Margherita e punto

Capitolo 1.
C’era una volta

C’era una volta, in un paesino lontano, adagiato su due indolenti colline, una bambina dalla pelle bianca come il latte e… no, non aveva i capelli neri come l’ebano, quindi non era Biancaneve. Questa bambina aveva i capelli di un indistinto color castano topo e viveva in un modesto appartamento alle porte del paese, con i suoi genitori e i suoi fratelli.

Fin dai primissimi anni di vita, aveva capito che qualcosa non andava per il verso giusto. I suoi fratelli avevano una connotazione ben precisa, mentre lei era… indefinibile. I suoi genitori, quando presentavano la loro famiglia, solevano dire: «Questo è Michelangelo, l’artista di casa, vedrete che diventerà un grande violoncellista! E questo è Nicholas, lo sportivo di casa, prima o poi lo vedrete giocare nella nazionale italiana di calcio! E poi c’è lei, Margherita». Margherita e punto. Niente descrizioni, niente prospettive rosee per il futuro. La sua unica connotazione era quel nome e il suo significato: purezza, sincerità, irreprensibilità. E la sua unica prospettiva, il dilemma più annoso della storia, affidato ai petali di quel fiore delicato di cui portava il nome: “M’ama o non m’ama?”. I suoi fratelli volevano un maschio con cui giocare e i suoi genitori un’altra figlia con un talento spiccato. E lei cosa voleva? Voleva essere abbastanza: abbastanza maschio da poter giocare con i suoi fratelli, abbastanza talentuosa da rendere fieri i suoi genitori.

Per raggiungere il suo obiettivo, era disposta a tutto. Per esempio, accettava di replicare con uno dei suoi fratelli gli incontri di boxe dell’Uomo Tigre sapendo, nell’istante esatto in cui lui simulava il rumore sordo delle corde per stabilire l’inizio del match, che l’avrebbe atterrata in dieci secondi netti con un colpo preciso sotto il collo, che le sarebbe saltato addosso e avrebbe contato fino a tre battendo la mano sul pavimento per sancire la fine dell’incontro e la sua inconfutabile vittoria. Margherita sapeva come sarebbe andata a finire, eppure ogni volta che Nicholas le proponeva di giocare, lei non riusciva a rifiutare, nonostante sapesse già che non avrebbe mai vinto… sperava solo di farlo felice.

Ecco, lei voleva fare felice gli altri. Avrebbe potuto essere quello il suo talento…

E con i suoi genitori?

Anche per loro era disposta a tutto, anche se sembrava che quel “tutto” non fosse mai sufficiente. Aveva imparato a leggere e scrivere correttamente a quattro anni, a far le rime a sei, aveva appreso l’arte del ricamo e quella dell’uncinetto, i rudimenti della pasta fatta in casa e le raffinatezze dell’impastare i dolci, eppure in nulla di tutto questo era riuscita a trovare la sua strada, o quella che i suoi genitori avevano immaginato per lei. Negli anni aveva detto di voler fare e diventare di tutto: interprete, scrittrice, ristoratrice, persino inviata di guerra – e non un’inviata qualunque, ambiva a essere una Tony Capuozzo senza barba.

E invece, cos’era diventata?

Un’impiegata mediocre, incastrata in un lavoro che non la arricchiva. E non parlava di soldi, non le interessavano gli agi e i comfort: ciò che le importava era avere denaro a sufficienza per viaggiare e comprare libri, magari qualche vestito. Di quello non poteva lamentarsi, riusciva a mantenere un tono di vita quasi agiato, senza privarsi di nessuno sfizio. Era dal punto di vista personale che non sentiva di progredire in alcun modo: la routine da ufficio la abbrutiva, ogni giorno tornava a casa disfatta e non riusciva più a riposare come avrebbe voluto, a staccare la mente per potersi dedicare a un progetto suo, completamente suo. I suoi genitori la guardavano a vista, pronti ad affondare il coltello ogniqualvolta Margherita mostrasse il fianco, a ricordarle quanto fosse inadeguata.

A cosa poi?

Forse a vivere, nel vero senso della parola. Allora, se la vita ci viene preclusa, si può sempre esistere.

