccia scoprendo giorno dopo giorno un’insperata, tenera amicizia. Una dolcezza che l’autore riesce a comunicarci poeticamente, senza retorica. Soprattutto, lascia trasparire la complessità della mente umana, non scevra di saggezza e di mistero, pur in una condizione patologica.
Mario è lo psicotico prodigo di consigli di vita, che mette in guardia Daniele e gli altri dalla scienza e dalla sua deriva utilitaristica.
“La scienza vorrebbe contenere, catalogare. Ormai tutto è malattia, ma vi siete chiesti perchè?”.
Già, perché? Ancora una volta l’importanza del dubbio, della ricerca, dell’investigare la vita che, secondo Daniele, è anche investire sulla vita. Perché:
“Un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi”.
Un pensiero decisamente controcorrente.
Lo sguardo di Alessandro perso nel vuoto è la rappresentazione del mistero della vita. Disteso sul letto, chiuso in un inspiegabile silenzio del corpo e della mente, i suoi occhi tracciano la traiettoria verso l’infinito. Forse il nulla. Il vuoto in cui è volato così, da un giorno all’altro. L’indicibile al di sopra delle nostre, piccole teste che hanno smesso di pensare e accettare quanto la nostra natura sia imperfetta.
A proposito di Alessandro, Daniele mi ha raccontato un anedotto. Daniele vive sui colli Albani e nel percorrere la strada che lo porta a Roma spesso vede Alessandro in attesa alla fermata del bus.
“È l’unico dei cinque fratelli che ancora vedo – dice – è diventato un gigante, probabilmente anche a causa dei farmaci, ma il vuoto dei suoi occhi è sempre spaventoso. Un giorno voglio fermarmi e parlare con lui”, confessa Daniele.
Lettura e scrittura come salvezza
Daniele non è un pazzo, non è affetto da una psicopatologia nel senso medico e clinico. Il suo è il disagio esistenziale che può nascere dall’assenza di cui siamo fatti, cioè dalla risposta mancante all’interrogarsi di cui abbiamo parlato prima. Sarà uno dei medici che lo segue durante il TSO a riconoscere la reale situazione del ragazzo, nonostante il suo approccio accademico. E questo contribuirà alla sua salvezza. Ma già prima del TSO a salvare Daniele adolescente dal soccombere al peso esistenziale, è stata la lettura di poeti come Dario Bellezza, Saba e Sandro Penna.
“Poeti capaci di parlare di me”
Afferma Daniele, capaci di parlare della sofferenza di fronte al mistero umano e di farlo con la sensibilità di chi vive in prima persona quella stessa sofferenza. L’adesione della narrazione all’esperienza di vita è il punto centrale della scrittura, e della visione dell’arte in generale, secondo Daniele Mencarelli. Scrivere assume qui la dimensione etica di una scelta di vita: scegliere di impegnarsi in un’arte che non sia mero intrattenimento.
“La scrittura è una forma di libertà personale. Ci libera dall’identità di massa che vediamo formarsi intorno a noi. Alla fine, gli scrittori non scriveranno per diventare gli eroi fuorilegge di una sottocultura, ma soprattutto per salvare se stessi, per sopravvivere come individui”.
La scrittura è un gesto originario
Oggi letteratura e filosofia appaiono lingue morte, non più in grado di ascoltare, né di essere ascoltate. L’arte, soprattutto quella visiva, dice Daniele, è solo provocazione senza alcuna aderenza con la realtà storica, finendo così per essere fine a se stessa.
Al contrario, arte e scrittura sono uno strumento per essere più presenti nella storia in modo consapevole. Una scelta che va al di là della sfera individuale per diventare un impegno politico, di partecipazione alle cose del mondo. Un impegno militante per usare un’espressione, sì di altri tempi, ma che oggi, in questo momento storico non può essere più ignorata. L’esperienza narrata da Daniele nel romanzo dimostra che, in realtà, nella vita o ci si salva tutti o non si salva nessuno.
Ecco perché la letteratura, afferma Daniele, è un gesto originario, iniziale: riparte dall’uomo. Riparte da una visione dell’uomo distante dall’antropocentrismo dominante, dal paradigma capitalistico per cui l’uomo ha valore solo se produce e consuma. Parte dall’uomo libero, come suggerisce il Mario del romanzo. Questo vale tanto per lo scrittore, quanto per l’uomo Daniele.
In alternativa alla falsa socialità dei vari social media, Daniele propone una disponibilità assoluta al dialogo e al confronto coi lettori, come con gli studenti. Scrivere è un investimento, tanto sulla forma artistica, quanto sulla incessante ricerca del senso di essere qui e ora nell’universo.
Come scrive Mario Barenghi:
“Un’opera letteraria è un po’ come una cassetta di attrezzi, che offre la possibilità di dar senso a quanto accade, dentro e fuori di noi. Sta poi ai lettori di fare un uso vantaggioso di quanto avranno appreso o intuito sul mondo, sugli altri, su sé stessi”.
Grazie Daniele
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