La stirpe del vino di Attilio Scienza e Serena Imazio si muove tra verità e leggenda. Il vino è il prodotto di un intimo connubio fra esigenze umane, territorio, clima e cultura.
La grande storia del vino in Italia sarebbe, dunque, la risultante di tante piccole storie. Una costellazione di culture popolari, di interazioni e contaminazioni che hanno veicolato il vino intorno alle grandi vie commerciali.
Il DNA dei vitigni
Sappiamo che le mappature genetiche hanno costituito, una vera e propria rivoluzione copernicana in vari ambiti investigativi. Il vino non ha fatto eccezione, producendo conclusioni inaspettate.
Proprio negli anni ’90, infatti, si compie questa rivoluzione metodologica. Si interrompe definitivamente la classificazione dei vitigni basata sullo studio della foglia e del grappolo, per passare all’ampelografia genetica, che è basata sugli studi del DNA.
Rivelazioni
L’albero genealogico, la provenienza, e il passato delle varietà si rivelano. Le sequenze molecolari svelano con certezza l’identità dei vitigni e le loro mutazioni nel tempo. Quelle volute dall’uomo o quelle spontanee.
Il vino inizia il suo viaggio da Oriente verso Occidente. Dal Golfo Persico fino al Mediterraneo, dai Greci e Fenici ai Romani e poi al resto del mondo. In ogni luogo dove si impianta, la vite e le nuove tecniche si sovrappongono a colture e metodologie preesistenti. Per poi modificarsi, adattandosi al territorio ed alle condizioni climatiche, variando il proprio corredo genetico.
Leonardo da Vinci, il vignaiolo… con la passione per il vino dolce
Nella Stirpe del vino, Scienza riporta direttamente la sua esperienza di ricerca. E dunque eccoci a Milano, anno del Signore 1482. Leonardo da Vinci riceve un vigneto da Ludovico il Moro.
La vigna di Leonardo, che è ancora esistente, produrrà incessantemente del vino. Un incendio, e poi i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, seppelliranno con terra e macerie le radici di vite. Ottant’anni dopo Attilio Scienza ed altri studiosi analizzeranno quelle radici. Che tipo di vino produceva la cantina dello scienziato? Il libro lo rivela.
È nato prima il moscato o la malvasia?
Per conoscere i vitigni è necessario capire da dove sono venuti. Ad esempio, la parola «moscato» vuol dire semplicemente odoroso, profumato e viene dal sanscrito. Primato di importanza per il moscato bianco dal quale derivano moltissimi moscati. E non solo.
Infatti, gli studi genetici hanno stabilito che diversi vitigni come l’Aleatico, il Brachetto d’Acqui, l’Italia derivano dal moscato pur non portandone il nome. Scopriamo quindi che il vitigno “grillo”, eccezionale uvaggio a bacca bianca tipico in Sicilia, ha come genitori il Catarratto e lo zibibbo.
Lo zibibbo è appunto un moscato dal quale il Grillo prende il suo profumo. Il Catarratto, a sua volta discende da vitigni antichi come il Grecanico dorato conosciuto come Garganega e il Mantonico bianco.
Da questi due vitigni la ricerca genetica attribuisce la derivazione del Gaglioppo, del Nerello mascalese e, addirittura, del Sangiovese.
Colpo di scena! Il Sangiovese, vitigno simbolo della Toscana, ha dunque “sangue” del sud nel proprio corredo genetico? Proprio così.
Non sempre le contaminazioni portano del bene
Cosa succede quando una pandemia di dimensioni apocalittiche colpisce le coltivazioni di mezzo mondo?
Il viaggio delle varietà di uva favorisce la biodiversità varietale, ma anche la diffusione di nuove problematiche.
Le nuove malattie provenienti, in primis, dalle Americhe costringeranno la viticoltura a stravolgersi. Alla fine del 1800, dunque, inizia la grande battaglia contro le malattie fungine e i parassiti. Ma questa battaglia, proprio quando sembrerà persa, aprirà la strada all’approccio scientifico in viticoltura.
E, incredibilmente, la soluzione arriverà proprio dalle terre in cui è nato il problema.
La bestia inarrestabile
L’afide giallino in grado di distruggere con una forza dirompente gran parte delle viti europee. La bête, la bestia, sarà inarrestabile.
La mancanza di comunicazione e la resistenza al coordinamento fra i viticoltori di allora, ritardarono notevolmente la risoluzione del problema.
Oggi la storia della fillossera e delle modalità con la quale in Europa si decise di combatterla, fa impressione.