L’esistenza di Margherita, da quando ne aveva memoria, era fatta di questo: ansia, senso di colpa, senso d’inadeguatezza. Ripensando alla sua infanzia, le prime immagini che la sua memoria richiamava erano due: una mano coperta da un fazzoletto di stoffa e una mano protesa. La mano coperta era quella di sua madre che, nel tentativo di proteggere la pelle delicata di Margherita, sensibile al sudore altrui, inconsapevolmente la privava di quel contatto necessario tra madre e figlia, facendola sentire così fragile da non poter essere toccata. C’erano voluti anni di terapia per capire quanto tutto ciò non fosse giusto nei suoi confronti, quanto non fosse determinato dalla sua inadeguatezza, bensì da un’apprensione e una cautela eccessiva nei suoi confronti. La mano protesa era la sua, ma Margherita non sapeva dire se si trattasse solo di un sogno ricorrente oppure di un fatto realmente accaduto. Ricorda solo una via del suo paesino, lei stesa per terra dopo essere inciampata, i suoi genitori qualche metro più avanti che si voltano indietro, la vedono lì, ma riprendono a camminare senza soccorrerla. In questo caso non c’era nemmeno bisogno di uno specialista della psiche umana per comprendere quanto questo le avesse inculcato una profonda paura dell’abbandono. Se è vero che ognuno di noi replica i modelli di amore che aveva visto attorno a sé, cosa poteva aver dedotto Margherita? Semplice, o meglio, un “semplicemente contorto”: era tutta una questione di merito. Per essere “meritevoli di ricevere amore” bisognava rincorrerlo, perché l’amore è sfuggente e va inseguito. Lei da tutta la vita non cercava qualcuno con cui correre, ma qualcuno da rincorrere.

***

Non voleva si sapesse in giro, ma Margherita aveva un problema con le distanze, tanto dagli oggetti, quanto dal cuore. Per questo non versava mai da bere a nessuno, nemmeno quando in casa aveva degli ospiti, preferendo piuttosto che ci fosse qualcuno che lo facesse per lei. Quando era costretta a farlo, non allungava il braccio con la bottiglia, avvicinava il bicchiere con quello libero, per colmare il divario tra la realtà e alla sua percezione e solo allora, quando si sentiva sicura, versava da bere. Allo stesso modo funzionava con il cuore: non riusciva a calcolare bene le distanze dalle persone. Come con il bicchiere e la bottiglia, non si preoccupava di colmare se stessa di amore, ma voleva prima versarlo a chi era seduto al suo stesso tavolo della vita. Purtroppo, però, le persone non sono inermi come bicchieri, non possono essere portati più vicino con un semplice gesto. Era per questo che lei allungava il braccio, si protendeva verso gli altri, ma, maldestra com’era, finiva per inondare di amore chi non gliene aveva mai chiesto, versando qualche goccia nel bicchiere e il resto tutt’intorno: sulla tovaglia, sui pantaloni e sulla camicia di chi aveva di fronte che, sconcertato, si alzava e andava via, per non tornare mai più a sedersi con quella ragazza che non sapeva nemmeno come dosarlo. Nella sua vita aveva collezionato diverse (dis)avventure amorose, dall’adolescenza in poi, dal primo fidanzatino a distanza fino al vicino di scrivania. A volte pensava che il suo nome fosse una sorta di presagio, o peggio ancora, una condanna. Sentiva che, giorno dopo giorno, i petali della sua esistenza stavano appassendo e che l’ultimo rimasto le avrebbe riservato l’ennesima sconfitta, un definitivo “Non m’ama”.

Se avesse un pizzico di sfrontatezza, se fosse lei a raccontare, forse Margherita vi parlerebbe di tre storie, molto diverse tra loro, eppure accomunate da un unico unhappy ending: il fantomatico principe azzurro delle favole finalmente è riuscito ad attraversare la selva incantata fatta di rovi costruita attorno alla principessa, si è arrampicato fino in cima alla torre ed è arrivato a lei, sofferente per le ferite. La principessa lo accudisce, cerca di alleviare le sue pene e rifocillarlo. Lui si rimette in sesto, ma, d’improvviso, dall’alto della torre, vede in lontananza una un po’ più bassa, con meno rovi, e capisce che era quella la torre da espugnare. Nel cuore della notte, in silenzio, sparisce, raggiunge l’altra torre e salva la principessa giusta. E vissero felici e contenti… Loro però, con buona pace della principessa della prima sera che, al suo risveglio, trova solo un giaciglio disfatto e l’odore dell’assenza sul cuscino.

