La più bella e famosa libreria del Novecento
Quella di Shakespeare and Company è la storia vera di un sogno realizzato, la storia di una libreria che doveva essere di autori francesi a New York e invece diventò una libreria di autori angloamericani a Parigi perché, nei Ruggenti Anni ’20, “Se non potevi permetterti niente, potevi permetterti Parigi”.
Shakespeare and Company è un libro di memorie, scritto nel 1956 dalla proprietaria dell’omonima libreria Sylvia Beach, americana innamorata di Parigi, dove visse tutta la sua vita da adulta, creando miti e diventandone lei stessa uno.
Appassionata di letteratura francese, Sylvia si trasferì a Parigi per studiare già nel 1916. L’incontro con una libraia parigina, Adrienne Monnier, cambiò la sua vita. Il 9 novembre 1919 infatti, con l’aiuto di Adrienne che divenne anche la sua compagna di vita, aprì ufficialmente la libreria, dandole il nome dell’autore inglese per antonomasia.
Il segno distintivo che, da subito, caratterizzò Shakespeare and Company, è che fosse tra le prime “librerie ambulanti”; all’epoca i libri costavano molto, soprattutto se si parlava di libri di autori non francesi e, quindi, non stampati in Francia. Così, Sylvia creava degli abbonamenti, in modo che i suoi clienti potessero prendere in prestito i libri degli autori più importanti, soprattutto stranieri, senza per questo doverli comprare.
Questa peculiarità, unita al fatto che fosse una libreria americana, ne fece il fulcro di tutti gli scrittori, pittori, artisti che, nel periodo tra le due guerre, elessero Parigi a città ideale per scrivere, creare, vivere, grazie anche a un cambio favorevole e a uno stile di vita più facile e aperto, soprattutto se paragonato al Proibizionismo in USA.
Shakespeare and Company, il libro, è un insieme di aneddoti affascinanti su quelli che allora erano giovani promesse e che poi hanno scritto dei capolavori della letteratura del Novecento, segnando l’epoca con le loro opere. Ernest Hemingway, il suo miglior cliente, Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda, T.S. Eliot, Gertrude Stein e Alice Toklas, Man Ray, Ezra Pound, solo per citarne alcuni, erano abbonati fissi, amici di Sylvia e della sua libreria.
L’atmosfera che emerge dalle pagine di Shakespeare and Company è quella che si ritrova nel, per me fantastico, Midnight in Paris, in cui il protagonista disquisisce tutte le sere di letteratura e arte con quelli che la stessa Gertrude Stein definisce “la generazione perduta”, quella dei giovani che hanno fatto la Grande Guerra e che adesso, per compensazione, rincorrono la vita al massimo delle sue possibilità.
A proposito di “generazione perduta”, la definizione che Heminguay ha reso famosa in Fiesta, attribuendola a quella che all’epoca era la sua mentore, pare che in realtà fosse opera di un meccanico, che apostrofava così il suo apprendista incapace di fare alcunché perché, secondo lui, perso nei ricordi di quello che aveva vissuto al fronte.
Ciò che però mi ha colpito particolarmente della storia di Shakespeare and Company e di Sylvia Beach, è che lei è stata l’editrice della prima stampa dell’Ulysses.
Sono venuta così a conoscenza della storia di uno dei capolavori della letteratura mondiale che, a causa dei suoi contenuti considerati all’epoca osceni, non trovava nessun tipografo disposto a stamparlo nei paesi di lingua inglese. Sylvia, che già adorava Joyce di suo dopo averne fatto la conoscenza a una cena, decise di coinvolgersi direttamente e ne divenne così editrice, riuscendo a far stampare le prime 1000 copie (con copertina blu greco) a un tipografo di Digione.
Ammetto, senza neanche troppa vergogna, che l’Ulisse me lo ricordo come un incubo al liceo. Non sono mai riuscita a leggerne più di qualche pagina di seguito, anche a distanza di anni. Per la fortuna di tutto il mondo, letterario e non, la nostra proprietaria di Shakespeare and Company ha avuto un approccio al libro decisamente diverso dal mio.
