La mia lotta. Knausgård e il romanzo più lungo del mondo

Tra il 2008 e il 2011, quando ha tra i 40 e i 43 anni, lo scrittore norvegese Karl Ove Knausgård si getta a capofitto in quello che sarà considerato uno degli esperimenti più interessanti mai tentati in letteratura. Tre anni dedicati a trasformare la sua vita, dagli episodi più drammatici a quelli più passionali, nel romanzo più lungo del mondo. Oltre 4000 pagine pubblicate in sei volumi, dal titolo La mia lotta. Min Kamp in svedese. 

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Dal 2010, anno in cui il primo volume della saga è stato pubblicato in italiano, questo progetto è diventato un po’ un mio chiodo fisso. Nonostante non sia una appassionata di autofiction, forse perché condizionata dal fatto che quella nostrana mi appare spesso noiosissima e raramente ben fatta, c’è sempre stato qualcosa nell’idea di Knausgård che mi ha intrigato.

La mia lotta. Knausgård. Cronache Letterarie

Un’introduzione al progetto

La traduzione italiana della saga letteraria di Knausgård avviene con molta lentezza. Il primo volume tradotto esce nel 2010, sulla scia del successo ottenuto in Norvegia l’anno prima, dove aveva vinto il Brage Prize. L’ultimo esce, invece, solo nel marzo del 2020, dieci anni dopo.

Karl Ove Knausgård, all’epoca della pubblicazione de La mia lotta non era sconosciuto nel suo Paese. La sua prima opera Ute av Verden (Fuori dal mondo), che non è mai stata tradotta in italiano, aveva vinto nel 1998 il Premio Letterario della Critica Norvegese: primo caso di assegnazione di un premio di tale importanza ad un debuttante. Il suo secondo romanzo, En tid for alt (Un tempo per ogni cosa), anche questo mai tradotto in italiano e pubblicato nel 2004, vince svariati premi ricevendo anche una nomina per il Premio letterario del Consiglio nordico.

Quando pubblica il primo volume del  Min Kamp, Karl Ove era già uno scrittore nei confronti del quale i lettori nutrivano grandi aspettative. Aspettative che lui decide di spiazzare completamente, con un’opera che però lo consegnerà alla storia. Anzi, che lo ha già consegnato alla storia.

Perché si tratta della stesura del romanzo più lungo del mondo, ma soprattutto perché, per scriverlo, Knausgård ha sacrificato se stesso e i suoi affetti subordinando la loro vita privata all’arte.

La mia lotta è infatti una riflessione profonda dell’autore sul senso della vita. Vi troviamo il suo rapporto con il padre, il significato di essere figlio di un uomo che diventerà alcolizzato dopo aver lasciato la moglie per una nuova compagna; la sua vita affettiva dal primo bacio alla seconda moglie; l’amore per i suoi tre figli (che successivamente sarebbero diventati 4); una riflessione sul ruolo della letteratura e della scrittura.
Narra di una vita che decide di raccontare minuziosamente, senza risparmiarci nessun dettaglio, anche il più triviale.  Si va dalla confessione della prima volta in cui supera la vergogna di masturbarsi, alla scelta apparentemente meno significativa, di descrivere la sua spesa quotidiana.

Nessuna delle sue prese di posizione sarà priva di conseguenze, ovviamente. Perché mettere in gioco se stessi completamente e senza filtri comporta il fatto di esporre, allo stesso modo, amici e familiari. Eppure la critica osanna l’opera sin dalla prima apparizione. Un norvegese su 10, ad oggi, l’ha letta e quindi conosce lui e tutta la sua famiglia.

