In questo articolo parliamo di un film e di un libro. Il film è Il processo ai Chicago 7, scritto e diretto da Aaron Sorkin, prodotto da Steven Spielberg, uscito su Netflix nel 2020, che tratta del processo ai leader dei gruppi che hanno partecipato alla manifestazione contro la guerra del Vietnam, che si era tenuta a Chicago nel 1968. Il libro invece è Testimonianza a Chicago ed è esattamente la testimonianza fatta da Allen Ginsberg in quello stesso processo. L’articolo è a quattro mani: Dianella Bardelli e Tiziana Zita.
Il processo ai Chicago 7
di Tiziana Zita
Anno 1968. Il presidente Johnson annuncia un incremento dei soldati in Vietnam che passano da 75 mila a 125 mila con effetto immediato.
Vengono estratti i numeri come fosse una lotteria: 30 dicembre. Significa che chiunque, di età copresa tra i 18 e i 24 anni, sia nato il 30 dicembre deve partire per il Vietnam.
Poi vediamo Martin Luther King che parla in un discorso pubblico e include il Vietnam tra le cause che hanno avvelenato l’America. Gli sparano il 4 aprile 1968.
Poco dopo tocca a Robert Kennedy, convinto oppositore della guerra in Vietnam, che nel ’68 aveva annunciato la sua candidatura alla Presidenza degli Stati Uniti e che viene ucciso il 6 giugno 1968.
Poi i soldati mandati in Vietnam diventano 536 mila.
Fine delle immagini di repertorio.
Inizia così Il processo ai Chicago 7, film prodotto da Steven Spielberg, scritto e diretto da Aaron Sorkin, sceneggiatore di The Social Network e delle serie West Wing e The Newsroom. Il processo ai Chicago 7 ha avuto una lunga gestazione perché il budget era molto alto e difficile da recuperare al botteghino. Il film è uscito su Netflix nel 2020, ma il primo incontro in cui Spielberg ha affidato a Sorkin l’incarico di scrivere la sceneggiatura, risale al 2006.
La Convention Nazionale Democratica doveva decidere chi sarebbe stato lo sfidante del candidato repubblicano Richard Nixon, dopo che il presidente democratico Lyndon Johnson aveva annunciato che non si sarebbe ricandidato per dedicarsi completamente alla guerra in Vietnam.
Tutti volevano andare a Chicago per fermare la guerra. Volevano che il prossimo presidente degli Stati Uniti la smettesse di mandarli al massacro in Vietnam. Ma la manifestazione fu vietata e venne fatto un enorme spiegamento di forze per contrastarla. Ai 10.000 agenti di Chicago si unirono i 5000 soldati della Guardia Nazionale dell’Illinois.
Stati Uniti contro…
Il processo si fece nel 1969 e gli imputati erano: Abbie Hoffman, Jerry Rubin, David Dellinger, Tom Hayden, Rennie Davis, John Froines e Lee Weiner. Furono accusati di associazione a delinquere, istigazione alla sommossa e altro ancora.
In realtà i sette di Chicago erano otto perché c’era anche Bobby Seale, il leader delle Pantere Nere: l’unico nero, l’unico in prigione, l’unico che fu portato in aula ammanettato e che non aveva neanche un avvocato. In seguito lo imbavaglieranno e lo legheranno con le catene alla sua sedia.
È di lui e di quella protesta contro la guerra del Vientam che parla la canzone Chicago di Graham Nash, cantata insieme a Crosby, Still e Young.
Gli otto sono accusati anche di cospirazione. Nessuno era mai stato condannato per cospirazione negli Stati Uniti. Gli accusatori volevano così sancire che ci fosse una regia unica e una precisa strategia, mentre i vari gruppi che parteciparono erano molto diversi l’uno dall’altro.
C’erano Tom Hayden (Eddie Redmayne) e Rennie Davis, leader degli Studenti per una Società Democratica.
C’erano Jerry Rubin e Abbie Hoffman (gli ottimi Jeremy Strong e Sacha Baron Cohen), leader del Partito internazionale della Gioventù, ovvero gli Yippies pacifisti e trasgressivi. Questi nel film sono i più divertenti, sempre strafatti, dicono cose apparentemente assurde che però spesso ridicolizzano l’evidente faziosità del giudice.
Quindi c’era David Dellinger, il Leader della Mobilitazione per la fine della guerra in Vietnam: un brav’uomo, assolutamente pacifista, sposato, con il figlio boy scout. Infine c’erano un paio di ragazzi capitati lì in mezzo per caso.
È subito evidente che si tratta di un processo alle idee, già deciso prima ancora di cominciare. Il giudice Julius Hoffman (interpretato dal bravo Frank Langella) è vecchio, rimbambito e soprattutto molto ostile agli accusati e ai loro avvocati. L’iniquità del processo è la cosa che più colpisce e indigna.
Il film è giocoso e divertente, pur nei limiti imposti dal tema. Forse si sente un po’ l’impostazione teatrale, ma questo non è per forza un difetto, specialmente per un film processuale. Ma è sicuramente un film da vedere che documenta un momento importante della storia americana, ben fatto, con buoni dialoghi e un buon cast (vedi il trailer).
Si tratta comunque di un processo politico, pilotato, mentre i soldati americani in Vietnam continuano a morire come mosche e i loro nomi scorrono ogni giorno alla tv come fossero titoli di coda.
