Disparità sociali, razzismo e maternità nell’America degli anni ’90
(ma anche attuale)
Shakers Heights, Ohio, anni’90.
La villa di Elena Richardson, benestante, moglie e madre di famiglia, è in fiamme e lei assiste attonita al fuoco che distrugge il simbolo stesso della sua vita.
Parte da qui la miniserie di 8 puntate Little Fires Everywhere, in onda su Amazon Prime. Tratta dal romanzo omonimo, che ha avuto un grande successo in America, dal 2018 è edito anche in Italia, da Bollati Boringhieri, col titolo Tanti piccoli fuochi. La serie è molto articolata e più complicata di quanto all’apparenza possa sembrare, perché tratta alcuni temi cruciali in maniera sottile e non sfacciata.
E’ una serie tutta al femminile, a partire dalla scrittrice del libro, Celeste Ng, per continuare con la creatrice della serie e le registe (di 6 episodi su 8).
Una piccola curiosità: Shaker Heights esiste davvero, ha dato i natali a Paul Newman e fu fondata da una comunità Shaker, seguaci estremisti del calvinismo puritano che predicavano una vita comunitaria e un’uguaglianza, all’epoca rivoluzionaria, tra i sessi.
Ma torniamo alla nostra Little Fires Everywhere.
Come dicevo tutta la trama, con le sottese implicazioni che si intrecciano sempre di più man mano che si procede, è incentrata su figure femminili, a partire dalle bravissime Reese Witherspoon e Kerry Washington, rispettivamente nei ruoli di Elena e Mia, che di Little Fires Everywhere sono anche produttrici. Ma non solo le due protagoniste, anche tutti i personaggi di spessore che le affiancano, sono donne e tramite loro si aprono i vari scenari che danno importanti spunti di riflessione su razzismo, disparità sociale, sessualità e, soprattutto, maternità.
I modi in cui Elena e Mia fanno le madri sono praticamente agli antipodi. Ognuna è convinta di agire per il meglio ma le due modalità si scontrano ogni giorno di più. La dinamica più interessante, secondo me, è che i figli dell’una apprezzano il modo dell’altra.
Pearl (la bravissima Lexi Underwood), la figlia di Mia, adora Shakers Heights, la casa dei Richardson, la routine di una vita stabile e benestante. D’altro canto, Izzy (interpretata da Megan Stott), l’ultimogenita ribelle figlia di Elena, è in perenne contrasto con la madre e trova nell’artista Mia una mentore da seguire e a cui ispirarsi.
Ma in Little Fires Everywhere il tema della maternità va oltre le nostre due protagoniste e si allarga, rendendo sempre più difficile definire chi sia una “buona madre” e chi no.
L’impostazione narrativa è molto interessante perché partendo dalla scena finale della serie, si susseguono i colpi di scena, puntata dopo puntata, complice il continuo utilizzo di flash back che aprono squarci su realtà molto differenti da quello che appare.
Apparentemente…
Coinvolgentissimo in tal senso è il racconto di Elena e Mia da giovani, delle scelte che hanno fatto che le hanno portate dove le incontriamo noi. Nessuno è come appare, questo è il motivo che torna, e l’apparente tranquillità e consapevolezza di sé delle due donne nasconde in realtà antefatti che mi hanno affascinata per la loro complessità.
Elena Richardson è la moglie e la madre di una famiglia benestante di Shaker Heights, una piccola cittadina dell’Ohio che persegue un modello di inclusione e ordine che parte dall’erba del giardino – rigorosamente alta non più di 15 centimetri, pena una multa – e va fino all’ottima scuola che apparentemente non fa alcuna discriminazione e prepara i ragazzi alle migliori università.
Mia Warren, afroamericana, è la madre single di un’adolescente molto intelligente ed ha scelto una vita da vagabonda, “apparentemente” per essere libera di seguire la sua ispirazione di artista.
Elena incontra Mia e decide di aiutarla, prima affittandole a un prezzo stracciato una sua proprietà, poi proponendole di essere la sua “manager della casa”, un modo elegante per definire la cameriera.
Perché Elena è sinceramente convinta di essere “inclusiva” e assolutamente accogliente. La sua “perfetta” primogenita sta con un ragazzo di colore e apparentemente è tutto tranquillo. Peccato che il razzismo atavico insito nella società americana strisci e si insinui nelle battute che Elena fa al fidanzatino della figlia ogni volta che viene in casa, nella proposta che fa a Mia, in mille altre occasioni in cui, quando le fanno notare che è un comportamento razzista, lei si ritrae inorridita ma, di fatto, non se ne sottrae.
“Tu non hai fatto le scelte giuste, tu hai avuto le scelte giuste.”
Questa frase, detta da Mia a Elena durante un litigio, rappresenta in pieno la disparità sociale raccontata nella serie tv.
Little Fires Everywhere (vedi qui il trailer) è ambientata negli anni ’90, quando la presa di posizione in USA sulle disparità di trattamento tra bianchi e non bianchi era presente ma meno sentita.
Vederla ora, con il movimento Black Lives Matter nel pieno della sua forza mondiale, rende la serie attualissima e mostra il nervo scoperto della reale discrepanza di trattamento che subiscono i non bianchi da parte soprattutto delle forze dell’ordine. Ma non solo, anche Pearl all’inizio non riesce ad essere ammessa a una classe di algebra più avanzata, perché nera e, per di più, femmina.
Insomma la serie è impegnativa, non la definirei un passatempo per svagarsi una mezz’oretta, ma è molto coinvolgente e intrigante, ha un cast eccezionale e dà spunti di riflessione continui e interessanti: ve la consiglio vivamente!
Elena è una donna americana ligia alle regole e con tutta la sua vita programmata, niente va mai fuori dagli schemi. Per questo, anche se non lo vediamo in Little Fires Everywhere, sono sicura che abbia il Banana Bread tra i suoi cavalli di battaglia.
E’ un po’ una fissazione degli americani, questo pane dolce che si fa quando girano per casa banane troppo mature… nato come molte ricette casalinghe per evitare sprechi, è veloce, sano, nutriente, ottimo per colazione.
Io ho preso spunto dal fantastico blog Cavoletto di Bruxelles che trasforma il Banana Bread in monoporzioni, accattivanti per i piccoli di casa, e ho fatto un po’ di variazioni, mescolando farine e aggiungendo cioccolato.
Se non siete dei compratori compulsivi di farine come me, sappiate che vengono benissimo anche fatti semplicemente con la farina 00.
Banana Bread in versione Muffin al cioccolato
2 grandi banane molto mature
2 uova
75 gr burro fuso
75 gr zucchero di canna
100 gr farina 00
50 gr farina integrale
60 gr farina di mandorla
40 gr farina di grano saraceno (o una qualunque altra farina a vostro gusto)
100 gr di cioccolato fondente fuso
8 gr di lievito per dolci (mezza bustina)
Un pizzico di sale
Schiacciate molto bene le banane con una forchetta in una ciotola. Aggiungete lo zucchero, le uova e, dopo una breve mescolata, anche il burro e il cioccolato fuso.
Unite le farine, il lievito e il sale, poi aggiungetelo al composto di banana. Mescolate il tutto finché non sia amalgamato, ma non lavoratelo troppo.
Accendete il forno a 180° e, mentre si scalda, preparate la teglia da muffin con i pirottini di carta. Dividete equamente l’impasto e cuocete in forno caldo per circa 30 minuti o, comunque, quando uno stecchino inserito all’interno uscirà asciutto.