Quando nel 2008 Jon Favreau girò il primo Iron Man, nessuno immaginava che la sua uscita di scena sarebbe avvenuta ben 11 anni dopo. E con un film, Avengers: Endgame, che si contende con Avatar lo scettro di maggior incasso cinematografico di tutti i tempi.
Nutrendosi delle sterminate pagine di fumetti pubblicate dagli anni ’60 in poi, il cosiddetto Marvel Cinematic Universe (MCU per i fan) è diventato una forza irrefrenabile. A tal punto che il colosso Disney lo ha assorbito, come è stato per un altro franchise amatissimo quale Star Wars.
Ora i personaggi nati sotto l’ala creativa e protettrice di Stan Lee – geniale ideatore delle edizioni Marvel Comics – che fino alla sua morte ha avuto un cameo in ogni film, vivono una doppia vita parallela. I film si ispirano ai fumetti ma li rileggono, aprono nuove prospettive, si concentrano su filoni secondari o interpretazioni alternative. Naturalmente, ogni volta che un attore indossa i panni di un personaggio, il risultato è unico e imprevedibile.
Tom Hiddleston come Loki, il dio dell’inganno fratello di Thor, cattivo per antonomasia, ebbe un tale successo da superare quasi quello dello stesso Thor titolare del film.
In fondo è dai tempi di Sherlock Holmes che la serialità richiede che ci si pieghi al volere dei fan. Quando il povero Conan Doyle decise di farla finita con Holmes e ucciderlo, i lettori si sollevarono in massa fino a ottenere la resurrezione per il loro beniamino. E lo stesso accadde al nostrano Pinocchio.
La Marvel, con i suoi decenni di esperienza, ha imparato a spiazzare e coccolare i propri sostenitori in egual misura. Più di ogni altro produttore di kolossal, ha il coraggio di osare scelte controcorrente, e per questo viene premiata al botteghino. Dopotutto questa è la sua forza fin da quando incentrò un film su Tony Stark-Iron Man, mercante d’armi alcolizzato e donnaiolo.
Tanto che otto anni dopo poteva permettersi di produrre un film che la censura americana vietò ai minori non accompagnati. Pareva un controsenso: ma i film tratti dai fumetti dei supereroi non sono per bambini?
Deadpool fu la prova definitiva che l’MCU poteva fare ciò che voleva. Così, quando si delineò Disney+, nacque l’idea di osare ancora e assecondare i fan con le prime serie prodotte al cento per cento dalla Marvel.
Non serie incentrate su personaggi marginali e dunque meno spendibili al cinema. E nemmeno qualcosa incomprensibile a un neofita. Certo, avere una conoscenza base permette di apprezzare ogni sfumatura e riferimento interno. Ma la verità è che le serie Marvel sono godibilissime così come sono. Di più: non solo sono all’altezza dei film, ma forse anche meglio.
WandaVision
Prendiamo WandaVision, che ha fatto incetta di candidature agli Emmy. All’inizio pare una sorta di divertissement intelligente, l’omaggio della Marvel alla televisione. Sembra impostata come una sit-com, di cui segue gli schemi visivi e narrativi.
Ogni puntata corrisponde a un decennio, partendo dagli anni ’50 alla Lucille Ball fino ad arrivare agli anni 2000 con riprese alla Modern Family. Inizia in bianco e nero per poi virare ai colori zuccherosi anni ’60, a quelli saturi anni ’70 e via dicendo.
I protagonisti sono la coppia formata da Wanda Maximoff, la più potente supereroina del MCU, e Vision, un androide meravigliosamente umano. Il contrasto fra la natura dei personaggi, con i loro poteri sovrumani, e il set tradizionale da sit-com la rende intrigante.
Se c’è una cosa in cui la Marvel eccelle è il riconoscere l’importanza del fattore umano. I superpoteri non sono interessanti se il personaggio che li usa non ha una storia alle spalle e un carattere ben definito. Così WandaVision si rivela dopo le prime puntate qualcosa di più di un esercizio di stile ben confezionato. È in effetti l’elaborazione del lutto più articolata mai portata sullo schermo. Puntata dopo puntata la patina s’incrina e lo spettatore arriva alla comprensione. Elizabeth Olsen e Paul Bettany nei panni di Wanda e Vision donano, con le loro capacità attoriali, lo spessore necessario a sostenere una trama perfettamente congegnata.
