Quasi in sordina e comunque con poco scalpore, quest’anno la Elliot ha regalato ai lettori italiani un paio di perle che si inseriscono a pieno titolo nel suo programma di recupero di importanti classici del giallo, mai precedentemente proposti nel nostro Paese. Stiamo parlando di Il processo Bellamy di Frances Noyes Hart e di Il figlio della vedova di Elisabeth Sanxay Holding, il primo pubblicato nel 1927 e il secondo che risale al 1952.
Il processo Bellamy
Già da tempo The Bellamy Trial è celebrato come un capolavoro del genere dai critici specializzati ed è notevolmente apprezzato anche negli ambienti accademici. Rappresenta, in qualche modo, se non il primo tentativo in assoluto, almeno quello perfettamente riuscito di realizzare un romanzo giudiziario. Ossia un romanzo incentrato sullo svolgimento di un processo.
Le sue origini risalgono a un caso di “nera” che appassionò per molto tempo l’opinione pubblica americana e che, a tutt’oggi, risulta irrisolto. Il duplice delitto Hall-Mills del 16 settembre 1922 a New Brunswick, New Jersey.
Nella vicenda reale, caratteristica della provincia più chiusa come quella che al tempo era possibile trovare anche sulla East Coast, a poca distanza da New York, una rete fittissima di omertà e collusioni impedì di giungere a qualsiasi tipo di prova della colpevolezza di uno qualunque dei sospettati, anche se è probabile che vi fossero più persone coinvolte che si protessero a vicenda. In quella del romanzo, il delitto è uno solo, ma il contesto e la cornice sono identici.
La spregiudicata Madeline Bellamy
La giovane e piuttosto spregiudicata Madeline Bellamy è stata ritrovata uccisa all’interno di un cottage a brevissima distanza da casa sua. Nel quale, verosimilmente, si dava appuntamento con il suo amante. Diversi indizi, nessuno dei quali però decisivo, puntano sull’accoppiata formata dal marito, Stephen Bellamy, e da Sue Ives, moglie del supposto amante di Madeline, Patrick Ives. Tutti e quattro questi personaggi sono brillanti giovani che appartengono a vario titolo alla migliore società di Redfield, un signorile sobborgo di New York.
A prescindere da chi possa essere stato, appare abbastanza chiaro fin da subito come l’opinione pubblica sia convinta che Madeline Bellamy abbia incontrato la mano che le ha spento la vita, innanzitutto perché se l’è cercata. L’interesse generale del pubblico che si affolla nell’aula del tribunale non si accentra tanto sul meccanismo delitto-castigo, quanto sui suoi risvolti in termini di gossip. Il fatto che Stephen Bellamy e Sue Ives rischino la forca sembra importare sul serio soltanto ai loro amici e parenti stretti.
Una ragazza dai capelli rossi e un giornalista giovane
Ma non sono gli abitanti di Redfield a fare da tramite fra il lettore e la vicenda, bensì due estranei senza nome: una ragazza dai capelli rossi, con ambizioni da scrittrice, che è riuscita a farsi assegnare l’incarico di seguire il processo e vi partecipa in modo spesso emotivo; e il suo vicino di scranno. Un giornalista ancora giovane ma già esperto, che pure è lì per ragioni di lavoro ma resta sempre distaccato da ciò che via via viene rivelato, con una lucidità che talvolta sfiora il cinismo.
Non riveleremo ai lettori quali colpi di scena si susseguiranno durante gli otto giorni del dibattito. Si scopriranno man mano che vengono vagliate tutte le prove e le testimonianze.
Una costante tensione
Il romanzo, benché la violenza resti sempre sullo sfondo ed evocata da lontano, ha una sua costante tensione che non sta solo nella polarizzazione e depolarizzazione dell’attenzione verso questo o quell’elemento (un movente, un alibi, un’occasione, un mezzo) come nei mystery classici. Ma sta anche nella continua rivelazione di piccole e grandi miserie umane, specialmente quelle di persone insospettabili, in mezzo alle quali gli imputati non sono certo quelli che fanno la figura peggiore.
Si può al massimo preannunciare che la trama si chiuderà con un ultimo, inaspettato colpo di scena.
La Noyes Hart, vissuta dal 1890 al 1943, era una giornalista, proveniente da una famiglia di giornalisti, che il mestiere lo aveva letteralmente nel sangue. Conosceva perfettamente di prima mano tutti gli ambienti che descrive in questo romanzo, fatto che rende la lettura ancora più godibile.
L’ambientazione nei ruggenti anni Venti, in quella che va sotto il nome di “età del jazz”, piacerà sicuramente a chi ama la letteratura americana del primo Novecento. Anche se nella realtà provinciale ne arriva solo qualche eco. Si sono sprecati, infatti, i paragoni con Il grande Gatsby.
Il figlio della vedova
Widow’s Mite, Il figlio della vedova, invece, è un romanzo molto più discreto, un perfetto esempio di quel giallo psicologico di ambientazione domestica di cui la Holding era maestra. Siamo sempre nella provincia della East Coast, ma negli anni successivi alla guerra. Tilly MacDonald, giovane vedova in difficoltà economiche, è ospitata, insieme al figlio, il piccolo Robert, dalla ricca cugina Sybil. Il rapporto tra le due donne è pessimo e Tilly, se dipendesse da lei, se ne sarebbe già andata via da tempo. Tuttavia, non deve essere la sola a non sopportare Sybil, perché la cugina muore avvelenata dopo che qualcuno le ha sostituito una pillola di sonnifero con una di cianuro.
Chi ha ucciso Sybil?
In mezzo alle tante persone che ne frequentano a vario titolo la casa, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma la situazione di Tilly è particolarmente complicata perché è stata lei, sia pure in perfetta buona fede, a darle la pillola fatale. E, soprattutto, perché Tilly, consapevole di questo dettaglio e di come potrebbe essere interpretato, quando viene interrogata dagli inquirenti, mente a proposito di ciò che stava facendo quando la cugina è stata uccisa?
In pratica, seguiremo il resto del romanzo dal punto di vista di un personaggio sicuramente innocente, che però si comporta come se fosse colpevole, fino a essere seriamente sospettata di esserlo.
La Holding, vissuta dal 1889 al 1955, ha sempre scritto ottimi romanzi, molto apprezzati dai suoi contemporanei, a partire da Raymond Chandler. Qualcuno potrebbe trovarla un po’ datata ma, a certi livelli, è un pregio, perché permette al lettore di immergersi perfettamente nella realtà del tempo in cui si svolgono le storie.