Cosa rende la vita di una persona degna di essere raccontata? Cos’è che rende qualcuno straordinario? Tanto tempo fa Plutarco scrisse una raccolta di biografie, le famose Vite parallele: in esse affiancava un personaggio greco ad uno romano, presentandoli insieme, denotando tratti in comune fra loro. Lo scopo era quello di presentare esempi, positivi o negativi, che potessero essere in qualche modo fonte d’ispirazione, oltre che meditazioni su caratteri umani. I documentari biografici rappresentano la degna attualizzazione di questa tradizione classica.
Personalmente, tendendo a vedere il bicchiere mezzo pieno, preferisco dedicarmi a vite esemplari in positivo, ora più che mai, dove pare esserci un gran bisogno di creatività e ispirazione. Cos’è quindi che rende le persone fuori dal comune?
Tenacia
Jane
Jane Goodall, l’etologa inglese che ha dedicato la sua vita allo studio e alla protezione degli scimpanzé, è diventata famosa in tutto il mondo per aver condotto una ricerca tuttora in corso riguardo alla vita di questi primati. Il National Geographic le ha dedicato uno splendido documentario, Jane, avvalendosi in gran parte di filmati d’epoca che si credeva perduti e che documentano gli inizi della sua ricerca nel Parco Gombe, in Tanzania, all’inizio degli anni ’60. C’è qualcosa di intensamente commovente nel rispetto che trasuda da ogni gesto e sguardo della Goodall nei confronti degli scimpanzé. Ma non è stata solo la sua curiosità innata e scevra da pregiudizi a consentirle di fare scoperte eccezionali riguardo al loro comportamento.
Ciò che le ha permesso di raggiungere quei risultati eccezionali è stata soprattutto la tenacia. Si è candidata a 26 anni, armata solo del suo amore per gli animali, per un progetto di ricerca sul campo senza precedenti, lo ha portato avanti e con il suo approccio rigoroso è riuscita a garantirne la durata oltre ogni previsione. É riuscita a conciliare in modi allora impensabili vita privata e professione, si è assicurata di avere studenti che potessero proseguire quello che aveva costruito e con il suo Jane Goodall Institute si è fatta portavoce nel mondo dei diritti degli scimpanzé e dei primati.
La Goodall si considera fortunata ma, come avrebbe detto sua madre, “la fortuna è stata solo una parte della storia”: nulla di tutto questo sarebbe stato infatti possibile senza la sua tenacia, perché “il successo viene dalla determinazione e dal duro lavoro”.
Jane, scritto e diretto da Brett Morgen e accompagnato dall’emozionante colonna sonora di Philip Glass, ci porta sul campo vicino a lei e ci permette di apprezzarne l’umanità e di comprenderne la quieta forza. Prodotto da National Geographic, Jane è visibile su Disney Channel (vedi il trailer).
Intuizione
Clive Davis: the soundtrack of our lives
Bruce Springsteen, Whitney Houston, Carlos Santana, Janis Joplin, Earth, Wind & Fire, Alicia Keys: la lista potrebbe andare avanti ancora a lungo. Cosa hanno in comune tutti questi artisti? Un produttore musicale che è diventato leggenda. Clive Davis: the Soundtrack of Our Lives di Chris Perkel, ne ripercorre in modo accattivante la vita, grazie alle testimonianze di tanti colleghi e artisti. Nato a New York da una famiglia ebrea proletaria, rimasto orfano molto giovane, laureato in legge ad Harvard, la sua carriera nell’industria musicale è iniziata negli anni ’60, nello studio legale della Columbia Records.
