L’autore francese, Prix Goncourt 2013, non è nuovo sulle pagine di Cronache Letterarie. Dall’intervista rilasciata a Antonio D’Orrico alla recensione del romanzo Lavoro a mano armata della Direttrice Tiziana Zita sino al book club su quest’ultimo romanzo con Enrico Pandiani, Pierre Lemaitre si conferma come l’erede del grande romanzo francese dell’800. Del resto, nella citata intervista a D’Orrico, lo stesso scrittore ammette di ispirarsi a Hugo e Dumas.
In tempi di comunicazione ristretta, di tweet e retweet, in cui si saluta come rivoluzionario un piccolo romanzo minimalista come Resoconto – qui le nostre considerazioni – fa quasi sorridere anche solo pensare che oggi un romanzo possa essere scritto ispirandosi a Hugo e Dumas. Autori di romanzi di grande respiro, di feuilleton indimenticabili, di affreschi storici ma anche critici, fustigatori dei vizi della società francese. Eppure Pierre Lemaitre riesce in quest’impresa con una trilogia a tutto tondo: Ci rivediamo lassù (Prix Goncourt 2013), I colori dell’incendio e Lo specchio delle nostre miserie.
Certo la scrittura di Lemaitre non è raffinata e propriamente letteraria. Al contrario, è ridotta all’osso, non disegna luoghi comuni, non indugia nell’indagine psicologica dei personaggi. La narrazione è ispirata a un plot cinematografico, quindi più azione che introspezione. Del resto, Lemaitre ha scritto per cinema e tv prima di percorrere la via del romanzo.
Anche la tecnica narrativa risente di tali trascorsi: la trama è un susseguirsi turbinoso di vicende storiche e personali, “che si aprono e si chiudono in un vortice di analessi e prolessi” come ha osservato Gianni Bonina. A volte l’azione viene interrotta e lo scrittore affida a uno dei personaggi la narrazione di come sia proseguita e finita. Altre volte, invece, l’autore anticipa gli eventi per poi riprenderli successivamente. Indubbiamente è una tecnica efficace che tiene il lettore incollato alla pagina.
A fare da trait d’union in una nazione che coinvolge e stravolge le vicende dei singoli protagonisti è la Storia, che intreccia vite in modo imprevedibile, rovescia i destini in un susseguirsi di eventi dall’esito spesso tragico. Al lettore l’opportunità di scoprire se e fino a che punto Lemaitre resti fedele alla storia vera.
Le rovine della Grande Guerra e lo scandalo delle esumazioni militari
Novembre 1918. La vicenda di Ci rivediamo lassù si apre sugli ultimi mesi di trincea lungo il fiume Mosa, est Francia, quando la luce di un possibile armistizio appare ancora remota. Albert Maillard e Édouard Péricourt sono due giovani fanti sotto il comando del tenente Henri d’Aulnay-Pradelle, uomo ambizioso che dalla situazione bellica vorrebbe trarre il massimo profitto.
Man mano che l’armistizio diventa una possibilità concreta, la calma stagnante della trincea si trasforma sempre più in una strana eccitazione. Gli alti gradi vogliono guadagnare quanto più terreno possibile sul nemico per potersi poi sedere al tavolo delle trattative in una posizione di forza. Così ordinano gli ultimi, disperati attacchi. Sarà proprio l’ultimo assalto che segnerà il futuro sia di Albert e Édouard che del tenente Pradelle. Il quale, a proprio profitto, commetterà un’azione ignobile sotto gli occhi di un Albert creduto morto.
Albert è un giovane impiegato di umili origini. La guerra gli ha portato via tutto al pari di migliaia di altri. Édouard, invece, proviene da una famiglia benestante, è sfacciato, detesta il padre, il banchiere Marcel Péricourt, e rifiuta la ricchezza familiare. Ha un gran talento artistico. Nel corso dell’ultimo assalto alle trincee tedesche Édouard salverà Albert ma resterà gravemente menomato.
I due sopravvivono miracolosamente al conflitto eppure, dopo il congedo, la società non li accoglie affatto come eroi. Al contrario, sono costretti a vivere al margine della comunità, reietti, in miseria. Édouard non vuol saperne di ritornare dal padre e dalla sorella Madeleine che finiranno per crederlo disperso. Sarà Albert a prendersene cura, a volte in modo rocambolesco: gli deve la vita, in fondo.
Lemaitre è davvero abile nel dar vita a un rapporto di amicizia profonda fra Albert e Édouard, non scevro da momenti di sconforto e di scontro. Dall’appartamento in cui vivono in affitto presso una vedova e la figlia di dieci anni, Louise (tenete a mente questo nome!), escogitano una geniale truffa per vendicarsi dell’ingratitudine dello Stato che celebra i morti ma si dimentica dei vivi.
Una truffa che coinvolgerà anche la famiglia di Édouard, portando allo scoperto uno dei nodi della narrazione: l’intreccio d’interessi tra finanza e politica. La ricostruzione post bellica è un’occasione d’oro per fare affari, non meno che la guerra stessa. Ne sa qualcosa l’ex tenente Pradelle che finirà per essere coinvolto in uno scandalo, questa volta accaduto realmente nel 1922: quello delle esumazioni dei militari morti in guerra. Gli costerà cinque anni di carcere, di cui due condonati, la confisca della casa e la fine del matrimonio con Madeleine Péricourt. Un matrimonio senza amore, di pura convenienza, da cui, tuttavia, nascerà un figlio, Paul. Questi sarà uno dei protagonisti principali de I colori dell’incendio, secondo romanzo della trilogia, mentre Ci rivediamo lassù si conclude con un epilogo degno di Hugo.