Linda Bostrom Knausgard, seconda moglie di Karl Ove, in un ritratto giovanile

Knausgård viene definito lo scrittore norvegese più famoso di tutti i tempi e sebbene abbia concluso la sua opera magna con queste parole: “[…] non sono più uno scrittore”, alludendo alla morte di un certo modo di considerare la letteratura e il suo rapporto con la scrittura, dopo un periodo di fermo è tornato a scrivere.
L’ultimo lavoro è un’opera in 4 volumi che portano il nome delle 4 stagioni, dedicate alla quarta figlia, Anne, in procinto di nascere. Si tratta di volumi scritti e pubblicati in Norvegia tra il 2015 e il 2016. Sono anni molto complessi per Karl Ove, anche dal punto di vista personale. Nell’ultimo di questi volumi annuncia, infatti, la separazione dalla moglie Linda Bostrom Knausgard, madre dei suoi quattro bambini.

La Bostrom, quasi rispondendo al marito in un dialogo generato proprio dall’autofiction, pubblicherà nel 2019 Oktoberbarn (tradotto in inglese October child). Un’autobiografia in cui espone la sua versione dei fatti seguiti alla pubblicazione de La mia lotta. Scriverà, per esempio, della separazione dal marito, che lui definisce consensuale, mentre lei attribuisce ad una decisione di lui. 

Delle quattro stagioni, in italiano sono usciti i primi due volumi In autunno e In Inverno. Quest’ultimo è apparso proprio a gennaio di quest’anno. Ma procediamo con ordine.

La morte del padre

La morte del padre. Knausgård

Ciò che dà avvio all’intera saga letteraria è la morte del padre dello scrittore, con il quale egli ha, da sempre, un rapporto molto conflittuale. Il suo spirito aleggia, infatti, lungo tutti i volumi.

Il padre è l’uomo con cui si confronta Karl Ove come persona, è il metro di paragone per comprendere la legittimità stessa del progetto. L’assenza forzata del suo nome nel romanzo – di cui parlerò più avanti – darà vita alle 500 pagine di saggistica che si innestano tra le 1200 pagine dell’ultimo volume.

Il padre è oggetto e soggetto dell’opera contemporaneamente. E questo quasi in ogni sua parte. Knausgård non lo nasconde, tanto che alla fine, esasperato forse da questo continuo rimbalzo, si dichiara egli stesso morto come scrittore. Esaurito, dopo aver esposto al mondo il lato di sé più perturbante. Quello che ogni volta lo riporta a quel corpo, ritrovato morto per gli effetti dell’alcol, in una situazione di totale degrado.

Tutto il primo volume viene pensato e scritto da Knausgård in completa solitudine. Lui ha una idea precisa di letteratura: in epoca di simulacri e false rappresentazioni, l’unica via di uscita è il racconto della realtà. Così sceglie di trasformare la sua vita, l’unica cosa su cui sente di avere il dominio, l’unica cosa verso la quale sente di poter essere totalmente sincero perché è la sua, l’ha decisa lui e lui l’ha vissuta in prima persona, in un romanzo.

La sua idea è chiarissima, ma anche molto ambiziosa. Dire la verità, nient’altro che la verità, in ogni singolo dettaglio e per ogni singolo ricordo. Narrare ogni cosa a partire dalla sua infanzia.

I conti con la realtà

Quando decide di lavorare alla sua opera magna, Karl Ove Knausgård è sposato in seconde nozze con Linda Bostrom ed ha tre bimbi piccoli. Non è facile portare avanti un progetto così imponente con loro in casa e praticamente nessun aiuto esterno. Eppure lo scrittore si sveglia ogni giorno alle 4, scrive mentre tutti dormono, si ritaglia uno spazio ogni volta che può, e non manca l’obiettivo: almeno 10 pagine al giorno, ogni giorno. Sua moglie, scrittrice anche lei, lo supporta nel progetto. E così, alla fine ci riesce.

