Metti che durante il lockdown fuori c’è una giornata da urlo, ma non si può uscire. Metti che mentre ciabatti per casa ti cade lo sguardo sui libri cartacei che da anni fungono da recettori di polvere, perché ormai leggi solo in digitale. Metti che tra le mani ti capita L’urlo e il furore, di William Faulkner, e ti ricordi di quando ne hai letto un altro, di lui (Mentre morivo), che ti ha fatto quasi bestemmiare per quanto era difficile da capire, ma che alla fine ti ha regalato una storia su cui non hai potuto smettere di piangere dentro per tanto tempo.
Metti che cominci a leggerlo, e ti senti scema perché fin dalle prime pagine hai in testa un’insalata di nomi e di situazioni e di date che non collimano, e ti vien voglia di arrampicarti di nuovo sulla scala e di rimettere, anzi scagliare, il libro dove lo hai trovato. Metti anche, però, che quelle parole che fai fatica a connettere comincino durante la notte a suonarti in testa una specie di melodia dolce e insieme rapace, che ti tiene avvinta alle pagine. Bene, se qualcuna di queste situazioni, reali o simboliche, ti riguarda… questa miniguida cheap è per te. Perché forse avrei voluto una specie di piccolo Baedeker letterario ad accompagnarmi nella magnifica immersione in questo capolavoro, un testo difficile, impegnativo, e per questo forse meno letto e conosciuto di quanto meriti.
Piccolo Baedeker letterario
Il romanzo, ambientato nei primi decenni del 1900, racconta la storia della famiglia Compson, appartenente all’aristocrazia sudista del Mississippi ma ormai in decadenza a seguito della crisi economica e sociale seguita alla Guerra di secessione americana e nell’imminenza della Grande Depressione del ‘29.
La narrazione delle drammatiche vicende familiari si articola in quattro capitoli, cronologicamente non ordinati. I primi tre sono affidati ad altrettanti figli Compson, mentre il quarto è raccontato da una sorta di narratore onnisciente, ovvero Dilsey, la governante nera che gestisce la casa dei suoi ex padroni, dove abita insieme al proprio nucleo familiare.
Il perno emotivo del romanzo, tuttavia, è una figura che non compare tra i protagonisti, ma viene continuamente evocata in ciascuno dei capitoli: Candace, detta Caddy, unica figlia femmina dei Compson, ribelle e amatissima, che abbandonerà la casa paterna inseguita dal rimpianto di due suoi fratelli e dall’odio del terzo, Jason. Già questo espediente narrativo rivela la genialità ideativa di Faulkner, che è stato in grado di disegnare una figura forte e carismatica esclusivamente attraverso i ricordi e le parole di altri personaggi, a loro volta inventati. Grandioso.
Il titolo riecheggia i versi tra i più belli che personalmente io abbia mai letto nella mia lunga vita di lettrice, ovvero il monologo di Macbeth nell’omonima opera di Shakespeare:
“[la vita] è un racconto narrato da un idiota, pieno di urla e furore, che non ha alcun significato”.
Il primo capitolo è dedicato proprio al racconto dell’idiota di casa, Benjy.
L’urlo e il furore
Capitolo 1 – Sei aprile 1928 (Venerdì Santo)
Benjy
È il capitolo di apertura, quello più sfidante, scritto immaginandosi i pensieri interrotti, le giustapposizioni di eventi in disordine cronologico che potrebbero caratterizzare una mente debole. Sì, perché Benjy, ultimo figlio della covata Compson, adesso ha trentatré anni ma un’età mentale di gran lunga inferiore. In realtà si chiamava Maury, ma è stato ribattezzato Benjamin una volta emersi i suoi problemi cognitivi. Superare il capitolo di Benjy significa cominciare ad immergersi nel flusso narrativo di quest’opera, e cominciare ad amarla. Ed ecco qualche trucchetto per abbandonarsi alla marea:
- uno l’ho già rivelato, in alcune pagine del romanzo Benjy è chiamato Maury, e qui si fa riferimento al momento in cui gli è stato imposto il nuovo nome;
- il corsivo spesso corrisponde a un salto temporale nella narrazione;
- bisogna tenere presente che nella prima infanzia il piccolo Benjy è affidato alle cure di Versh, figlio di Dilsey, nel periodo dell’adolescenza a T.P., altro figlio di Dilsey, e nel momento della narrazione a Luster, nipote di Dilsey. Se si fa caso ai nomi dei differenti “custodi” di Benjy si riesce abbastanza agevolmente ad identificare a quale epoca fa riferimento Benjy nel suo sconnesso e sinestesico racconto.
