Via del Campo c’è una bambina
con le labbra color rugiada,
gli occhi grigi come la strada.
Si dice che la canzone fu ispirata a De Andrè dall’esperienza con un transessuale. Anche questo romanzo si apre con un transessuale in via del Campo e, trattandosi di un poliziesco, saremmo istintivamente portati a pensare che abbia appena fatto una brutta fine. Invece Katia fa solo una comparsata ed è il principale testimone del delitto. Proprio come Lorena della Barbellotta di Novi che incastrò Donato Bilancia. Perché è Katia a rinvenire il cadavere della vera vittima, a chiamare la polizia e a riferirle le prime notizie.
Luana, che in realtà si chiamava Giulia, divideva con Katia un monolocale al piano terra di un caruggio. Era una prostituta atipica, innanzitutto era italiana in una città in cui quasi tutte le sue colleghe sono straniere. Poi non aveva un protettore, esercitava in proprio. Non lo faceva per noia, non lo faceva per professione e non lo faceva neanche per passione. Ma solo per mantenere la famiglia, dopo che il marito era rimasto invalido, e di conseguenza disoccupato, in seguito a un incidente d’auto. Pare che ai suoi clienti dovesse comunque sembrare una specie di Bocca di Rosa. Non a tutti, però, visto che qualcuno le ha spaccato la testa, dopo una discussione che si è sentita anche da fuori.
Un commissario donna che ha la stessa età della morta
C’è poi un commissario donna che si chiama Marta che ha la stessa età della morta e, per prima cosa, le tocca portare la notizia al marito, quello che sta sulla sedia a rotelle. Le tocca anche portare avanti l’indagine, assistita da un piccolo gruppo di collaboratori. Indagine che presto si indirizza verso tre clienti che, per una ragione o per un’altra, hanno lasciato inconfondibili tracce del loro passaggio nella vita della vittima il giorno stesso che è morta.
Tre clienti simili a tanta gente che si può incontrare per strada, purché si bazzichino le strade di quartieri diversi, per nulla omologati tra loro. Ognuno con una storia differente, con in comune soltanto l’idea di avere qualcosa da nascondere, prima ancora di ritrovarsi coinvolti nel delitto.
La Genova di questi polizieschi
Ne abbiamo avuto recentemente un altro esempio in Nuvole Barocche di Paolacci e Ronco. La Genova di questi polizieschi è sempre quella delle mezze stagioni che non esistono più, i tempi in cui non si è oppressi dalla macaia, scimmia di luce e di follia, né si devono fare i conti con la Tramontana scura che porta il gelo e ti taglia in due. Quei periodi dell’anno in cui sembra di stare in Inghilterra tanto cambia repentinamente il tempo nella stessa giornata e quando attacca a piovere, si è sempre vestiti nel modo sbagliato.
Una città grigia e cupa
Quella che Donatello Alunni Pierucci – regista di serie TV tra cui Un posto al sole – racconta in questo suo primo romanzo giallo, Omicidio al 14 rosso, è una città grigia e cupa. Assomiglia alle altre città mediterranee ma è così grigia e cupa, con le sue strade strette, i suoi palazzi con poche finestre e quasi nessun balcone, gli innumerevoli odori che provengono dalle botteghe di alimentari e si mescolano alla salsedine di quel mare scuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai.
Un ambiente che sembra riverberarsi uguale sulle anime degli investigatori. Siamo lontani anni luce dai cliché americani degli specialisti votati anima e corpo alla sacra missione di eradicare il crimine dalla società. Qui a indagare sono poliziotti che non si fanno alcuna illusione perché l’esperienza gli ha insegnato che il Bene è una salita, il Male una discesa. E, finché l’Uomo sarà fatto come è fatto, la seconda strada sarà sempre più facile della prima.
Investigatori che raramente vivono mirabolanti avventure, mentre spesso ricordano dei burocrati per la pazienza con cui ritornano a vagliare sempre gli stessi elementi, in un oscuro lavoro di ramazza che non ha nulla di esaltante ma finisce inevitabilmente per portare alla luce qualcosa che orienta il caso verso la sua risoluzione. Del resto, non lo diceva anche De Andrè, nella stessa canzone, che dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fior?
A due anni dalla pubblicazione di questa recensione abbiamo scoperto il collegamento con un vero delitto irrisolto e tanto intrigato da meritare una aggiunta.
Una ricerca sui casi di “nera” minori e quindi facilmente dimenticati ha permesso di ricostruire l’origine dell’idea di questo romanzo a partire da un delitto irrisolto, risalente al 1995.
Il 6 settembre di quell’anno, in un monolocale al piano terra di vico Indoratori 64 rosso, fu rinvenuto il cadavere di Luigia Borrelli. Un’infermiera di 42 anni, madre di due figli, che arrotondava lo stipendio esercitando la prostituzione sotto il nome di Antonella. La Borrelli era costretta a condurre questa doppia vita dal 1990, quando il suo compagno era morto per cause naturali lasciandole un mare di debiti con gli usurai. Debiti dovuti a una sua temeraria iniziativa imprenditoriale.
È stata uccisa con almeno una decina di colpi alla testa inferti con un trapano, usato come oggetto contundente, da qualcuno con cui aveva sicuramente molta confidenza. Le altre prostitute della zona, che erano in buoni rapporti con la vittima, testimoniarono di alcuni clienti particolarmente assidui. Ma tutti finirono in qualche modo scagionati tranne un operaio che aveva svolto dei lavori di ristrutturazione nel monolocale, il cinquantaduenne Ottavio Salis, che non aveva un alibi.
Però, il 14 settembre, dopo essere stato convocato ufficialmente dal giudice istruttore, Salis si uccise gettandosi dalla Sopraelevata a Sampierdarena. Ulteriori indagini lo scagionarono, ma ormai era troppo tardi.
Si continuò a seguire la pista del killer degli usurai, ma non condusse da nessuna parte.
Sei mesi dopo, nel marzo del 1996, ci fu il suicidio, in circostanze un po’ sospette, della proprietaria dell’immobile in cui Luigia Borrelli era stata uccisa, Adriana Favrega.
Nell’agosto del 2004 arrivò in tribunale una lettera con cui uno sconosciuto si autoaccusava del delitto, dimostrando di sapere troppe cose per esserne estraneo. Ma quella lettera non conteneva elementi che aprissero una pista per poterlo identificare e quindi il caso restò aperto.
Ho attinto queste informazioni dal libro Liguria criminale, di Andrea Casazza e Max Mauceri, edito dai Fratelli Frilli nel 2005. Il testo tratta di dieci omicidi irrisolti avvenuti in Liguria in un arco di tempo di quasi vent’anni.