“Sognai l’altra notte che ritornavo a Manderley.”
Inizia così Rebecca, il romanzo del 1938 di Daphne du Maurier e così, inevitabilmente, iniziano entrambe le sue versioni cinematografiche, quella magistrale di Alfred Hitchcock, girata solo due anni dopo la pubblicazione del romanzo, e quella di Ben Wheatley appena uscita su Netflix.
Impossibile non inserire questo attacco così coinvolgente, perfetto per introdurre l’opera stabilendone subito il tono. È il racconto di un sogno che confonde passato, presente ma soprattutto il vissuto della protagonista, nonché voce narrante. Una voce senza nome: particolare questo che ne sottolinea ulteriormente la malleabilità e vulnerabilità. Una ragazza alla sua prima esperienza lavorativa, come dama di compagnia di una dispotica riccona in vacanza in Costa Azzurra.
Ed è proprio a Montecarlo che incontra l’uomo che le darà finalmente una denominazione: Max de Winter. Il ricco e affascinante vedovo, proprietario della favolosa tenuta di Manderley. La narratrice finisce per innamorarsi di quest’uomo bello, gentile ma tormentato da un’ombra che non accenna ad abbandonarlo. E’ quella della moglie, morta in circostanze drammatiche.
Dopo l’estate trascorsa insieme, di fronte alla prospettiva di una subitanea separazione Max non esita a chiedere alla giovane di sposarlo, né lei esita ad accettare: è orfana, sola al mondo, odia il proprio lavoro e ama Max.
La differenza di età, rango ed esperienza non pare importare a nessuno dei due, almeno finché non arriva il momento di recarsi nella favoleggiata Manderley. Dopo questo inizio solare come le rive del Mediterraneo in cui si svolge, la narrazione subisce un repentino cambio di rotta.
Manderley
Alla coppia di protagonisti, Max e la neo Mrs. de Winter, subentrano infatti personaggi ben più ingombranti. A cominciare da Manderley, che appare come un personaggio a tutti gli effetti, labirintico e ricco di luci ed ombre. Ma soprattutto Rebecca, la defunta Mrs. de Winter: la sua presenza aleggia ovunque, a Manderley ma anche prima. A Montecarlo di lei parlava la signora presso cui lavorava la futura Mrs. de Winter e nel cruscotto dell’auto Max aveva un libro di poesie regalatogli proprio da Rebecca, con una dedica chiusa da una R imperiosa, iniziale che diventerà ricorrente.
Max si rabbuia quando si nomina Rebecca. Non parla di come è morta, ogni accenno alla prima moglie lo rende nervoso e insofferente, allontanandolo dalla sua nuova moglie. Quest’ultima a Manderley avverte tutto il peso della propria timidezza e inadeguatezza nei confronti della gestione di una simile casa, che è un vero e proprio castello. Ciò vale rispetto alle aspettative dei fittavoli e dei vicini, ma soprattutto verso quella che sembra essere una sacerdotessa del culto di Rebecca: la sua cameriera personale, Mrs. Danvers.
Austera, fredda, sprezzante, implacabile: dietro la cortesia di rigore Mrs. Danvers è un’avversaria temibile per la sposina e giudica silenziosamente ogni suo gesto. Il compito principale di Mrs. Danvers pare essere quello di non perdere occasione per ricordare a Mrs. de Winter quanto Rebecca fosse bella, brillante, di gusto impeccabile, insomma, perfetta.
Mrs. de Winter si trova così in una battaglia impari, nonostante i suoi unici alleati, la sorella di Max e il suo uomo di fiducia, Frank Crawley, non facciano che ripeterle quanto lei abbia fatto bene a Max, salvandolo dall’abisso seguito alla morte di Rebecca.
La dinamica è talmente celebre da essere quasi proverbiale. Il confronto fra la giovane sposina e la prima, defunta moglie è impietoso. E la giovane non può che soccombere alle proprie insicurezze. Eppure, ecco che la trama prende un’altra svolta, stavolta virante al giallo. Viene casualmente ritrovata in fondo al mare la barca di Rebecca, chiamata non per nulla Je Reviens (io ritorno), ed improvvisamente tutto quello che Mrs. de Winter e i lettori/spettatori pensavano di sapere su Rebecca e Max viene ribaltato.
È il crollo degli idoli, il disvelamento delle ombre e dei loro oscuri segreti. Paradossalmente è a questo punto che Mrs. de Winter trova il suo posto nel mondo, un ruolo che solo lei, con amore e lealtà incondizionati, può svolgere.