È un capitolo struggente, intessuto di enorme sensibilità: Benjy è un ritardato, ma la sua mente fragile è in grado di percepire molto di più di quanto a volte i normodotati possano immaginare, e soprattutto percepisce la pienezza degli affetti, ma anche il dolore e l’ansia proprii e altrui. Così Benjy ci introduce – per cenni – alla drammatica situazione della famiglia Compson.
L’urlo e il furore
Capitolo 2 – Due giugno 1910
Quentin
Quentin è il maggiore dei figli Compson ed il più dotato. Incarna i valori della cultura del Sud, ma ne rivela i limiti più evidenti. I suoi genitori vendono un pascolo – che avrà un ruolo nella storia – per mandarlo all’Università a Harvard. Dove Quentin, che nutre una inclinazione incestuosa verso la sorella Caddy ormai irrimediabilmente incamminata verso la ribellione ai valori tradizionali e la promiscuità sessuale, prenderà atto dell’impossibilità di sostenere da un lato le aspettative e il sistema valoriale familiare, dall’altro le proprie incontrollabili pulsioni e ossessioni, e compirà una scelta definitiva.
Il racconto di Quentin, situato temporalmente diciotto anni prima del capitolo precedente, è narrato secondo le regole del flusso di coscienza, in un contesto dai toni a volte allucinatori. Ogni dettaglio apparentemente minimale e incomprensibile trova alla fine una sua collocazione logica, ma la narrazione può anche essere vissuta come un tuffo nella corrente, per noi come per il protagonista. Straordinario il momento in cui Quentin rompe l’orologio donatogli dal padre, perché “solo quando l’orologio si ferma il tempo comincia ad esistere”.
L’urlo e il furore
Capitolo 3 – Sette aprile 1928 (Sabato Santo)
Jason
Diciotto anni dopo il secondo capitolo, un giorno dopo il racconto di Benjy. Questo è un capitolo formalmente coerente, ma semanticamente agghiacciante. Parla Jason, terzo figlio Compson e unico sostegno economico della famiglia dopo la morte del padre.
Sono rimasti a suo carico la madre ipocondriaca e vuota che insieme lo teme e lo idolatra, Benjy l’idiota e la figlia di Caddy, Quentin, chiamata così in memoria dello zio (attenzione perché anche questa informazione è utile per evitare di sbattere il libro fuori dalla finestra!).
Jason è un uomo mediocre, cresciuto nell’ombra dei suoi più dotati fratelli maggiori, che cova in segreto tutte le frustrazioni dell’insuccesso e della totale mancanza di affettività (di cui dispone e di cui è oggetto).
È un personaggio razzista e malvagio, ma di una malvagità che ne fa solo – per l’ennesima volta – un perdente senza speranza e senza amore. Il racconto è uno sfogo contro tutto e contro tutti, che ci svela una lunga serie di comportamenti inappropriati e disonesti perpetrati nei confronti dell’odiata sorella Caddy e della figlia di costei, la quale sembra ricalcare fedelmente le orme della madre: “Puttana una volta, puttana per sempre, dico io”.
E tuttavia la trappola che ha ordito ai danni di Caddy e Quentin finirà per danneggiare irrimediabilmente solo lui, vittima della propria inutile cattiveria.
L’urlo e il furore
Capitolo 4 – Otto aprile 1928 (Pasqua di Resurrezione)
Dilsey
È il capitolo in cui compare l’unica voce “positiva” tra le figure narranti di questo romanzo: Dilsey, la governante nera, il vero perno di questa famiglia disgregata e in declino, l’asse portante di casa Compson. Il suo racconto è il più penetrante, forse l’unico lucido. Ne emerge una figura solida e affettuosa, che, nonostante tutte le avversità, la mancanza di denaro, i drammi personali e collettivi, ostinatamente e faticosamente persegue i propri obiettivi.
Dilsy rimane fedele ai suoi valori: governo della casa costi quel che costi, ricerca continua di una stabilità, affetto, ascolto alle esigenze di tutti, negando magari attenzioni a sé stessa ma mai a coloro che sono attorno a lei. E nella domenica di Pasqua non rinuncia a portare a messa, peraltro nella chiesa frequentata dalla comunità nera, il giovane Benjy, che non a caso ha appena compiuto trentatrè anni come Cristo. Benjy che assurge, nella sua inconsapevole innocenza, a figura simbolica di agnello e redentore, indicando con il suo sacrificio (è stato castrato a seguito di un non chiaro tentativo di stupro) la via verso una possibile salvezza, una possibile resurrezione collettiva.
Post Scriptum
L’urlo e il furore è un romanzo molto duro, in cui il pretesto del racconto del disfacimento di una famiglia del Sud un tempo potente e florida diventa, oltre che una denuncia sociale, anche una metafora dell’insensatezza e della disperazione che caratterizzano l’esistenza umana. Eppure il messaggio finale di quest’opera non può dirsi negativo.