***

Tralasciando le divagazioni, il primo di cui Margherita vi parlerebbe forse sarebbe Mister K., quello che aveva fatto vacillare le sue certezze sull’amicizia tra uomo e donna, l’aveva portata a pensare che forse quella che lei scambiava per amicizia poteva essere qualcosa di diverso. Ma per lei, in quel momento della sua vita, non poteva esserci nulla di diverso dall’amicizia. Non con Mister K.

Anche se, quando lui le parlava, non riusciva mai a guardarlo a lungo negli occhi. Anche se, quando le faceva un complimento, arrossiva.

Anche se, quando erano distanti, le mancava e quando erano vicini, a mancarle era il fiato.

Però lo scopo per cui Margherita si era avvicinata a Mister K. era diverso: aveva annusato la sua infelicità ed era convinta di poterla curare. Non era innamorata di lui, ma del sentire di avere un posto nel mondo anche grazie a lui: il suo compito era salvarlo, e ora che aveva una missione, l’avrebbe portata a termine, sarebbe stata in grado di farlo, sarebbe stata abbastanza.

Un giorno Mister K., con una scusa poco plausibile, che aveva fatto drizzare le antenne a tutti tranne che a Margherita, si era trattenuto a casa sua più del previsto, ma, prima di baciarla, le aveva sussurrato a un orecchio: «Però non prendiamoci sul serio».

A Margherita la parola “serio” faceva venire in mente delle labbra serrate in una linea dritta… e allora no, non potevano prenderla sul serio, perché al solo pensiero di quello che stava accadendo gli angoli della sua bocca si tendevano verso l’alto, e le veniva spontaneo sorridere. Lui alternava la tagliente ironia alla dolcezza, la canzonava per le sue manie, le stesse che però accoglieva con affetto. Prendeva le sue paure e, con le mani sapienti, le sgretolava. Tra loro si era instaurata una grande complicità, prima mentale più che fisica. Il corpo reagiva di conseguenza. Quello di Margherita, sempre così rigido, era riuscito ad abbandonare le riserve – e i tabù che avevano sedimentato nella sua mente – tra le braccia lunghe e ossute di Mister K., facendole scivolare ai piedi del letto assieme ai vestiti. Si sentiva protetta e, ancor più importante, capita.

Come prevedibile, non era durata a lungo, ma, per quel poco tempo, si era sentita rinascere. Con Mister K. per la prima volta stava scoprendo una parte di sé che non pensava nemmeno potesse esistere. Stava sbocciando, timida e incerta, esplorava e assaporava il gusto di nuove scoperte. Lui un po’ la prendeva in giro, un po’ la sorreggeva e la esortava a lasciarsi andare, a sciogliere i vincoli della buona educazione, dei pudori e dei tabù che le avevano inculcato fin da bambina. La spingeva a scoprire se stessa.

Margherita e Mister K. erano d’accordo nel voler custodire questa stramba relazione come un segreto. Ogni giorno vicini, ma, alla presenza di altre persone, apparivano come due semplici conoscenti. Oltre il velo dell’apparenza c’era quella che avevano definito “la bolla”: uno spazio fluttuante solo per loro, in cui annusarsi, assaporarsi, confessarsi.

La caducità dei fiori è però tremenda e incontrovertibile, così anche la loro relazione non era durata a lungo: Mister K. pensava che Margherita la stesse prendendo troppo sul serio e aveva preferito troncare. A distanza di anni, lei non l’avrebbe mai ammesso, ma aveva ragione. Gli angoli della sua bocca erano tornati a distendersi verso il basso, viveva con l’ansia dell’abbandono, che al momento dei saluti le lasciava sempre l’amaro in bocca. Quando si vedevano, in un angolo della sua mente affiorava già la sua immagine che le voltava le spalle e si allontanava, e lei non poteva fare altro che seguirlo con lo sguardo, senza trattenerlo. Margherita era rimasta intrappolata nella bolla, mentre Mister K. riusciva tranquillamente a entrarne e uscirne a suo piacimento. Anche quando lui ne era uscito e non era più tornato, lei era rimasta in quello spazio privato; per un po’aveva sperato che tornasse, poi si era auto commiserata e, infine, aveva decretato che la colpa fosse solo sua.