Il romanzo di Daphne du Maurier
Daphne du Maurier ha scritto un romanzo eccezionale. Cattura il lettore fin dalle prime pagine portandolo in un’altalena di esasperazione e simpatia nei confronti della narratrice e costruisce una trama avvincente con pochi personaggi e ancor meno azione. Il tutto con una notevole finezza psicologica. Nessuna parola nei dialoghi è scelta superficialmente e la costruzione narrativa è veramente originale. Tutto il romanzo è in effetti una digressione, un ricordo introdotto a sua volta dal ricordo di un sogno.
Le implicazioni psicanalitiche sono estremamente moderne e il principe azzurro in effetti è, in modo non dissimile dal Mr. Rochester di Jane Eyre, oscuro. Così Mrs. de Winter, scegliendolo ben due volte, quando lo sposa e quando decide di restare con lui pur scopertone il segreto, non è in effetti la fanciulla innocente e pura che credevamo.
Neppure Rebecca, forse l’unico personaggio “in negativo” nella storia della letteratura e del cinema, è quel che il mondo credeva. In effetti esiste da viva come proiezione di sé e da morta come assenza, nel ricordo di chi l’ha conosciuta. Un fantasma ma nell’accezione freudiana del termine più che in quella del romanzo gotico.
Mrs. de Winter nel corso della narrazione ci presenta varie digressioni in cui si immagina quel che potrebbe accadere, o quel che altri potrebbero pensare. La fervida fantasia è il suo principale nemico assieme alla timida, cronica insicurezza, e la porta a costruire un’immagine di Rebecca su cui proietta tutto quello che lei non sarà mai, dandole una presenza che Mrs. Danvers, nella sua perversa e ambigua fedeltà alla defunta, contribuisce a dettagliare ed esaltare. È interessante che entrambi gli adattamenti cinematografici diano tanto spazio a Mrs. Danvers, facendone la vera antagonista, quando in ultima analisi nel romanzo appare più come un’eco della defunta e, dunque, come l’ennesima incarnazione dei complessi d’inferiorità della protagonista.
D’altro canto è impossibile trasporre su schermo le fantasie esaltate di Mrs. de Winter e chiarire così come la sua insicurezza sia ben più profonda e radicata di quanto alcuni suoi gesti puerili possano mostrare.
Che strumenti restano quindi ai registi?
Rebecca di Hitchcock
Hitchcock sceglie di snellire il racconto e sfruttare abili movimenti di macchina per rendere in qualche modo visibile l’aleggiante presenza/assenza di Rebecca. Spinge poi verso il gotico con la fumosa sequenza onirica iniziale, il peso dato a Manderley (per Hitchcock “uno dei tre personaggi principali del film”) e la sequenza finale alla Brönte (vedi il trailer).
e Rebecca di Wheatley
Wheatley, britannico come Hitchcock e la du Maurier, dunque a suo agio con l’ambientazione, si affida molto alle scenografie, alla fotografia e ai costumi per differenziare i diversi momenti del racconto, sottolineando così visivamente le varie svolte della trama. L’unica sequenza veramente dark è quella della festa, dove la folla si richiude su Mrs. de Winter stringendola in un abbraccio soffocante almeno quanto la gelida stanza di Rebecca, dove gli specchi la avvolgono mostrandole la propria inconsistenza da ogni angolazione (vedi il trailer).
Il cast
Alla fine però dal confronto con romanzo e precedente adattamento, Wheatley esce sconfitto seppure più fedele al materiale di partenza. E non per colpa di Lily James (Mrs. de Winter), Armie Hammer (Mr. de Winter) e Kristin Scott Thomas (Mrs. Danvers) che nel trio di ruoli principali non sfigurano a confronto con i mitici Joan Fontaine, Laurence Olivier e Judith Anderson.
Purtroppo Wheatley non ha il coraggio di spingersi oltre come in altri suoi film (High Rise è un piccolo capolavoro nella sua ferocia), finendo col fare di Rebecca una storia romantica dai risvolti noir. Non rende così giustizia all’originalità e profondità del romanzo della du Maurier che sono in primo luogo stilistiche.
Il risultato è comunque godibile e visivamente sontuoso, nonché un ottimo antipasto per chi voglia regalarsi la splendida lettura del romanzo. Come dessert si potrà poi optare sul Rebecca di Hitchcock, che è a sua volta un ottimo antipasto alla sua filmografia americana. Il film infatti anticipa alcuni temi e soluzioni visive che andrà a perfezionare negli anni successivi e che lo porteranno a rivolgersi di nuovo a un racconto della du Maurier per un altro dei suoi capolavori, Gli Uccelli.
Interessante analisi comparata tra libro e versioni cinematografiche !! Un invito a farne esperienza diretta !