La pubblicazione dell’Ulysses portò fama mondiale alla libreria e alla sua proprietaria, ma la ridusse quasi sul lastrico per una serie di motivi che, se vi va di leggerlo, scoprirete nel libro.
Shakespeare and Company, come fu fondata da Sylvia, chiuse nel 1941 a causa dell’occupazione nazista e, sebbene liberata proprio da Heminguay nelle vesti di soldato americano nell’agosto del 1944, non riaprì più.
Quella che si trova ancora oggi a Parigi, ad un altro indirizzo, fu fondata nel 1951 da George Whitman, fu chiamata Shakespeare and Company proprio in onore di Sylvia Beach, che la definì “il suo successore spirituale”, diventando il centro di altri grandi scrittori, come James Baldwin, William Burroughs, Anaïs Nin, Allen Ginsberg, Richard Wright, Julio Cortázar and Henry Miller.
Spero di avere presto la possibilità di andarla a visitare!
Alla ricerca del tempo perduto
Probabilmente non fu mai cliente di Shakespeare and Company ma, se devo associare una specialità francese alla letteratura, non posso prescindere da Marcel Proust e dalla sua À la recherche du temps perdu, pubblicata in sette volumi tra il 1913 e il 1927. Soprattutto non posso non ricordare quelle che sono diventate, grazie a lui, proprio un modo per spiegare uno stato d’animo, le madeleine.
Questi francesissimi e burrosissimi dolcetti, perfetti per accompagnare un tè (al tiglio, se si vuole essere filologicamente proustiani) prendono il nome dalla cuoca che li fece per la prima volta nel ‘700, per omaggiare Voltaire che fece visita in Lorena al re di Polonia, che lì aveva una seconda casa. Re la cui figlia Maria era moglie di Luigi XV… vabbè se ci incastriamo con le genealogie dei reali francesi è la fine, limitiamoci alle madeleine.
Queste sono facilissime da fare, la particolarità è tutta nella forma a conchiglia e nella loro gobba.
La gobba si ottiene con uno shock termico, per questo l’impasto pronto va tenuto in frigo per almeno quattro ore e infornato nel forno bollente. Per la forma a conchiglia, purtroppo serve lo stampo apposito, altrimenti perdono metà del loro fascino. In caso, compratene uno in alluminio, non silicone, le papille vi ringrazieranno!
Andiamo alla ricetta, presa dal libro Mini madeleine. Dolci e salate di Sandra Mahut.
Madeleine
125 gr di burro
125 gr di zucchero
150 gr di farina 00
1 cucchiaino di lievito per dolci
2 uova a temperatura ambiente
2 cucchiai di latte
5/6 gocce di aroma di mandorla
La buccia grattugiata di un limone
Un pizzico di sale
Fate fondere il burro in un pentolino e fate freddare leggermente. Montate le uova con lo zucchero fino ad avere un composto chiaro e spumoso. Sempre mescolando, aggiungete la farina setacciata con il lievito, mescolate brevemente, giusto il tempo di incorporarla. Sempre mescolando, aggiungete a filo il burro, precedentemente fuso, il latte, l’aroma di mandorla e la buccia grattugiata di limone. L’impasto è pronto. Coprite con pellicola alimentare e fate riposare in frigo almeno 3 ore, meglio ancora tutta la notte.
Imburrate e infarinate lo stampo per madeleine e mettetelo in frigo, o freezer, per 5-10 minuti. Versate un cucchiaino pieno di impasto in ogni cavità (non esagerate perché crescono in cottura). Infornate in forno preriscaldato statico a 210° per 10 minuti, fino a quando le madeleine saranno dorate e con le classiche gobbette. Sfornate, togliete subito dallo stampo aiutandovi con la punta di un coltello e fate raffreddare.
Pulite lo stampo con carta da cucina, imburrate ed infarinate nuovamente. Procedete con la cottura come sopra.