Nemmeno questa volta era riuscita ad essere abbastanza. Lui era andato oltre, lei era rimasta incagliata a ciò che poteva essere ma che non sarebbe mai stato.

Oggi, a distanza di anni, Margherita è riuscita a liberarsi dalla bolla, è consapevole che non ce ne sarà un’altra uguale e ha capito che le bolle sono per natura così fragili che basta un soffio di vento a scoppiarle.

Oggi sa che, se è diventata quello che è ora lo deve anche a Mister K., che l’ha presa per mano e l’ha condotta a una nuova tappa della sua vita. A volte nei sogni lo accarezza ancora, ma solo come si fa con i bei ricordi.

Prima di piantarla, le aveva dato un suggerimento: «Devi cominciare a fidarti del tuo aspetto fisico».

«Io? Il mio aspetto fisico? Scherzi? Non è quello il mio punto forte… posso colpire per la simpatia forse, l’intelligenza, che però è nella media, l’ironia, per chi la capisce, ma l’aspetto fisico proprio no!» aveva ribattuto lei.

«Come fai a esserne certa? Mettiti in gioco!»

Incuriosita, Margherita aveva chiesto: «E come?».

«Nel modo più facile,» aveva sentenziato Mister K. «scegli un ambiente in cui la gente ti giudichi solo per il tuo aspetto fisico, prima di conoscere tutto il resto. Un sito di incontri, ecco! Lì non interessa a nessuno se leggi o ti piace il cinema, quello che guardano sono le tue foto, è da lì che giudicano se sei interessante o meno.»

Margherita si era rigirata quell’idea nella testa per un po’, senza riuscire a prendere una decisione. Dopo l’ennesima delusione, come poteva mettersi di nuovo in gioco? Non era poi così masochista da adorare il colpo secco delle porte sbattute in faccia! E poi, lei non si era mai piaciuta. Da qualunque angolazione si specchiasse, non riusciva mai a vederci nulla di bello. Non le piacevano i suoi piedi, così secchi e ossuti, con quel maledetto indice più lungo dell’alluce. Non le piaceva il colore della sua pelle, così chiara da tradire ogni minima imperfezione: il reticolo di venuzze sulle gambe, le costellazioni di lentiggini sul viso. Odiava i suoi capelli sottili e lisci, di un colore indefinito, a farla passare totalmente inosservata. Per non parlare di quegli occhi strabici, poi, e di quelle labbra così sottili da scomparire su una faccia larga e squadrata. Insomma, era un vero disastro!

Eppure un giorno aveva accettato la sfida lanciatale da Mister K. e, trattenendo il fiato come sulle montagne russe un attimo prima che scendano in picchiata, si era registrata su una piattaforma per single.

Tiziana Zita

Tiziana Zita

Se prendessi tutte le parole che ho scritto e le mettessi in fila l'una dopo l'altra, avrei fatto il giro del mondo.

25 commenti

  1. Che Margherita mi somigli un po’? Forse anche più di un po’! Magnifica la metafora dell’amore sparso tutto intorno come il vino quando cade di più sulla tovaglia che nel bicchiere.
    E le distanze. Già. È sempre così difficile trovare la giusta distanza dagli eventi, dalle persone, persino da se stessi. La distanza è misura e l’amore, forse, è proprio ciò che eccede la misura.
    Un primo capitolo perfetto.

  2. Hai proprio ragione, Milena. L’amore è ciò che eccede la misura.
    Margherita è una ragazza come tante. Come me, di certo, ma anche come te e forse come molte altre. Una che nell’amore ci crede, anche quando cade. Una combattente. E poi l’amore arriva, anche se non è come ci si aspetta.