Quello della musica era un mondo nuovo per lui, ma aveva curiosità e spirito d’iniziativa e ben presto venne nominato presidente della CBS Records. Davis ricorda in tono quasi sognante la sua epifania musicale al Monterey Pop Festival nel 1967. Lì si ritrovò d’un tratto nel centro della rivoluzione musicale dell’epoca. Ascoltare Janis Joplin lo influenzò profondamente e lei divenne la prima artista a firmare con lui. Decenni di esperienza non hanno però cambiato le domande che si pone nell’ascoltare demo di qualunque genere musicale: la canzone e la voce sono abbastanza buone? Ma soprattutto: emozionano abbastanza?
Qui interviene l’intuizione, perché l’esperienza non basta a capire il potenziale di un artista o quale tocco manchi in un arrangiamento. Davis è sempre riuscito in questo nella sua carriera. Facendo sentire a casa artisti dalle estrazioni e inclinazioni più disparate. E il documentario di Perkel lo testimonia senza ritrarsi di fronte a scandali, (rari) flop e perdite dolorose come quella della Huston. Un buon documentario musicale non deve solo elencare aneddoti e nomi celebri, deve far intravedere cosa trasforma la professionalità in arte. Nel caso di Davis si può dire che sia un intuito sempre in linea con lo spirito dei tempi, in barba all’età sempre più avanzata. Visibile su Netflix, qui trovi il trailer.
Creatività
Love, Antosha
Anton Yelchin è scomparso nel 2016 a soli 27 anni, schiacciato nel vialetto di casa dalla sua auto. Una morte assurda, improvvisa, per il giovane attore che, accanto a ruoli in blockbusters come Star Trek stava costruendosi una solida carriera parallela nel cinema indipendente. Love, Antosha., il toccante documentario di Garrett Price presentato l’anno scorso al Sundance Film Festival, ne ripercorre la vita attraverso tante interviste, foto, filmati e documenti, ricostruendone il fulminante percorso umano e artistico. Raramente si sente un coro tanto unanime e trasversale di lodi. Ma soprattutto si percepisce tanto sincero affetto e commozione per un attore che ci ha lasciati. Eppure quello che trasuda fin dai primi minuti del documentario, mai didascalico o enfatico, è la genuina carica di vitalità, voglia di sperimentare ed imparare, sete di conoscenza, amore per il cinema e per l’espressione artistica, insomma, in una parola, creatività di Yelchin.
E accanto ad essa l’amore smisurato e ricambiato dei suoi genitori, famosi pattinatori artistici sovietici emigrati negli USA per proteggere il figlio dal serpeggiante antisemitismo nell’URSS di fine anni ’80. Da quell’atto d’amore iniziale e fino alla sua morte il legame con i genitori è sempre stato forte, tanto che Anton scriveva quotidianamente alla madre. Altro gesto quotidiano era la lotta contro una malattia degenerativa, tenuta nascosta ai più per una sorta di pudore e di rifiuto di farsi definire da essa piuttosto che dalla sua passione per quello che faceva. Musica, fotografia, recitazione, scrittura e la prospettiva di girare il suo primo lungometraggio da regista. Yelchin era in perenne attività, sempre umile e sorridente, ma soprattutto sempre entusiasticamente curioso. Visibile su Amazon Prime Video, qui trovi il trailer.
Inventiva
Exit through the gift shop
Come può l’artista più sfuggente al mondo sfuggire ad un documentario incentrato su di lui? Semplice, ribaltando la propria posizione da soggetto a regista. Banksy è probabilmente lo street artist più famoso di sempre eppure di lui non si conosce altro che la nazionalità, inglese. In realtà per uno street artist non è inconsueto celare la propria identità, anche perché spesso la sua arte si svolge al limite della legalità. Ma il mistero per Banksy è quasi parte integrante della sua pratica artistica: dopotutto la critica al sistema e la dissacrazione dell’autorità e delle icone contemporanee è presente in ogni sua opera, se accettasse di diventare un’icona egli stesso sarebbe un controsenso.
