“Ma ci sono ancora le ore no? Una e poi un’altra”
Lo scorso marzo, la casa editrice La nave di Teseo ha ripubblicato il romanzo Le ore di Michael Cunningham, uscito nel 1998. Premio Pulitzer per la narrativa, con la traduzione italiana di Ivan Cotroneo, il libro ha ispirato il film The Hours del 2002, per il quale Nicole Kidman ha vinto l’Oscar come miglior attrice, nel ruolo di Virginia Woolf.
Il film è diventato forse più famoso del libro, anche grazie ad un cast di eccezione per le tre protagoniste: oltre alla Kidman, Julianne Moore e Meryl Streep.
Un omaggio a Virginia Woolf
Le ore è la prova che esistono opere letterarie che vale la pena rammentare e rileggere per l’eleganza del registro linguistico, per l’estetica, per la profondità dei contenuti.
Del resto Cunningham non è certo un autore che deluda: ha pubblicato sette romanzi, tutti di grande successo, per Carne e sangue (2000) ha anche ricevuto il Whiting Writer’s Award, mentre con La regina delle nevi (2014) ha incantato migliaia di lettori.
Le ore nasce come un omaggio all’intramontabile Virginia Woolf, scrittrice da sempre interessata al ruolo sociale della donna e regina del tempo psicologico. Nei suoi romanzi ciò che conta è la vita che scorre nella mente dei protagonisti.
L’idea originaria dell’autore era quella di realizzare una versione rivoluzionaria de La signora Dalloway che la Woolf pubblicò nel 1925.
La Clarissa Dalloway nata dalla penna di Virginia, era la moglie di un parlamentare, intenta a dare feste lussuose per aristocratici e politici di alto rango. Questo mentre Londra tentava di rinascere dopo la devastazione del primo conflitto mondiale.
Cunningham avrebbe voluto trasporre la storia volgendo la protagonista al maschile. Voleva incentrarla su un circolo di omosessuali londinesi che, negli anni Ottanta e Novanta, si dedicava a brunch e feste in discoteca, mentre divampava l’epidemia di AIDS (epidemia che nella capitale inglese fu terribile e la cui più illustre vittima fu Freddie Mercury, l’indimenticabile leader dei Queen).
“Mentre invecchiamo continuiamo a desiderare e sperare, continuiamo ad andare alle feste, anche se fuori stanno ripulendo le macerie di una guerra, anche se uomini e ragazzi si spostano dalle piste da ballo alle corsie degli ospedali”
Nel tempo l’idea di Cunningham si è trasformata in un’opera molto diversa.
Il risultato finale è, sì, una storia basata su un parallelismo, ma non quello fra donne e uomini gay. Bensì quello fra tre donne che, pur vivendo in luoghi ed epoche differenti, sono legate da delicati dettagli apparentemente poco importanti.
Pur costituendo storia a sé, Le ore è un libro senz’altro più godibile per quei lettori che abbiano già una minima conoscenza dell’opera di Virginia Woolf. Soprattutto della sua scrittura introspettiva e sempre attenta a scavare e riportare a galla i pensieri, le idee, i dubbi, le sofferenze dei personaggi dei suoi romanzi.
Nel romanzo di Cunningham possiamo individuare tre parti che corrispondono alle storie di tre donne diverse. Sappiamo sempre in quale parte ci troviamo, dato che ogni capitolo porta il nome della donna cui si riferisce.
La signora Woolf
In questa storia la protagonista è, appunto, la celebre scrittrice e la narrazione comincia il giorno del suo suicidio, avvenuto nel 1941, per poi tornare al 1923 e andare avanti fino agli ultimi anni in cui combatte contro una feroce depressione e la schizofrenia.
Perciò i medici le consigliarono di trasferirsi nella noiosa cittadina di Richmond. La Woolf la detestava, ma la sua tranquillità era giudicata più confacente al suo stato mentale, rispetto alla caotica Londra.
La signora Dalloway
Ci ricorda, per caratteristiche, l’eroina dell’omonimo romanzo della Woolf e per questo Clarissa Vaughan, la protagonista, viene soprannominata Mrs. Dalloway. Solo che invece di vivere a Londra negli anni Venti, vive a New York al giorno d’oggi (ovvero alla fine del XX secolo, quando il romanzo è stato scritto).
In questa parte anche lo stile, basato sul monologo interiore, ripercorre le orme della scrittura dell’autrice inglese.
E forse Clarissa è, alla fine, il personaggio più positivo. Innamorata della vita, nonostante la tristezza che la invade pensando alla vicina morte del suo amato amico Richard, malato terminale di Aids, in onore del quale sta preparando una grande festa.
La signora Brown
In questi capitoli troviamo i passaggi più densi e significativi del libro. La signora Brown, che vive negli anni Quaranta ed abita a Los Angeles, è una grande lettrice dei romanzi della Woolf. Sta infatti leggendo La signora Dalloway.
La signora Brown non fa altro che porsi domande sulla sua banale esistenza e le piacerebbe sapere se gli altri si sentano come lei.
Nessuno però si aspetta che lei sia soddisfatta della propria esistenza, magari inseguendo sogni ed ambizioni. Ma semplicemente ci si aspetta che si limiti a vivere riflettendo la luce proiettata dall’esistenza e dai successi professionali del marito.
Il filo che lega le tre protagoniste
Il filo riguarda l’essenza dell’essere donna e il dovere di assolvere obblighi che raramente coincidono con i propri desideri e le aspirazioni. Questo indipendentemente dalle differenti epoche e condizioni sociali, economiche ed individuali.
Perciò a questo punto io mi chiedo: non è forse così ancora adesso?
Ora che siamo in pieno terzo millennio, noi donne, non siamo ancora soggette a stereotipi?
Veniamo ancora, mediamente, pagate meno di un uomo anche per pari mansioni professionali.
Ci viene ancora richiesto di non derogare alla “funzione sociale” di mettere al mondo figli. Siamo giudicate in molti casi “incomplete” se non diventiamo madri.
E potrei andare avanti con molti altri esempi.
“C’è solo questa consolazione: un’ora qui o lì, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti tranne i bambini (e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili”.
Un romanzo in cui tre donne abitano la letteratura e quest’ultima diventa la chiave con cui aprire la porta dell’esistenza che, per un attimo almeno, diviene dicibile e persino bella.
Ho sentito un’affinità immediata con lo stile narrativo di Michael Cunningham. Forse perché, leggendo fin da bambina, ho sempre trovato nei libri un angolo caldo in cui dimorare, riposare, riflettere acquietando le ansie, coltivando aspirazioni e desideri.
Un libro introspettivo che, attraverso le riflessioni delle protagoniste, consente di assumere una prospettiva critica differente su numerosi aspetti della vita. Ma ci concede anche, fra le righe, di assumere la nostra intima prospettiva. E forse questo ci rende persone più consapevoli e più forti.