  3. Al di là di qualche perplessità circa l’incipit favolistico e le iniziali domande dirette per far procedere la narrazione (credo siano da evitare), la scrittrice rivela indubbio talento nella descrizione psicologica della protagonista, intrigante anche quando si toccano temi comuni e sorretta da uno stile accattivante. Felici l’immagine delle due mani, “coperta e protesa” e – concordo pienamente con il commento di Milena Corradini – la “metafora del vino”, prevedibile ma riuscito il gioco sui petali di un nome…famoso nella tradizione letteraria. Evidentemente troppo presto per valutare la costruzione del plot, che comunque incuriosisce.

    • Ti ringrazio Marco per il tuo commento. Anche le perplessità sono per me spunti di riflessione per la scrittura. Fidati, nella storia di Margherita non mancano i colpi di scena!

  4. Dopo aver letto il primo capitolo del libro Margherita e Punto posso dire che mi sono subito immedesimata nella storia della protagonista. Chi di noi almeno una volta nella vita non si è mai sentita inadeguata e incompresa? E nonostante si cerchi di fare del nostro meglio ci si sente comunque non accettate e non all’altezza della situazione. Dalle poche pagine lette si percepisce subito una narrazione allo stesso tempo profonda e gradevole. Una favola moderna e molto attuale.

    • Laura, hai colto nel segno: una favola moderna. E per adulti, aggiungerei. Perché credo sia fondamentale non smettere di sognare, alimentare il bambino che è in noi e credere ancora nelle favole.

  5. Margherita che già dal nome ha un destino d’amore segnato dal dubbio: m’ama, non m’ama?
    Un po’ Bridget Jones, nel non sentirsi mai adeguata.
    Un po’ “Carrie Bradshaw”, anche lei con il suo mister K ( quello di Carrie era mister Big) che le apre le strade dell’amore, ma poi la lascia sola a cercarlo sulle chat. Sicuramente vincente il presentare la protagonista con il “c’era una volta” delle favole e poi relegarla in un ordinario appartamento dove è quasi invisibile alla sua stessa famiglia. Il 90% delle donne empatizzerà con lei.
    Piacevole la scrittura, ma forse ci viene detto troppo e subito. In ogni caso
    “to be continued…”

    • Fidati Fabiana, questo è solo l’inizio! Se vorrai continuare, scoprirai un twist che non ti saresti mai aspettata… scommettiamo? 🙂

  6. Margherita somiglia a Charlie Brown il principe degli inadeguati. Speriamo che nello scorrere del libro trovi il suo Snoopy.🐾

  7. Ogni educazione sentimentale fa storia a sé, anche se ci sono, come dire, dei passaggi obbligati. Così quella di Margherita che inizia con toni da favola, prosegue con le ferite dell’infanzia e i “ragionamenti” pacati e arguti sui primi approcci d’amore (bello il racconto sulle distanze, fisiche ed emotive) fino a quello che si preannuncia come un punto di svolta. Che tuttavia conosceremo solo andando oltre il fatidico “Primo Capitolo”. Ma abbiamo già accumulato un po’ di curiosità e siamo sicuri che Margherita, meno sprovveduta di come vuole apparire, ci riserverà delle sorprese…

  8. Trovo che la scrittura dell’autrice sia fluida, l’incipit a “forma” di favola , carino. L’ analisi psicologica – in linea con il più attuale pensiero della scienza- forse un po’ ridondante … in generale il primo capitolo mi ha intristita un po’.. mi piacciono le letture che mi rallegrino e questo accade quando sono intense ma leggere e i temi molto originali.

    • Ti ringrazio Beatrice per il tuo commento. Si sa, non tutte le ciambelle escono col buco e non tutte le favole leggere. 😉

  9. Nonostante il tratteggio della protagonista mi abbia ricordato tante giovani donne presenti nei romance di cui sono appassionata, ciò non toglie Margherita sia un personaggio vero, in cui ritrovare qualcosa di noi, quantomeno, qualcosa di noi in alcuni momenti della vita: l’inadeguatezza, il senso di non essere mai abbastanza, la convinzione che se diamo tanto, tutto, forse basterà a farci amare, invece di non accontentarci delle briciole, di pretendere amore, perchè tutti lo meritiamo. Amo molto questo tipo di personaggi e il destino di Margherita ha solleticato il mio animo romance: senza dubbio leggerò il romanzo, anche stimolata da una scrittura fluida, senza troppi fronzoli, e con un sapore di equilibrata ironia.