Nella seconda edizione del romanzo, infatti, Faulkner aggiunse un’appendice, che narra la storia dei Compson dal 1699 al 1945.
In un primo tempo la volle all’inizio del libro, successivamente fu spostata alla fine, e a me è piaciuta di più così. Perché, dopo una lunga disamina (godibile e chiara, e che finalmente rimette a posto le tessere del puzzle) sui diversi personaggi raccontati nel romanzo, l’ultima riga è dedicata a Dilsey.
E su Dilsey l’autore è lapidario: “resisterono”. Come se la capacità e la volontà ostinate di sopravvivere, di andare avanti, di mantenere dritto il timone (ciò che oggi con una parola abusata forse si direbbe “resilienza”) siano le uniche armi di cui dispone l’essere umano sballottato dagli eventi di una vita intrinsecamente senza un senso. Tranne che bisogna andare avanti. E questo mi piace pensare che possa valere nella vita come nella lettura di questo difficile romanzo, entrambi degni di essere vissuti pienamente. Nonostante tutto.
Molto bene davvero, sarà certo utile a molti lettori. Nel caso non lo sappiate, su un ponte di Boston esiste una placca che ricorda che da lì, il 2 giugno del 1910, il diciannovenne Quentin Compson si tolse la vita gettandosi nel Charles River . Ma per capire appieno il dramma di Quentin, della sua famiglia e del Sud anziché gettarvi nel fiume gettatevi subito nella lettura di “Absalom, Absalom”.
Caro Franco, grazie mille anche qui per l’apprezzamento! Non sapevo nulla di questa targa (e sì che ho anche visitato Harvard, ma troppi anni fa), ma grazie allo spunto sono andata a curiosare sulla rete, e la frase che è incisa sulla placca è:
Quentin Compson
Drowned in the odour
of honeysuckle
1891-1910.
Poetico e direi commovente – per chi ha letto il romanzo – il riferimento all’odore del caprifoglio, simbolo per Quentin della perduta verginità della sorella e insieme della sua ossessione per lei. Singolare e significativo che una placca reale sia stata dedicata ad un protagonista di un romanzo, lo leggo come segno di quanto fortemente la vicenda di Quentin fosse inscritta nella sensibilità degli statunitensi. E sì, decisamente il prossimo libro per me di questo gigante della letteratura mondiale sarà Assalonne, Assalonne (che credo però leggerò in italiano, perché temo che Faulkner e la lettura in lingua originale possano rivelarsi veramente troppo impegnativi per le mie forze). Ancora grazie.
Per i grandi amanti di Faulkner (specie se del Sud, specie se del Mississippi) il 2 giugno a Boston è giorno di pellegrinaggio alla targa di Quentin, un po’ come il 16 giugno a Dublino si commemora il Bloomsday perché è in quel giorno del 1904 che si svolge l’azione dell’Ulisse. Ma a proposito di lapidi: un giorno ritroverò e pubblicherò la foto che scattai a quella sulla tomba di Faulkner, a Oxford (Miss.), lapide sulla quale la vedova, Estelle, fece incidere “to my beloved”, anche se in realtà tra i due la relazione era sempre stata difficile assai. Prova ne sia l’affair di Will con Meta Carpenter, quando lui faceva lo sceneggiatore a Hollywood per pagare i debiti (molti anni dopo Meta scrisse un libro, “A loving gentleman”, nel quale raccontò con molto garbo quella storia). Spesso accanto alla lapide si trovano bottiglie vuote di whisky, in omaggio a quel gran bevitore. Fernanda Pivano mi raccontò che alla stazione di Milano, dove lo aveva acompagnato, gli chiese se volesse qualcosa per il viaggio, e lui aprì uno zaino che aveva con sé ed era pieno di bottiglie (piene). Se per caso vi siete fatti l’idea che Faulkner sia uno dei miei scrittori favoriti, ci avete azzeccato.
Solo una parola: GRAZIE.
Questa miniguida mi sta tenendo salda nell’impresa e ci torno ogni tanto per raccapezzarmi quando mi trovo persa nella storia. Grazie davvero!
Grazie della preziosa guida alla lettura. Mi stavo scoraggiando ma ora proseguo più sicura. Ho alle spalle un meraviglioso Mentre morivo che mi ha dimostrato che ce la posso fare. Ancora meglio con il tuo aiuto!
Dopo aver letto Furore e Uomini e Topi di Steinbeck avevo deciso di proseguire la lettura dei grandi americano di inizio ‘900 con L’Urlo e il furore.
Ma con mio grande dispiacere dopo una trentina di pagine mi sono arreso. Per caso ho trovato questa sua recensione, molto migliore di quelli a corredo del testo ed.Einaudi, e mi ha rappacificato col libro.
Ho appena finito il primo capitolo e aspetto con ansia la fine!
grazie!