Non si può fare a meno di interrogarsi quindi sul senso di Exit through the gift shop, il documentario da lui diretto. Un “disaster movie sulla Street Art”, visibile su Amazon Prime Video. La maggior parte delle riprese sono fatte da tale Thierry Guetta, cugino di un altro celebre street artist, Invaders. Attraverso questa parentela Guetta inizia ad appassionarsi al mondo della Street Art e a conoscere tramite passaparola i suoi principali protagonisti, seguendoli e documentandone le azioni. Le loro opere, spesso effimere, sono un condensato di inventiva sia a livello di contenuto che di modalità per realizzarle.
Fra tutti spicca ovviamente Banksy, che per Guetta diventa una specie di araba fenice, finché non arriva a conoscerlo. A quel punto ne diventa complice, lo aiuta nei suoi soggiorni losangelini, finché non finisce con il seguirne l’esempio e trasformarsi da documentarista in street artist con lo pseudonimo di Mr Brainwash. Alla fine di Exit through the gift shop resta però l’interrogativo: ma non sarà che l’intero documentario è in realtà un’opera d’arte? Qual è il confine tra arte e realtà? Una cosa rimane certa: il genio di Banksy (vedi il trailer).
Cocciutaggine
Franca
Franca Sozzani è stata direttrice di Vogue Italia dal 1988 fino alla sua morte nel 2016, trasformandola in una delle riviste di moda più influenti al mondo. Insieme ad Anna Wintour (la direttrice di Vogue America, resa celebre dalla versione cinematografica di Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada) è stata capace non solo di raccontare la moda, ma di influenzarla. Franca, l’intenso e diretto documentario con la sapiente regia di suo figlio Francesco Carrozzini, ne ripercorre la carriera per farci conoscere questa donna lombardamente riservata. “Ho le mie idee e le voglio portare avanti: preferisco sbagliare con la mia testa… Io ho fatto esattamente l’opposto di quello che davano tutte le ricerche di mercato”.
Questa visione talvolta cocciuta è stata però anche quella che l’ha portata a creare numeri passati alla storia. Con una sfilza impressionante di “prime volte” che hanno rivoluzionato la percezione di cosa sia una rivista di moda. La tragedia ambientale dell’Exxon Valdes. I servizi di moda sulla chirurgia estetica e persino la violenza sulle donne. E ancora le prime modelle curvy, il famoso “black issue”… Copertine controverse, scattate dai migliori fotografi in circolazione. Numeri provocatori che affrontavano di petto temi scottanti, portando i lettori a chiedersi: è cattivo gusto usare una piattaforma pop ma raffinata come l’alta moda per smuovere le coscienze?
La Sozzani ha caparbiamente portato avanti un progetto organico e innovativo. “Le riviste di moda sono collegate all’arte, al cinema, a tutto” quindi possono usare due pagine per uno scatto di paesaggio, perché pur mostrando meno abiti si aggiunge “il sogno”. Così non devono solo seguire i trend, ma crearli. Non solo lanciare nuovi nomi ma scovarli e aiutarli a crescere. Perché raccontare il presente è importante, ma bisogna anche saper guardare al futuro. Visibile su Netflix, qui trovi il trailer.
Tenacia, intuizione, creatività, inventiva e una buona dose di cocciutaggine: sono tante le caratteristiche che contraddistinguono queste persone straordinarie, queste “vite” testimoniate nei rispettivi documentari biografici. Eppure ce n’è una che le accomuna tutte, una che, se non innata, possiamo coltivare anche noi stessi, magari anche attraverso questi documentari: è la curiosità. Senza di essa non è possibile progredire, stabilire legami forti e duraturi con il prossimo, ampliare i propri orizzonti, vivificare il proprio potenziale. Il talento è condizione necessaria ma non sufficiente. Perché senza la curiosità che ci spinge oltre il conosciuto, magari guidandoci verso terre lontane o espressioni artistiche mai sperimentate prima, ogni inclinazione resterà inespressa. Mentre il mondo ha un gran bisogno delle nostre straordinarietà quotidiane.