Karl Ove Knausgård (a sinistra) con suo padre e suo fratello maggiore Yngve in una foto degli anni ’70. Fonte: @theguardian

Prima di dare il via alle stampe del primo volume, invia il manoscritto a tutte le persone citate nel testo, che, per onorare il vero, sono inserite nel testo con il loro vero nome e cognome. Siccome al centro c’è la morte del padre, sono soprattutto i familiari ad essere coinvolti: la madre, il fratello, lo zio (fratello del padre), la sua ex-moglie. Ed è a questo punto che iniziano i problemi.

Quando è solo alla sua scrivania a pensare a se stesso e alla sua vita, tutto gli appare come un flusso inevitabile. Ora però che a leggere della propria vita sono le persone coinvolte, tutto cambia. Le persone che hanno con lui una maggiore confidenza, accettano la sfida. La moglie, la ex-moglie, il fratello. Ma chi ha a che fare con la parte marcia della sua vita non ci sta. Suo zio minaccia pertanto di ricorrere ad avvocati. Pretende che il nome del fratello non sia mai presente (cosa che otterrà) e contesta gran parte dei fatti raccontati.

Knausgård entra, umanamente, in crisi

E’ chiaro che, nel ripercorrere una intera vita, non è possibile affidarsi fedelmente ai propri ricordi. Perché la memoria è costruttiva, mutevole, legata alle esperienze di ogni giorno e, quindi, per definizione inaffidabile. Knausgård scrive dei diari in alcuni momenti della sua vita. In quel caso ha degli appoggi, ma cosa dire dell’infanzia? O dei singoli dialoghi che ha con tutte le persone che incontra? E che pure descrive minuziosamente nel suo romanzo? Chiaramente deve ricostruirli. Devi inventarli cercando di essere il più possibile credibile. Ma se poi qualcuno solleva il dito e mette in dubbio il racconto, l’intero apparato va in crisi.

Knausgård, quindi, si blocca

Suo zio ha ragione? E’ lui in errore? Ha effettivamente descritto qualcosa che era solo nella sua mente? Se fosse così, tutto il suo progetto perderebbe di senso. Allora cerca testimoni. Persone che abbiano condiviso parte del suo percorso di vita e che possano aiutarlo a ricordare. Vuole sentirsi confortato nella sua idea. E in effetti, dopo questo lavoro di indagine, si sente più tranquillo. Gli eventi centrali del suo racconto, quelli che gli vengono contestati, non è lui a ricordarli male. Anzi. Li ricorda benissimo e molte persone possono confermarlo. Il suo progetto è salvo. Ciò non di meno le reazioni che inizia a registrare, prima ancora della pubblicazione del primo libro, lo faranno riflettere.

Scrive nell’ultimo volume della sua opera (K.O.Knausgård, Fine, 205-206):

“Ciò di cui parlo è il quotidiano. La sua metafora è la morte. Essa è presente nella vita di tutti, prima sotto forma di qualcosa che colpisce una persona che si conosce, poi, alla fine, se stessi. Ogni giorno muore un numero elevatissimo di persone. Noi non vediamo quella morte, viene nascosta. Non ne parliamo neppure volentieri. Perché? […]

Quello che ho cercato di fare è istituire nuovamente una presenza, sforzarmi affinché il testo penetrasse attraverso tutta la schiera di rappresentazioni, idee e immagini che giacciono come una sorta di cielo sopra la realtà, o come una pellicola sull’occhio, giungere alla realtà del corpo e alla caducità della carne, ma non in modo generale perché il generale è imparentato all’ideale, in realtà non esiste, lo fa solo il particolare e dal momento che il particolare in questo caso sono io stesso, è di questo che ho scritto. […]

Secondo alcuni non ne avevo il diritto perché non mi sono servito soltanto di me stesso. Ed è vero. La mia domanda è perché teniamo segreto ciò che teniamo segreto. Dove risiede il vergognoso nella caduta? La catastrofe dell’essere umano a tutto tondo? Vivere la catastrofe dell’essere umano completo è terribile, ma raccontarla? Perché la vergogna e l’occultamento quando nel loro aspetto più profondo sono forse la componente più umana di tutte? Cosa c’è di così pericoloso dal non poterlo dire ad alta voce?”