La vendetta di Madeleine e l’ipocrisia di un paese
La seconda opera della trilogia prende le mosse proprio dal funerale del banchiere Péricourt. La sua morte prelude al disfacimento dell’impero finanziario da lui creato grazie alle manovre fraudolente di Gustave Joubert, suo braccio destro. A sua volta questo sarà il paradigma del decadimento di una società sempre più condizionata dall’esiziale intreccio tra politica, finanza e i mass media del primo dopoguerra, ovvero quotidiani e radio. Intanto all’orizzonte già s’agita lo spettro della Germania nazista e del secondo conflitto mondiale che hanno I colori dell’incendio, appunto.
Questo secondo romanzo della trilogia di Pierre Lemaitre avrebbe potuto intitolarsi Madeleine contro tutti. E’ lei, infatti, il perno attorno al quale si dipanano le vicende del libro, in parte ispirate a fatti storici. La vita sembra accanirsi impietosa nei confronti della giovane donna. Al dolore per la morte del fratello Édouard prima e del padre dopo, va ad aggiungersi la tragedia che colpisce il figlio Paul proprio il giorno del funerale del nonno. Un incidente dietro al quale si nasconde l’animo oscuro del suo precettore. Come in un classico thriller non c’è personaggio che non abbia qualcosa da nascondere. E sempre a discapito di Madeleine.
Ambizioso e meschino, Joubert la raggirerà con la complicità dello zio Charles, fratello del padre. Un buono a nulla, capace solo di far debiti, diventato parlamentare solo grazie al denaro e alle amicizie del fratello che, tuttavia, alla morte gli ha lasciato solo briciole. Madeleine cadrà vittima di uno dei più clamorosi raggiri finanziari realmente avvenuti nel 1923 con la complicità della stampa francese.
Ma Madeleine è una Péricourt. Nonostante sia costretta a vendere il palazzo di famiglia – indovinate chi l’acquisterà – e a vivere ben al di sotto del tenore di vita cui era abituata, reagisce e avvia un progressivo riscatto. Poco importa se per far questo passerà sul cadavere di tutti coloro che l’hanno tradita. Non si salverà nessuno. Nemmeno lo zio Charles che verrà infine travolto da uno scandalo per frode fiscale, lui che della lotta all’evasione fiscale aveva fatto il suo cavallo di battaglia. Paradossi della politica corrotta. Anche questo scandalo è ispirato a un fatto storico: quello delle frodi fiscali del 1932 con al centro l’attività della Banque Commerciale de Bale che coinvolgerà giudici, politici, banchieri, monsignori.
I colori dell’incendio è il romanzo più brillante della trilogia. Oltre a essere ben congegnato come un thriller d’azione, propone alcuni personaggi fantastici che rimangono impressi, sebbene restino a latere della vicenda principale. Una su tutti è la cantante lirica Solange Gallinato. Una donna tutto pathos e grasso, che aiuterà il piccolo Paul, ridotto sulla sedia a rotelle, a ritrovare la voglia di vivere. Epica la scena in cui Solange si esibisce davanti a Hitler e al suo stato maggiore cantando brani vietati dal regime.
Lo specchio delle nostre miserie e la fine della trilogia
Consumata la vendetta e il riscatto economico-sociale di Madeleine Péricourt, perdiamo completamente le tracce dei personaggi dei primi due romanzi. Nel terzo c’è una sola attrice che tiene in mano le fila della trilogia: Louise. Nel 1940 Louise ha trent’anni, è una giovane maestra in una scuola elementare di Parigi. Abita nella casa che la madre, vedova di guerra, le ha lasciato in eredità. Quella stessa casa che, quando Louise aveva appena dieci anni, aveva nascosto Albert Maillard e Édouard Péricourt.
In questo modo viene chiuso il cerchio tra il primo e il terzo romanzo.
Un filo narrativo piuttosto debole, a dire il vero. Come meno brillante, per non dire un po’ tirata per i capelli, è la storia che si dipana da una Parigi sempre più spettrale man mano che avanza il conflitto. Così la vera protagonista finisce per essere ancora una volta la Francia, tra episodi realmente accaduti e fiction.
Un paese la cui immagine emblematica è l’esodo di un popolo in fuga lungo le strade periferiche: “Un immenso corteo funebre diventato l’agghiacciante specchio delle nostre miserie e delle nostre sconfitte”.
Così pensa Louise, lei stessa profuga, ridotta in miseria mentre marcia sullo stradone che esce da Orléans, in cerca di pane e, soprattutto, di un fratellastro di cui è venuta a conoscenza per puro caso.
Ancora una volta Lemaitre sottolinea l’ipocrisia dello Stato burocratico che cerca di nascondere la verità della sconfitta finché possibile. Lo fa ricorrendo alla manipolazione della storia attraverso una comunicazione radiofonica rassicurante e paternalistica. Le pubbliche relazioni di stato sono affidate a un personaggio di cui ben poco si sa, e che nel corso del romanzo, assumerà nomi e identità diverse. Da avvocato di fama a esperto delle questioni turche, da abile comunicatore a prete, sarà protagonista di avventure picaresche e paradossali. Ma tant’è, alla fine non si può che amare un personaggio simile, delinquente ed eroe al tempo stesso.
Forse è proprio questa dimensione profondamente umana che, in definitiva, agli occhi del lettore rende salvi i protagonisti della trilogia. In fondo, dietro la maschera “dell’uomo che ride” di Hugo tutti noi siamo un po’ Jean Valjean e Javert, un po’ Emma Bovary e Margherita Gautier, un po’ millantatori e un po’ eroi nella buona come nell’avversa sorte.