Testimonianza a Chicago di Allen Ginsberg
di Dianella Bardelli
Del trio Kerouac, Cassady, Ginsberg, solo quest’ultimo ha praticato una forma di militanza politica. E il modo originale in cui lo fece, è una delle ragioni del mio amore per questo poeta che seppe dare un grande contributo ai movimenti alternativi americani degli anni ’60.
Testimonianza a Chicago è la prova evidente della specificità di quei movimenti così inclusivi rispetto al settarismo dei movimenti alternativi italiani della stessa epoca. La beat generation, l’hippy generation, il movimento psichedelico e i vari gruppi che in quegli anni negli USA si opponevano al potere, cercarono non solo di manifestare questa loro opposizione, ma soprattutto di viverla. Questa fu la loro forza e la loro peculiarità.
Il libro è la trascrizione dell’interrogatorio di Ginsberg al processo ai Chicago 7, il processo del 1969 ai leader della protesta avvenuta durante la Convenzione del Partito Democratico che si tenne dal 25 al 29 Agosto del 1968, a Chicago
L’intento dei dimostranti era una mobilitazione contro la guerra in Vietnam con una modalità nuova: un “festival della vita” da tenersi al Lincoln Park con workshop di ogni tipo, reading poetici, musica e centri di discussione politica.
Visto il divieto delle autorità, giunsero in città solo 5000 mila dimostranti e furono brutalmente attaccati dalle forze dell’ordine durante lo sgombero del parco. Ci furono centinaia di arresti, moltissimi feriti e un anno dopo ci fu il processo ai leader di quelle giornate. Tutti e sette saranno condannati a 5 anni di carcere e 5000 dollari di multa. Persino i difensori degli imputati subiranno pesanti condanne.
La testimonianza di Ginsberg fu richiesta dalla difesa a favore dei sette imputati.
Scrive a questo proposito Fernanda Pivano nella bellissima introduzione:
Si rivolse ai giurati con completa naturalezza e li affascinò trattandoli da suoi pari, da persone intelligenti. Quando salmodiò il Mantra Hare Krishna il Pubblico Ministero scoppiò a ridere e un marshal fece il gesto di impugnare la rivoltella, quando salmodiò OM il giudice lo fece smettere con fastidio; ma la giuria passò la pausa tra le due fasi dell’interrogatorio del poeta seduta sul pavimento a salmodiare O-o-m.
Ginsberg racconta che a Chicago ha continuato a salmodiare OM per sette ore e spiega che lo scopo era quello di calmare le persone.
In caso d’isterismo, solitario o comunitario, la parola d’ordine magica è OM. Pronunciate OM dalla metà del corpo, dal diaframma o plesso solare. Dieci persone che mormorano OM possono calmarne cento. Cento persone che mormorano OM possono regolare il metabolismo di mille. Mille corpi che vibrano OM possono immobilizzare tutta una strada centrale di Chicago piena di esseri umani impauriti, in uniforme o nudi.
Le sue risposte comunque non dovettero impressionare più di tanto la Corte, viste le severe sentenze emesse nei confronti degli imputati.
Nel controinterrogatorio il Pubblico Ministero gli chiede che rapporto ci sia tra il salmodiare i Mantra e la poesia. In realtà vuole arrivare a metterlo in difficoltà sulle sue poesie a sfondo sessuale.
Ginsberg risponde di avere imparato a salmodiare durante il suo viaggio in India del 1962 da uno Swami Shivananda, che era anche lui un poeta e che la pratica ha lo scopo di regolare e calmare la respirazione, in modo da divenire consapevoli di ciò che ci circonda.
Ma non è questa la risposta che voleva il PM. Subito dopo infatti gli chiede che innalzamento spirituale può portare l’uso delle droghe tra gli hippy che Ginsberg frequenta e quindi gli chiede di leggere le sue poesie The Night Apple e In Society che trattano entrambe della sua omosessualità.
“Può spiegare il significato religioso della poesia?”
Ginsberg risponde “che nello Yoga si tenta di allargare la consapevolezza, e che questa includerà tutto ciò che avviene dentro il corpo e dentro la mente”.
Ginsberg recita il suo poema Urlo in aula
Nell’ultima parte dell’interrogatorio l’avvocato della difesa gli chiede di recitare il suo poema Urlo (Howl in lingua originale), cosa che Ginsberg fa nel silenzio generale dell’aula, mettendo così fine alla sua testimonianza.
Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche,
trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa,
hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando jazz.
[…]
Della partecipazione di Ginsberg alle manifestazioni di Chicago del 1968 si parla anche nella bella biografia del poeta scritta da Bill Morgan, Io celebro me stesso. È una biografia estremamente dettagliata, organizzata per anni.
Si parla del fatto che Ginsberg “in mezzo ad un gruppo di manifestanti cominciò ad intonare OM in un microfono portatile. Mentre cantava cominciava a rendersi conto che quel suono gli provocava un cambiamento interiore. La sua respirazione divenne più regolare, come respirasse l’aria del paradiso, espirandola a sua volta nell’universo”.
Anche se in seguito Ginsberg si pentì di aver partecipato alla manifestazione per via della piega violenta che aveva preso, per lui l’esperienza di Chicago fu illuminante, visto che fino a quel giorno aveva considerato i Mantra solo un genere di canto. Dunque era possibile alterare gli stati di coscienza con il solo uso del canto.