Modello di leggerezza e di eleganza, passeggia flessuoso sul pavimento della vita. Non c’è creatura che io adori più del gatto. Questo animale esercita su di me un “potere” quasi illimitato. Il gatto ha la mia stima incondizionata per quel suo modo di attraversare l’esistenza senza alcuna ansia. Un uomo, per quanto si sforzi, non riuscirà mai ad esser fedele a se stesso quanto un gatto che diventa perciò un modello. Ci sono gatti da imitare nel romanzo di Corrado Debiasi Il monaco che amava i gatti.
“Vieni sul mio cuore innamorato, mio bel gatto;
trattieni gli artigli e lasciami sprofondare nei tuoi occhi belli, misti d’agata e metallo”.
Così comincia una delle poesie che Charles Baudelaire dedica ai gatti ne I fiori del male.
Felini di inaudita bellezza che scrutano le persone, o il mondo, o il nulla con identica curiosa pacatezza e saggezza. Le loro pupille che ci fissano, possono “tagliarci” come metallo, riuscendo a farci sentire scrutati e nudi.
Nel libro che ho scelto questo mese, l’autore Corrado Debiasi, trentino, cultore dell’Oriente e della filosofia dello yoga, ci racconta, con un registro linguistico immediato e pulito e con uno stile a metà fra il saggio e il romanzo, il suo viaggio ispirazionale in India.
Un’avventura che ha per protagonisti, oltre all’autore stesso, il maestro Tatanji, la sua assistente Shanti e i gatti. Debiasi narra con semplicità e accento poetico i temi più profondi dell’interiorità umana, mirando dritto al cuore.
“La verità siede sempre ai piedi della semplicità, nascosta dalla polvere dell’ignoranza”.
Corrado Debiasi aveva progettato da molto tempo il suo viaggio a Varanasi, in India, allo scopo di apprendere al meglio lo yoga classico, direttamente da un maestro locale. Le indicazioni su dove andare gliele aveva fornite un amico, insieme all’indirizzo di un ashram, un posto speciale dove forse avrebbe potuto trovare ciò che cercava.
L’arrivo in India
A Varanasi incontrò quasi subito Shanti, una donna dagli occhi azzurri che stava accarezzando un gattino a chiazze colorate. Dopo le prime chiacchiere, lei gli parlò del monaco del quale era assistente, quello che poi è diventato il protagonista di questo suo primo romanzo, Il monaco che amava i gatti.
Il monaco si chiama Tatanji, si era trasferito in quel villaggio anni prima e la sua casa in ristrutturazione ospitava molti gatti. Questi ci sono rimasti e, col tempo, ne sono arrivati di nuovi perché Tatanji ama vivere con i gatti e imparare da loro. Lì Debiasi viene “battezzato” da Shanti col nome Kripala, che in sanscrito significa “grazia, benedizione”.
“Libero arbitrio e destino viaggiano sullo stesso binario. Tu sei l’artefice di ciò che sei e di ciò che sarai, ma subisci gli effetti delle tue azioni passate e presenti. Si chiama Karma”.
Leggendo queste pagine si scivola morbidamente nei profumi intensi dell’India e nella meditazione. Sono pagine che ci lasciano il sapore di una storia lontana eppure attuale, che si ripete nei secoli, come la reincarnazione in cui induisti e buddisti credono fermamente.
Gatti da imitare
Perché il monaco Tatanji ha tanta devozione per il gatto? Perché il gatto custodisce il segreto dell’esistenza.
“I gatti vivono l’istante, non hanno preoccupazioni. Vivono il qui e ora perfetto. Se non va bene il luogo dove stanno si spostano. Se hanno fame, cercano cibo. Se trovano un buon posto per dormire si fermano. Ogni attività è basata sul momento (…)
Tutto accade qui e adesso. Ora è il miglior giorno della tua vita. Ora è il miglior momento per iniziare qualcosa. Ora è l’istante perfetto”.
Noi occidentali siamo così proiettati sulle ansie del futuro, che troppo spesso non assaporiamo il presente. Smettiamo di godere un tè caldo, di ascoltarci respirare, di indugiare su uno sguardo e così la vita scorre senza che ne prendiamo piena consapevolezza. Invece dobbiamo imparare ad ancorarci al momento, ad essere nel presente come fa il gatto perché la libertà è ora.
A dare valore alla vita non è un progetto che si concretizzerà (forse) in futuro, ma la gratitudine che siamo in grado di provare per l’esperienza di ogni singolo giorno. Tutto è un dono. Perfino il dolore perché ci permette di ripiegarci su noi stessi e riposizionarci.
D’altronde, per tornare all’Occidente, il filosofo inglese John Gray, autore del saggio Filosofia felina. I gatti e il significato dell’esistenza, è arrivato alle stesse conclusioni. Se noi siamo alla ricerca di un’astratta vita perfetta, i gatti trovano la pace nell’esperienza di ogni giorno. Studiando il suo gatto con cui ha vissuto per vent’anni, Gray scrive che dai gatti possiamo imparare a non vivere in un futuro solo immaginato.
Tutto nell’universo è sfida e il miglior maestro è il silenzio
Nel silenzio interiore sono sepolte le risposte che cerchiamo, spesso per una vita intera.
L’esistenza è trasformazione, evoluzione permanente, ma noi umani abbiamo paura del cambiamento e gli opponiamo resistenza. Questo genera sofferenza.
Il Monaco Tatanji ci raccomanda di non resistere al cambiamento, ma di “fluire” e perfino lasciare che la vita ci frantumi perché, talvolta, perdere le nostre certezze è la cosa migliore.
“Osserva come i gatti attraversano l’esistenza in silenzio, camminando sulle nuvole senza far rumore. La tranquillità è nel loro essere”.
Sapete come è finita tra Kripala e Shanti?
Si sono innamorati.
“Ogni cosa avviene sempre nel tempo e nel luogo giusto. Ogni cosa avviene quando sei pronto a riceverla. Sta a te trasformarla in un’opportunità per la tua crescita o in un ostacolo per la tua evoluzione”.