Knausgård non si vergogna dei suoi drammi personali

L’alcolismo del padre, la depressione cronica e severa della moglie, che dovrà essere ospedalizzata più volte durante la loro storia, nonostante i bimbi piccoli. Il suicidio di alcuni amici e conoscenti. Anzi, pensa che trasformare tutto questo in un romanzo aiuti a favorire una discussione collettiva su temi che non dovrebbero essere tabù. Per far capire quanto pesino i traumi infantili, quanto sia importante affrontare le cose ogni giorno con impegno e costanza per riuscire a crescere e diventare uomini in senso proprio. Tutto questo è vita, secondo lo scrittore. Vita condivisa da molte più persone di quante immaginiamo. Eppure non può non farsi condizionare dalla reazione che il mondo comincia ad avere al suo lavoro.

Quando La mia lotta 1 viene pubblicato in Svezia, Knausgård ha già pronto il secondo volume, incentrato sulla sua storia d’amore con la seconda moglie (Un uomo innamorato), e sta lavorando al terzo, che descrive la sua infanzia (L’isola dell’infanzia). Questo vuol dire che mentre i primi due volumi della saga rispecchiano perfettamente le sue intenzioni iniziali, perché sono scritti senza conoscere la reazione del pubblico, dal terzo volume in poi lo scrittore sarà molto più cauto. Comincerà a filtrare parzialmente ciò che descrive, per tutelare chi lo circonda.

Knausgård. Ballando al buio. Cronache Letterarie

Questo è vero in particolare per il quarto volume, tradotto in italiano con Ballando al buio, in cui Knausgård descrive la sua adolescenza. Diciottenne, appena uscito dal liceo, Karl Ove Knausgård va a vivere in un piccolo villaggio di pescatori nell’estremo nord della Norvegia, sul Circolo polare artico. Lì ha ottenuto un impegno come docente delle elementari e medie. Il suo obiettivo è lavorare un anno, mettere da parte i soldi per viaggiare e avviare, così, la sua carriera di scrittore.

Ma non tutto va come spera. Le storie che scrive tendono a ripetersi, e non lo soddisfanno, comincia a bere, e beve sempre di più. E’ ancora vergine e vorrebbe emanciparsi, ma ogni suo tentativo in quel senso termina in umiliazione. Inoltre confessa, in modo neanche troppo indiretto, l’attrazione proibita per una giovanissima allieva, all’epoca appena tredicenne.

In seguito al polverone sollevato dalla pubblicazione del primo volume, Karl Ove decide che i temi trattati sono troppo delicati per essere esposti in modo diretto. Così cambia molti nomi e omette dei dettagli, tradendo in parte l’idea alla base del suo progetto. Ma ci sono di mezzo dei minorenni e argomenti molto pruriginosi. Gli sembra naturale farlo. In fondo chi, se non lui stesso, è deputato a decidere come essere fedele al suo progetto? Un progetto che mai è stato tentato prima?

E, sulla scia di questi dubbi, proseguirà a comporre così fino all’ultimo volume. Sarebbero molte le vicende da raccontare, ma lascio alla curiosità del lettore approfondirle.

Senza mai travisare i fatti

Possiamo solo dire che Knausgård non traviserà i fatti. Nessuno. Mai. Ma valuterà sempre con maggiore attenzione gli spazi da assegnare loro.

C’è anche da dire che, nel frattempo, è diventato una celebrità.

Tutta la Norvegia e tutto il mondo parlano dei suoi scritti. I giornalisti gli fanno la posta sotto casa e lo seguono per scoprire se tutto ciò che ha scritto è vero. I suoi familiari e i suoi amici diventano bersaglio della stampa e la quotidianità di tutte le persone che lo conoscono diventa infernale. Tutto questo è impossibile che non condizioni il progetto nel suo svolgersi.

