Ogni tanto rivedo il film La prima notte di quiete di Valerio Zurlini.
Lo danno a volte in TV ad un orario impossibile. Io lo rivedo anche se mi autocensuro sempre il finale, non posso dire perché. Mi piace così tanto questo film del ’72, che anni fa mi ero anche comprata il dvd. Nel mio immaginario sentimentale fa il paio con Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, che è dello stesso anno e che solo apparentemente affronta una trama simile. Tra l’altro Bertolucci aveva proposto proprio a Delon di fare il protagonista, prima ancora che a Marlon Brando.
Diretto da Valerio Zurlini nel 1972, La prima notte di quiete è una frase di Goethe e durante il film Daniele, il protagonista interpretato da Alain Delon, specifica che si tratta della morte.
Il film, restaurato nel 2009, vede come protagonisti di una passione travolgente il professore di letteratura Daniele Dominici e la sua allieva Vanina. Le riprese furono difficili per i dissapori tra Delon e Zurlini che hanno litigato furiosamente. Ma Delon amò ugualmente il personaggio di Daniele e per tutta la lavorazione del film indossò il cappotto di cammello e il maglione verde che erano abiti personali di Zurlini.
La protagonista femminile, Sonia Petrova, era una ballerina classica che fu indicata a Zurlini da Giancarlo Giannini. Altri magistrali interpreti furono, tra gli altri, Salvo Randone, Lea Massari, Alida Valli, Renato Salvatori. Le musiche di Mario Nascimbene punteggiano il film a partire dalle prime scene che vedono il protagonista camminare sul molo di Rimini in una giornata di mare in tempesta.
Rimini, prima del turismo di massa
Ci sono tanti ingredienti che mi fanno adorare questo film.
Prima di tutto il mare. Quel mare, il mare d’inverno di una città come Rimini, vuota e spettrale. Rimini com’era prima che la gente ci andasse a passare i fine settimana anche fuori stagione. Rimini prima delle belle strade, delle centinaia di appartamenti, degli alberghi e gli agriturismi. Prima della ricchezza. Quella del film è una Rimini triste e meravigliosa, poetica e malinconica come io la ricordo.
In alcune memorabili inquadrature anche il mare è inospitale, è irraggiungibile e lontano, quasi fosse un oceano, invece dell’Adriatico. Qua e là svetta un palazzo, ma per il resto ci sono strade del centro e viali deserti, strade di periferia in terra battuta vicine alla spiaggia, un night club “L’altro mondo”, appartamenti di ricchi e meno ricchi, ma arredati comunque tutti alla rinfusa, senza quel gusto maniacale del gradevole, dell’accogliente, di oggi. Senza, insomma, il ciarpame dei nostri giorni. Prima che ci convincessero che, al posto del mare e del fare l’amore, è meglio comprare oggetti.
Il mare protagonista
Qui invece è il mare che fa da protagonista. Mosso e selvaggio. Come l’amore, nel senso della passione improvvisa che coglie i due protagonisti. Selvatica appunto.
Poi c’è un Alain Delon spettacolare, senza fronzoli e ammiccamenti, senza recitazione, che non fa mai più di quel che deve fare. È lì, in una scena dopo l’altra, un’emozione dopo l’altra, con quel cappotto di cammello che non si leva quasi mai. Con i maglioni slabbrati e il viso pieno di tenerezza e disperazione.
C’è anche lei, la bravissima Sonia Petrova, una ballerina classica che fu scelta per caso. Lei nel film è l’angelo della seduzione, forte della sua debolezza. L’angelo che la vita non può sporcare. In lei, tutto è negli occhi.
E c’è sempre l’acqua; o mare, o pioggia. C’è la pioggia durante la prima e ultima scena d’amore tra Daniele e Vanina, quando, in un “non importa dove”, fuori pioggia e freddo, dentro due che si sono trovati e un materasso buttato per terra.
Perché si guarda e si riguarda un film visto dieci volte,
o si rilegge lo stesso libro?
E perché ci succede con film e libri che più lontani dalla nostra quotidianità non potrebbero essere?
Forse perché è come guardare lo sconosciuto che è in noi.
