Volete qualche buon consiglio su cosa leggere? Lo trovate in questa intervista a Enrico Pandiani, fatta da Tiziana Zita. Autore della serie gialla “Les Italiens” e di svariati altri libri gialli, lo scrittore ci racconta cosa sta scrivendo, ci dice quali sono tre libri irrinunciabili che ha letto nell’ultimo anno e ammette che c’è un tempo che detesta come lettore: il presente.
Cominciamo l’intervista con i tuoi scritti. A cosa stai lavorando?
Uscirò a gennaio con un romanzo che mi piace tantissimo e che dovrebbe chiamarsi Lontano da casa, pubblicato da Salani (leggi qui la nostra recensione). È una storia complessa con protagoniste due donne molto diverse tra loro, sullo sfondo della periferia più difficile.
Invece a fine agosto è uscito un libro divertente. Qui a Torino il critico gastronomico del Corriere della Sera Luca Iaccarino, persona di grande simpatia con cui siamo diventati amici, cura una serie di guide gastronomiche per l’editore EDT (quello delle guide Lonely Planet) per le quali ha già chiamato autori del calibro di Malvaldi, Cognetti, Geda e altri, ai quali ha affidato guide di varie città. A me ha chiesto di fare Parigi. Così ho scritto un piccolo romanzo leggero, un finto giallo, metà fiction e metà guida, in cui i due protagonisti sono costretti dalla vicenda a passare da un ristorante all’altro. S’intitola Il gourmet cena sempre due volte.
Adesso sto lavorando alla mia prima traduzione dal francese, un libro molto interessante per una casa editrice torinese di saggistica che si chiama ADD Editore. Il libro di Sophie Dubois-Collet è composto da quaranta racconti su episodi successi a bordo di treni dal 1800 fino a oggi.
Per quanto riguarda la serie televisiva de Les Italiens (leggi qui la nostra recensione), la lavorazione sta procedendo con Fulvio Lucisano come produttore, Nicolas Winding Refn come coproduttore e regista e un bravissimo sceneggiatore francese.
Sei vulcanico, fai un sacco di cose.
Be’ la guida l’ho scritta tutta in tempo di Covid perché ero chiuso in casa e ho lavorato il triplo del solito. L’ho finita, gliel’ho data e dentro ci sono anche dei disegni. Gli ho fatto la copertina, ho fatto tutto io.
Allora, quali sono i tre libri più belli fra quelli che hai letto nell’ultimo anno?
C’è un romanzo stupendo che si chiama Frattura ed è di Andrés Neuman. È un romanzo meraviglioso che per la prima volta nella storia della mia famiglia è piaciuto tantissimo a me e a mia moglie. Perché in genere i libri che piacciono a me non piacciono a lei e viceversa. Invece questo è piaciuto pazzamente a entrambi ed è la storia di un giapponese che è scappato alla bomba di Hiroshima per pura fortuna, perché era in viaggio a Hiroshima con suo padre che muore durante l’esplosione. Lui invece ne esce indenne. Poi deve tornare a casa da solo, è ragazzino, perde il treno per Nagasaki e scampa anche alla bomba di Nagasaki il giorno dopo, solo perché non è riuscito ad andarci. Questa cosa lo distrugge.
Il romanzo è la storia della sua vita in diversi momenti. C’è lui da vecchio, a Tokio, che decide di andare a vedere Fukushima e i luoghi dove c’è stato il maremoto. Quindi parte e fa un viaggio che è intramezzato dai quattro racconti dei quattro momenti della sua vita in cui è stato in Francia, in Sudamerica e in altri due paesi. Lui è raccontato dalle quattro donne con le quali ha avuto delle storie. Ed è fantastico! Scritto da Dio, tradotto alla perfezione. Veramente meraviglioso.
Già mi hai fatto venire una gran voglia di leggerlo…
Io non credo molto a queste cose: ma davvero speri che non finisca quando lo vedi assottigliarsi. Ci sono le donne che lo raccontano in tutte le sue sfaccettature. Frattura nel senso che lui è un uomo fratturato e quindi i giapponesi mettono quel filo d’oro, fanno il kintsugi creando un po’ un amalgama di tutto.
Poi sto finendo un libro di Javier Cercas, l’ultimo che è uscito che si chiama Terra alta (leggi qui la nostra recensione) e che ha vinto il premio Planeta 2019 in Spagna. Per la prima volta è un vero romanzo, non è come le sue storie solite. È un primo romanzo ed è un noir fantastico. La storia di un poliziotto che si svolge in un posto che si chiama Terra Alta, in Spagna, dove ci sono due ricchissimi personaggi, marito e moglie, che vengono trovati in casa, torturati in una maniera terrificante e quindi devono capire che cosa è successo.
E il terzo?
Forse l’ho letto un anno fa ma mi era piaciuto veramente moltissimo. Non è un romanzo ma un saggio e si intitola L’ultimo viaggio di Amundsen; è pubblicato da Iperborea e scritto da Monica Kristensen.