Ed infatti lui lo ammette candidamente. Scrive ancora nel suo ultimo volume (K.O.Knausgård, Fine, 1105)

“Se vogliamo descrivere la realtà per quella che è, è quella la realtà che dobbiamo descrivere. Lo si può fare unicamente superando i limiti imposti dal sociale. Se vogliamo penetrare la realtà per quella che è  – e non esistono altre realtà -, perché il singolo individuo è lì che vuole arrivare per davvero, non è possibile tener conto di nulla e di nessuno. E fa male.

Fa male non essere presi in considerazione e fa male non prendere in considerazione gli altri. Questo romanzo ha ferito tutte le persone intorno a me, ha fatto soffrire me, e tra qualche anno, quando saranno abbastanza grandi per leggerlo, farà soffrire i miei figli. Se lo avessi reso più crudo di quello che è, questo romanzo sarebbe stato più vero. Era un esperimento ed è fallito, perché neppure una volta mi sono avvicinato a ciò che sento e penso veramente, né tantomeno sono riuscito a descrivere quello che ho visto”. 

Knausgård

La vita dopo La mia lotta.

Nel 2016, a pochi mesi dalla nascita della loro quarta figlia, Linda Bostrom e Karl Ove Knausgård decidono di divorziare. La notizia non dovrebbe sorprendere il lettore, perché in più volumi compare il loro rapporto conflittuale, aggravato di sicuro dalla malattia di Linda, ma il motivo per cui ne parliamo è il fatto che, alla base della rottura, ci sia proprio il romanzo.
La Bostrom, che negli anni della stesura dell’opera aveva dichiarato pubblicamente più volte di supportare il progetto del marito in tutte le sue forme, ammetterà successivamente che la sua pubblicazione ha avuto un’eco devastante sulla sua vita privata e professionale.

Linda Bostrom è una scrittrice. I due si erano conosciuti proprio ad un workshop di scrittura creativa, quando lui era ancora legato alla prima moglie e lei era impegnata con un altro scrittore. Quando si rincontrano a Stoccolma anni dopo, liberi entrambi, iniziano una relazione molto intensa e passionale. Ma il successo e la visibilità di Knausgård, ad un certo punto, mangiano tutto. Per l’opinione pubblica Linda non è che sua moglie e la madre dei suoi figli. Quel cognome col tempo diventa troppo ingombrante. Linda ha delle continue e ravvicinate crisi psicologiche e, alla fine, sceglie di andare per la sua strada.

Linda Bostrom Knausgård in un’immagine del 2016

Così oggi Karl Ove Knausgård è uno scrittore affermato, conosciuto in tutto il mondo, ma con una vita privata completamente sfaldata. Ha sempre dichiarato di non essersi mai pentito della sua scelta, nonostante tutto. Perché essa rispecchia il suo modo di vivere e vedere la letteratura, ma noi che guardiamo la vicenda dall’esterno non possiamo non chiedercelo. Almeno io me lo sono chiesta.

Quanto vale e quanto può l’arte? Quanto sacrificio merita?

Perché io ho goduto moltissimo nel leggere ogni riga di ogni volume. Ogni personaggio mi ha spalancato un mondo e poter confrontare il racconto con la vita vera mi ha fatto ragionare moltissimo sul senso della parola ‘verità’.

Ma contano più le coscienze dei posteri della propria?
Quindi, alla fine di tutto, ne valeva davvero la pena?

***

Tutti i romanzi che compongono La mia lotta sono stati pubblicati in Italia da Feltrinelli. Nell’ordine:
La morte del padre,
Un uomo innamorato,
L’isola dell’infanzia,
Ballando al buio,
La pioggia deve cadere,
Fine.

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Gianna Angelini

Gianna Angelini

Direttrice scientifica e responsabile internazionalizzazione di AANT (Roma), docente di semiotica e teorie dei media, giornalista. Insegno per passione, scrivo per dedizione, progetto per desiderio.

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