In questi nostri giorni di pandemia da Coronavirus non potrei riguardare questo film. Ormai le città spettrali, come la Rimini di Zurlini, non evocano più il fascino del mare d’inverno. Non rimandano al fare l’amore su un materasso in una casa vecchia e disadorna come quelle che si affittavano ai bolognesi negli anni ’60. Ci ho passato la mia adolescenza d’estate in quel tipo di case, ma ora non esistono più e nessuna famiglia vorrebbe passarci l’estate. Allora anche le case di città non erano arredate in maniacale stile minimal. Si andava sulla riviera adriatica per stare al mare con gli amici tutto il giorno, a casa si tornava solo per mangiare e dormire.
Nei mesi passati, tappati in casa per paura del Covid, le strade deserte nella notte invernale evocavano solo malattia e morte. Le spiagge dell’Adriatico che vedevamo in TV ci spaventavano, non c’era niente di bello in quelle distese di sabbia e mare prive di esseri umani. Ci consolava solo l’immaginare che quel mare si sarebbe forse ripulito; vedere una medusa nelle acque di Venezia ci faceva sorridere.
Qualcuno ha parlato di vendetta della natura.
Pensando a La prima notte di quiete mi prende una nostalgia diversa per quel tempo mitico in cui fu girato. Negli anni ’60 e ’70 si aveva una concezione alta della cultura che oggi si è del tutto persa e che questo film di Zurlini rappresenta.
Potremo recuperarla? A questo non so rispondere.
Gli esseri umani dimenticano, si sente dire oggi. Tutto tornerà come prima, né meglio né peggio.
Tornerà ancora la struggente malinconia di un amore disperato e impossibile? Tornerà il vento nei capelli di uomini e donne innamorati sulle spiagge di una Rimini d’inverno?
La prima notte di quiete è possibile vederlo in versione integrale su Rai Play.
Complimenti per il suo bellissimo articolo su questo film che anch’io ho visto e rivisto infinite volte, provando gli stessi struggenti sentimenti sia per i personaggi (perdenti e vincenti poiché sfiorati dall’amore assoluto a rischio di morire) sia per un ambiente, un’atmosfera triste e comunque indomita che fa da contorno alla degradazione più o meno avanzata della condizione umana. Un film pervaso di pessimismo nel quale brillano di luce propria solo coloro che hanno la forza dei sentimenti che sia l’amore o l’amicizia (qui rappresentata magistralmente da Giannini e pure Salvatori). Ogni particolare di questo film è come l’interno di una tomba egiziana. Gemme del passato che non ci saranno mai più. Proprio come lo evoca lei.
Grazie ancora. La sensibilità è l’anima dei ricordi oltre che della Cultura.
Grazie per aver apprezzato questa mia recensione che è un omaggio ad un film rispetto al quale abbiamo un comune sentire
Rivisto proprio ieri dopo tanti anni, visto forse da ragazzino. Ricordo che lo trovai inquietante ma bellissimo, e forse per l’inquietudine, forse perché impreparato a queste angosce di vita, non volli ripeterne la visione. Oggi lo trovo più calzante per me, calzante alle mie, di inquietudini, a quella sopportazione della vacuità dell’esistenza a cui ognuno rifugge come può, col sesso, con nuovi incontri, scrivendo poesie, preparandosi nei dettagli il proprio fallimento. Dominici è prigioniero di un sentimento estraniante di morte, lo stesso che vede in Vanina, riaccendendo in lui l’illusione che l’amore possa placarne il morso, con una donna altrettanto morsa. Alla fine sarà proprio la sua condizione morale a ucciderlo, quella contraddizione che lo schiaccia tra restare con sua moglie (?) o fuggire ancora, sapendo che non c’è alcuna fuga, che Vanina è un rifugio disperato. Sapendo questo, deve scommettere ancora più forte, con le carte, coi semafori rossi, per riposare finalmente in un sonno senza sogni, in quella morte che è – appunto – la prima notte di quiete…
Grande recensione del film,brava Daniela.
Grazie mille.
Ricordo questo film oggi che Delon purtroppo non c’è più
Ciao Dianella, ogni tanto rileggo questo articolo perché esprime molto bene l’atmosfera malinconica del film… oggi ancora di più.