Inevitabile il parallelismo con le condizioni psicologiche con le quali abbiamo affrontato l’emergenza pandemica del 2019. La storia del vino ci offre, in questo, una chiave di riflessione a tutto campo. Ecco perché conoscere il passato può veramente proiettarci verso il futuro.
In principio fu il Pinot…
E così, si scopre che il Mazermino è figlio del Teroldego e fratello del Lagrein, ma anche del Syrah e Mondeuse blanche, e che suo nonno è il Pinot. E i californiani si stanno ancora riprendendo dallo choc della rivelazione sulla paternità del loro Zinfandel.
Il Cabernet-sauvignon, il vitigno perfetto, si scopre figlio del Cabernet franc e del Sauvignon blanc. Come per tanti altri vitigni importanti, quali lo Chardonnay, il Gamay o il Riesling renano, il Cabernet Sauvignon risulta dall’incrocio di vitigni selvaggi e varietà locali.
Insomma, l’indagine sul DNA scoperchia il vaso di Pandora. Scioccando paesi e nazioni, viticoltori ed enologi. Peggio della trama di Beautiful, le parentele si intrecciano e si ribaltano.
Autoctono dunque?
“In questa chiave, la parola «autoctono» perde progressivamente di significato: i vitigni sono il risultato di una intensa e antica circolazione varietale tra zone anche molto lontane tra loro, spesso senza confini geografici, quindi il termine non è più riferibile a un luogo, ma a un tempo, nel quale il vitigno si manifesta in modo ottimale attraverso le proprie caratteristiche produttive. Si può estendere il significato di autoctono anche al luogo dove il vitigno dà il meglio di sé, come il Sangiovese che, pur essendo di origine meridionale, come vedremo, esprime il suo DNA nel modo migliore in Toscana e in Emilia, dove è ormai considerato appunto autoctono.”
Il vino da sorseggiare leggendo questo libro? Un Sassicaia
Che Cabernet sia allora. Nasce dalla voglia di rivalsa del Marchese Mario Incisa della Rocchetta il progetto di un grande vino destinato ad entrare nella storia.
Obiettivo: produrre un vino in grado di competere con i pregiati vini bordolesi.
Ottimamente consigliato da suo cognato, il Marchese approdò alla consulenza di Peynot, enologo degli Antinori. L’enologo suggerì un nuovo impianto a Cabernet sauvignon, sull’appezzamento di terra denominato Sassicaia.
Bolgheri Sassicaia
Il vigneto Sassicaia sorge al limite della Maremma toscana, non lontano dal mare. Nessuno prima aveva pensato di impiantare un vigneto in questa zona vitivinicola ancora sconosciuta.
Le similitudini merceologiche del terreno a quello delle Graves e di Bordeaux facevano, però, ben sperare. Per lungo tempo il vino prodotto fu degustato solamente all’interno della tenuta.
Le bottiglie rimaste ad invecchiare nella tenuta di Castiglioncello, riservarono sorprese su sorprese con il passare del tempo. Rivelandosi vini da grande invecchiamento.
Con l’aiuto di Giacomo Tachis, Incisa della Rocchetta riuscì finalmente a sbaragliare gli Château bordolesi nel 1985 in un concorso a Londra. La prima annata messa sul mercato fu la 1968 e arrise immediatamente al gotha dei premier crus francesi.
Ad oggi Bolgheri Sassicaia è addirittura una DOC. Nasceva così un vino leggendario, oggi sinonimo di opulenza e qualità. Una etichetta iconica, che rappresenta il vino italiano di eccellenza nel mondo.
Com’è questo vino?
Con differenziazioni ovvie, legate all’annata ed alla conservazione, si tratta di un vino ampio nei profumi.
Fruttati, frutta rossa e nera come ribes, mora, mirtillo. Spezie dolci e tabacco, spesso sentori di cuoio. Profumi mentolati e freschi di eccezionale eleganza.
Con l’età il fruttato verte spesso verso note più agrumate e toni scuri, china, grafite e cioccolato, fino a fungo e tartufo.
Sono vini dotati di una spinta acida, necessaria all’invecchiamento, che regala finali lunghissimi e profondi. Al gusto sono sempre vini emozionanti, secchi, pieni e armonici, che spesso sorprendono per eleganza e vivacità. Vini che lasciano il segno, ma che non sono certo per tutte le tasche. Da alcune centinaia a migliaia di euro a seconda dell’annata.
A tavola il Sassicaia accompagna piatti di carne della tradizione toscana, selvaggina e cacciagione.
Da provare almeno una volta nella vita, meglio se in compagnia o in una degustazione guidata.