The Falcon and the Winter Soldier
Il fattore umano, appunto, è ancora più centrale nella serie The Falcon and the Winter Soldier. Qui l’intuizione pare essere partita prima di tutto dalla chimica fra i due attori protagonisti, Anthony Mackie e Sebastian Stan. Poche scene in Captain America: Civil War ne avevano rivelato il potenziale e la Marvel ha ancora una volta fatto centro assecondandolo sapientemente. Falcon e Winter Soldier nascono come spalla per Captain America, ma con le interpretazioni di Mackie e Stan sono saliti di livello.
La serie ruota attorno alle conseguenze del post Blip, ovvero la sparizione e ricomparsa di circa metà popolazione della Terra ad opera di Thanos negli ultimi due Avengers. La parte di umanità improvvisamente tornata dopo 5 anni, fatica a riprendere le fila della vecchia vita. I governi devono gestire quelli che sono sostanzialmente degli sfollati, ovviamente tutt’altro che felici di essere considerati tali.
Parallelamente, Sam Wilson-Falcon cerca di aiutare la sorella a non vendere il peschereccio di famiglia, tentando invano di ottenere un prestito in banca e scontrandosi con il razzismo quotidiano.
Bucky Barnes-Winter Soldier, finalmente libero dal lavaggio del cervello che ne aveva fatto un temutissimo killer, fa invece i conti con il proprio pesante passato. Senza contare che, ripetutamente ibernato, è di fatto un ultracentenario a disagio con la contemporaneità. Razzismo, immigrazione, traumi passati, senso di colpa e di responsabilità, la perdita di un amico e di punti di riferimento.
The Falcon and the Winter Soldier mostra il lato più umano e quotidiano degli eroi e parla molto del nostro presente. Adotta insomma una prospettiva dal basso in una fantastica serie d’azione che non lesina scene adrenaliniche di combattimento e scenari esotici da spy story.
Loki
E poi c’è Loki. Tom Hiddleston, che lo interpreta, pare abbia tenuto una lezione di qualche ora sul personaggio agli sceneggiatori della serie, il che la dice lunga su quanto lo conosca. Loki è uno di quei cattivi che in un mondo parallelo avrebbero potuto essere gli eroi, e Hiddleston con la sua finezza d’interprete lo ha sempre mostrato.
Per quanto riguarda la trama, nessun personaggio dell’MCU avrebbe potuto essere più adatto ad essere gettato in mano ad un’organizzazione che si assicura che la linea temporale resti unica. Questo perché ogni volta che qualcuno fa qualcosa che non dovrebbe, nasce un universo parallelo dalle ramificazioni potenzialmente infinite. Ebbene, in Loki si scopre che c’è chi provvede ad ordinare questo caos in potenza, eliminando le cosiddette varianti. Le quali però sono ovviamente ignare di essere tali, e qui sorge il dilemma morale.
Se WandaVision faceva i conti col passato e The Falcon and the Winter Soldier col presente, Loki ruota attorno al futuro possibile. Ponendo alcune domande alquanto filosofiche inframmezzate a una trama che alterna investigazioni, viaggi nello spazio-tempo e scontri epici. L’approccio ricorda quello della fantascienza nobile, dove i contesti alieni servono ad esasperare l’umanità fino a provocarne la tenuta morale.
Il divertimento è comunque assicurato: dopotutto uno dei protagonisti è Owen Wilson nei panni di un burocratico agente e i suoi scambi con Loki sono di grande intrattenimento. Ma come nelle altre serie, c’è un sostrato drammatico importante che accentua l’attesa della prossima fase del MCU.
La Marvel è abituata ad alzare l’asticella sempre più in alto. In attesa dei prossimi film l’arco creato dalle sue serie è un ponte verso sviluppi ambiziosi. Ma che le aspettative vengano deluse, quello è uno scenario destinato ad un altro universo.
Lo dimostra Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, da poco in sala, primo capitolo della nuova fase. Un film che, grazie anche a un cast d’eccezione (a cominciare dal grande Tony Leung), rappresenta il ponte ideale tra Oriente e Occidente, cinema d’autore e blockbuster, dramma familiare e fantasy d’azione. E prepariamo già i popcorn e i cuori per The Eternals, in arrivo a novembre.