    • Grazie davvero, Alessandra, per le tue parole. Margherita è una di noi, senza dubbio. E sono felice che tu voglia sapere come va a finire la sua storia… buona lettura allora!

  10. Mi ha colpito molto la frase “Allora, se la vita ci viene preclusa, si può sempre esistere”… e secondo me, è già qualcosa. Nonostante il tono un po’ “cupo” dell’inizio, la storia ha finito con l’intrigarmi… e sono convinta, come ha già scritto qualcuno, che Margherita saprà regalarci delle sorprese!

  11. Scrittura molto scorrevole. Viene voglia di continuare. Per il mio gusto però l’atteggiamento del narratore è un po’ troppo “da analista”: spiegando i perché degli avvenimenti nel momento stesso in cui li racconta, rischia di produrre una certa distanza tra lettore e personaggio e di rendere tutto troppo logico.

    • Ti ringrazio Alfonso per il tuo commento, che offre a me buoni spunti di riflessione, soprattutto sul mio spirito “da analista” che inevitabilmente confluisce nella scrittura.

  12. All’inizio sembra un po’ troppo aderente a dei cliché già visti mille volte, poi verso la fine comincia a prendere sostanza e, in ultimo, sembra diventare molto promettente.

    • Grazie Roberto. Se sono diventati cliché ci sarà un motivo: è perchè affondano le radici nella vita vera. Spero tu voglia verificare se le promesse iniziali verranno mantenute.

  13. Ossigeno, finalmente! Questo ho pensato leggendo il primo capitolo di Margherita e punto. Una scrittura così semplice e pulita che ci puoi guardare attraverso. Si legge con ritmiche diverse, si legge anche ad alta voce, come certe favole. Provateci! A volte perché spinti dalla fretta di vedere cosa accade, altre volte rallentati dai suoi pensieri troppo lucidi (è vero, lei sembra aver capito molto di sé), a volte zavorrati dalla malinconia che esprime. C’è un tratto raro nella sua pagina: il coraggio della gentilezza (che, comprendo, non essere di moda tra gli scrittori di oggi). Che sia una sfigata come tante lo dichiara subito. Che questa sfigata ci possa insegnare qualcosa, però, questo sì che brucia! Ci fa sentire tante piccole merde. Noi uomini, ma non solo noi. Non mi spaventa la sua lucidità, non mi irrita la sua saggezza fuori età, fuori contesto. Mi spaventa il mondo intorno. Quello sì. Quello che le insinua il dubbio, quella che le chiede di cambiare. Quel mondo distratto che lei sa captare ma che pare non riesca a trattenere. Temo che qualcuno la calpesti, temo che qualcuno la strappi via per farci una coroncino, temo che qualcuno si dimentichi di lei. Non sento il bisogno di action, ma spero di poterne leggere ancora. Spero che, come le migliori fiabe, Margherita torni vincitrice con un oggetto magico e perché no, con la pelle vuota di un principe da usare come scendiletto.

  14. Grazie David per le tue splendide parole e per aver saputo cogliere la fragilità delle margherite e della mia Margherita. Ma forse anche la fragilità può trasformarsi in forza, per necessità o per virtù.

  15. Un Primo Capitolo davvero interessante per questa “favola per adulti” che non vedo l’ora di continuare a leggere per intero. Penso che molte sensibilità si ritroveranno in queste parole che scorrono fluide e promettenti.

  16. Mah !vi dirò niente di particolare per me,trovo un incipit di una ennesima storia di una bruttina,carente di amore già in famiglia e poi con gli uomini,che si metterà in gioco e ,alla fine, avrà il suo riscatto

  17. La intro è scritta bene, mi piace l’inizio a cliché che gira subito in un’altra direzione. Personalmente preferisco che un autore non mi *racconti* ma che mi *mostri*, ovvero, che il narratore parli di fatti che accadono nel momento, lasciando al lettore trarre le proprie conclusioni. Così, se leggo come Margherita si versa da bere avvicinando il bicchiere anzichè la bottiglia, traggo io la mia conclusione–la descrizione di quell’azione inconsueta sveglia la mia curiosità. In questo modo riesci a creare quel tipo di libro che ogni volta che si rilegge da un risultato diverso, ciò che chiamano un “evergreen”.

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