Margherita d’Austria, la signora delle Fiandre
Figlia illegittima dell’imperatore Carlo V e della bellissima Johanna Van Der Gheynst, con la quale l’imperatore ventenne ebbe una relazione, Margherita nasce nel 1522 e viene affidata dal padre ad una sua zia e in seguito a sua sorella minore. Entrambe erano donne colte, intelligenti e raffinate. A sette anni è promessa ad Alessandro de’ Medici. Dopo meno di un anno che è sposata con lui, Alessandro muore assassinato. Allora Carlo V offre la mano della sedicenne Margherita a Ottavio Farnese, nipote del Papa Paolo III. Vuole così consolidare la sua egemonia sull’Italia. Margherita non è d’accordo, vorrebbe restare a Firenze e sposare il duca Cosimo I. Supplica il padre, ma alla fine è costretta ad accettare la sua volontà e si trasferisce a Roma.
Anche se Carlo V l’ha usata per i suoi interessi dinastici, ha sempre amato e stimato la sua figlia naturale. In seguito Filippo II di Spagna, suo fratellastro, le affiderà il difficile governo dei Paesi Bassi. Nell’ultima parte della sua vita Margherita si ritira nei suoi feudi in Abruzzo, dove morirà in totale solitudine.
“La fine delle cose non arriva forse quando inizi a raccontarle?”
Mettere su carta le parole
Questa frase della protagonista, Margherita d’Austria, sintetizza l’essenza del bel libro di Giulia Alberico, La signora delle Fiandre. Scrittrice di rango (ha pubblicato con Sellerio, Mondadori, Sem e ora con Piemme), Giulia Alberico preferisce però definirsi “insegnante”, una professione a cui ha dedicato quarant’anni di vita e passione.
Dal suo amore per la storia ha origine il fascino che ha esercitato su di lei la figura di ‘Madama’ Margherita, figlia illegittima di Carlo V, duchessa di Parma e Piacenza e governatrice dei Paesi Bassi Spagnoli. Ma Margherita d’Austria è soprattutto una donna che precorre il suo tempo. Una donna che, pur rispettando regole e convenzioni che si ergono intorno a lei come una gabbia e accettando la volontà del padre e il ruolo che le viene imposto, riesce a mantenere uno spirito libero e un’autonomia interiore.
Autonomia che si esprime attraverso la parola scritta:
“Mettere su carta le parole mi è parso un modo di marcare il tempo, di dire a me stessa delle piccole verità, di sentirmi libera”.
In Abruzzo l’assoluta solitudine
Giulia Alberico nei suoi romanzi privilegia l’interiorità e i risvolti psicologici, facendo della dimensione intimistica il filo conduttore delle sue storie, per cui si cala completamente nel personaggio, partendo da una solida base documentaristica. Così in questo romanzo storico si è immersa nella vita e nella personalità di Margherita, esplorandola in modo attento e curioso. Il suo non è un ritratto statico: percepiamo la presenza di una donna in carne, sangue, pensieri, emozioni, che ci conquista a poco a poco e ci porta a ripercorrere le tappe della sua vita.
Quella che sentiamo è la voce di Margherita che, consapevole di essere prossima alla morte, si prepara alla dipartita nell’amata terra d’Abruzzo, non a caso anche la terra della scrittrice. Lì si è fatta costruire un palazzo vicino a quel mare che l’ha sempre attratta con la sua vastità e la sua forza.
Nelle notti insonni che precedono la fine, ripercorre un’esistenza “non tutta di miele e d’oro” e riflette sul rapporto col padre, con gli uomini, con i figli, sul copione scritto per lei da altri, sulle emozioni che le sono state negate, sul ruolo delle donne, ma soprattutto sulla solitudine: “La solitudine dei re”.
La riflessione sul destino delle donne
“Più̀ esposte degli uomini al ricatto, all’ingiuria sessuale. Sui loro corpi si sono sempre decisi, in fondo, voleri altrui: matrimoni, monacazioni, gravidanze. Io sono una donna, e una donna di rango. Ma molto spesso sono stata solo una pedina nelle mani altrui”.
Malgrado conosca bene i limiti che la società impone agli individui di sesso femminile, la signora delle Fiandre ha la percezione, sottesa al suo anticonformismo e alla sua indipendenza di spirito, che almeno in parte, grazie alla cultura, ci si possa affrancare: “Sarà una donna più forte se potrà contare sui libri e sul libero pensiero”.
E poi arriva l’età a liberarla dal giogo che le era stato imposto. “Ora che sono vecchia non devo più obbedire.” Quindi può finalmente dedicarsi a quello che più le piace, può finalmente essere se stessa e permettersi anche di sperimentare la dolcezza di un sentimento che non ha mai provato prima. Quell’amore immaginato, sfiorato, desiderato ma mai vissuto in pienezza, è stato sacrificato sull’altare del controllo delle emozioni e dei sentimenti, proprio come l’amore materno.
“Il mio è stato sempre un mondo di maschi”
Voluta dal padre anche se illegittima, bambina felice, precoce, curiosa, studiosa. Pagina dopo pagina si precisa il ritratto di questa regina che sarà letterata ma anche abile nella caccia e nel governare col talento della mediazione.
La figura di Carlo V giganteggia nella sua vita
È una figlia che resterà in adorazione del padre: “Con lui credo d’aver declinato tutti i sentimenti dell’animo umano e le parole possibili a dirli.”
Ciò che prova per il padre non cambierà, malgrado le scelte che la obbliga a fare e il desiderio di ribellarsi: “Sempre amore, obbedienza, gratitudine. Né li ho mai rinnegati. Ma, nel tempo, ci furono anche parole di dolore, di ira, di velate accuse per il suo essere, sempre, padrone assoluto della mia vita.”
Poi ci sono gli altri: il figlio Alessandro, con cui avrà sempre un rapporto “irto di cose non dette”. Ignazio di Loyola, il suo confessore ma soprattutto la sua guida spirituale. Il fratellastro Juan, che è legato a lei da un sentimento elettivo. Il marito Ottavio, sposato per obbligo ma con cui negli anni costruirà un rapporto di amicizia. Il conte di Egmont, “un breve risveglio, una voce di sirena che ho messo nel novero delle cose perdute”.
Infine il Maestro De Marchi, accanto a lei per più di quarant’anni ma solo alla fine “un dono inaspettato”. Al tramonto della vita le regalerà la dolcezza e il calore che le sono sempre mancati.
La signora delle Fiandre
Anche ne La signora delle Fiandre le parole di Giulia Alberico non sono mai banali e si imprimono nella mente, regalandoci immagini tridimensionali, vivide ed efficaci.
Alla sua storia personale si sovrappone – per il ruolo che le è stato assegnato – la Storia. E nel narrarla si rende conto che, ora che è fatta solo di piccole incombenze quotidiane senza alcuna dimensione pubblica, la vita le appartiene:
“Spesso in queste notti, se ripenso all’intera mia vita ho la netta consapevolezza che sia stata tutta decisa da altri.” … “Solamente in questi giorni ultimi sto parlando di me, della mia vita, con libertà.”
Una lucida consapevolezza, a tratti venata di amarezza e malinconia, a tratti rabbiosa ma sempre presente, fino all’ultimo, le fa dichiarare: “Questa vita mezza piena e mezza vuota, così fragile, così faticosa e splendida, vorrei trattenerla ancora a lungo.”