
Non mi muovo, ma tengo d’occhio la periferia, il nemico lo sa e vigliacco com’è non oserà tentare colpi audaci. Quando si scopre che quello che si credeva un valido avversario in realtà è un vile codardo, il senso di nobiltà della battaglia viene meno per lasciare solo pensieri d’odio. Lo spirito battagliero svanisce. Mi addormento. Il riposo è una cosa necessaria persino in mezzo ai nemici.
Quest’epica battaglia si svolge in cucina e le riflessioni filosofiche sull’arte della guerra appartengono a un gatto.
Stiamo parlando del libro Io sono un gatto di Natsume Soseki.
La battaglia preparata minuziosamente dal nostro gatto stratega si risolverà in un disastro, con la vittoria schiacciante di tre topolini.
Abbiamo messo in evidenza l’unico atto di eroismo del nostro gatto che per il resto del libro si limiterà a commentare con disprezzo i discorsi da intellettuale fallito del suo padrone.
Un gatto senza nome
Il gatto, che non ha nome ed è semplicemente “gatto”, in realtà prova un certo affetto, misto a pietà, per il proprietario di casa, ma di fronte ai discorsi futili e vanesi della sua cerchia di amici non riesce a trattenere il disappunto.
Siamo nel 1900 in Giappone, in un quartiere residenziale di Tokyo. Gatto vive nella casa del “padrone”, professore di inglese al liceo, infatuato della cultura occidentale da poco penetrata nel Paese.
In realtà il professore si dà un sacco di arie sebbene la sua casa sia in decadenza, così come le sue velleità di una brillante carriera all’interno del mondo universitario. Il quartiere “bene” dove vive, negli ultimi anni è stato invaso da famiglie che si dedicano alle professioni moderne, in particolare al commercio che si sta sviluppando vorticosamente.
Il nostro gatto se ne va in giro per le villette del comprensorio ad osservare i comportamenti di questi parvenu. Così come non è tenero con gli intellettuali da salotto amici del suo padrone, lo è ancora meno con questi commercianti di cui sottolinea i modi particolarmente volgari. Tuttavia sotto sotto parteggia per questi ultimi a cui riconosce almeno una certa vitalità.

Alcune azioni di disturbo
La vita del micio non si ferma alla totale contemplazione ma ogni tanto intraprende alcune azioni di disturbo: occupa le sedie riservate agli ospiti che lui ritiene più irritanti riempiendole di peli. Oppure si avvicina spericolato agli umani gattofobici terrorizzandoli e contende sistematicamente i posti più strategici della casa al suo padrone.

Del resto il nostro gatto non è particolarmente coccolato in famiglia. È arrivato lì per caso, tant’è che non ha neanche un nome, e ci è rimasto con il compito di catturare i topi. Attività che ritiene troppo faticosa e degradante. Insomma non fa niente dalla mattina alla sera, se non criticare il suo padrone.
Siamo all’inizio del Novecento. L’apertura al commercio internazionale risale a cinquant’anni prima, quando l’ammiraglio Perry con le sue navi nere (così le chiamavano i giapponesi che poco conoscevano la marineria a vapore, per via della caligine che usciva dai fumaioli) entra nella rada di Uraga (vedi la Butterfly).
Dopo una iniziale diffidenza, una parte della popolazione comincia ad apprezzare i costumi occidentali e fa della occidentalizzazione una sorta di stile di vita da contrapporre ai vecchi tradizionalisti.
Sarcastico, cinico, stoico, presuntuoso, arido ma…
È in questo quadro che il nostro gatto si muove e con il suo sarcasmo ci descrive il passaggio dal Giappone tradizionale a quello moderno (leggi anche qui sui gatti giapponesi e su quelli indiani). Di lì a pochi anni il Paese verrà completamente trasformato da una travolgente industrializzazione e metterà su un apparato militare moderno ed efficace.
Sarcastico, cinico, stoico, presuntuoso, arido (il suo amore per Micetta verrà presto dimenticato), il nostro gatto è in realtà molto simpatico. Infatti pur essendo così tagliente con gli altri e così indulgente con se stesso non dà mai giudizi morali.
Insomma è come il nostro gatto di casa quando ci guarda dicendoci “sei un disastro ma ti voglio bene lo stesso”.
Soseki Natsume
Io sono un gatto del 1905 è la prima opera importante di Soseki Natsume. La scrittura in prima persona di un ex gatto randagio ne decreta rapidamente il successo. Uscito come racconto sulla rivista letteraria Hotogui stupisce moltissimo tanto da indurre l’autore ad ampliare il racconto, fino a farne un libro di quasi 500 pagine.

Soseki Natsume, nato nel 1867 e morto nel 1916, ha studiato inglese alla Tokyo Imperial University e nel 1900 ha approfittato di una borsa di studio per andare all’ University College of London. I due anni passati in Inghilterra però saranno un disastro, la sua borsa di studio è troppo bassa per poter vivere insieme agli altri studenti stranieri. Alloggia in misere pensioncine, si isola fino ad avere un esaurimento nervoso.
Torna il Giappone provato, ma con le idee chiare sullo stile di vita e la cultura occidentale e poiché in Giappone poco si sa dell’Europa, ottiene facilmente una cattedra all’università di Tokyo. Nonostante l’incarico di prestigio si sente un fallito. Così decide di descrivere la sua vita insulsa attraverso gli occhi del gatto. Sarà il gatto a liberarlo.
Dopo il successo del libro abbandona l’università e si dedica solo alla scrittura. Tra il 1905 e il 1916, scrive 14 romanzi per lo più incentrati sul rapporto tra l’individualismo occidentale e il pensare collettivo giapponese. Nel 1906 esce Il signorino, altro romanzo di grande successo considerato Il giovane Holden giapponese.
Chiudiamo con una frase tratta da Guanciale d’erba, sempre del 1906, che spiega il compito dell’artista secondo Soseki: “Rasserenare il mondo e arricchire il cuore degli uomini”.