È un affresco meraviglioso perché è la storia della Tenda Rossa. C’è tutto l’apparato che si è messo in moto per cercare i sopravvissuti della Tenda Rossa, raccontato in una maniera straordinaria. Ed è impressionante perché era il 1920, c’erano navi, aeroplani. Della Tenda Rossa mia madre ci aveva fatto vedere il film quando eravamo bambini e durante la ricerca della tenda rossa, Amundsen, l’esploratore norvegese che aveva scoperto il Polo Sud, è scomparso.
Era su un aereo con altre cinque persone, sono partiti per andare a raggiungere le squadre di soccorso e non si sa che fine abbiano fatto. Dell’aereo hanno poi trovato il serbatoio e un galleggiante.
È un libro veramente bellissimo! Tu sai che è tutto vero ma è come leggere un romanzo. Poi ci sono delle cartine. È raccontato molto bene, in crescendo, il fatto che tutti volevano trovarli per primi.
Ora vorrei chiederti qualcosa sulle tue abitudini di lettura e di scrittura. Tu sei uno che rilegge?
Sì, a volte mi capita di rileggere. A volte mi capita di rileggere un libro perché ho voglia di rileggerlo, altre volte per anzianità e rincoglionimento per cui a metà mi rendo conto che lo avevo già letto. Mi capita spesso con i Sanantonio, visto che ne ho letti tanti e poi li sto rileggendo in francese perché mi divertono molto: in francese sono fantastici. Allora penso di non averlo letto finché poi… ma questa scena qui me la ricordo.
Leggi un libro alla volta o tanti insieme?
Mi capita al massimo di leggerne un paio insieme. Ma molto spesso ne lascio uno, ne leggo un altro e poi riprendo il primo. Proprio due insieme no perché per il cervellino mi sembra un compito sovrumano.
Ti è capitato, rileggendo un libro che avevi letto, di essere deluso?
Direi di no, anche perché in genere rileggo i classici. Certo, quando rileggi un libro, l’eventuale pathos del romanzo lo perdi un pochettino, d’altra parte invece noti delle cose che non avevi visto.
L’esempio più eclatante è stato quando ho riletto La peste di Camus. C’è la scena straordinaria del bagno che vanno a fare i protagonisti di notte, una scena filosofica bellissima, una delle scene più belle che abbia mai letto in vita mia e quella, la prima volta, non l’avevo neanche notata.
Come scrittore hai qualche tic, o qualche scaramanzia particolare?
Non amo molto il presente. Secondo me il presente è il tempo narrativo più difficile di tutti.
E dire che se ne abusa…
Sì, ma l’ottanta per cento di quelli che lo usano sono freddi gelidi, almeno secondo il mio gusto. È difficilissimo avere un presente coinvolgente. Uno che ci riesce molto bene è Giampaolo Simi. Lui scrive al presente ed è bravo, lo sa maneggiare alla perfezione. Ma molto spesso hai l’impressione che ti stiano raccontando l’idea per il romanzo che vogliono scrivere. Questo fa mancare l’empatia. Anche Cercas se la cava molto bene col presente. Sanantonio scrive al presente ma è un presente straordinario che ti trascina, ti diverte. Trovo che raccontare un fatto che non è ancora successo sia difficile. Mi chiedo se l’uso del presente, più che una scelta di stile, non sia il sintomo di un’incapacita a scrivere il passato remoto.
Quando scrivi hai bisogno di un posto particolare?
No, mia moglie mi chiama “l’autistico”. Io mi estraneo totalmente. A volte i miei si incazzano perché mi chiedono delle cose e io non rispondo perché non ho neanche sentito. Quindi lo posso fare dappertutto, in treno, in aereo, al gabinetto, ai giardini. Siccome ho tutto sul cloud, a volte mi è capitato di scrivere pezzi dei romanzi sul telefono.
Chiudo l’intervista a Enrico Pandiani con l’ultima fatidica domanda: se potessi scegliere tra volare, diventare una donna ed essere invisibile, cosa sceglieresti?
Diventare una donna. Perché le donne mi incuriosiscono molto più degli uomini. Penso che oggi sia molto più interessante essere una donna che essere un uomo. Per tutte le possibilità che vengono negate alle donne. La donna mi affascina e quando scrivo, i personaggi femminili sono quelli che mi stregano di più e che mi costringono a un tentativo di maggiore maturità rispetto ai personaggi maschili.
Poi io non sono una donna e quindi devo cercare di fare uno sforzo per immaginarmi cosa una donna direbbe e farebbe. Scrivendo ti capita di provare a diventare donna, magari non ci riesci completamente però devi fare uno sforzo. Volare sarebbe bellissimo ma secondo me dopo due, tre, voletti ti rompi le palle. Se vuoi volare prendi il brevetto e voli, invece essere donna è una cosa molto più interessante e molto più complessa.