Mentre ero sdraiata di fronte al mare su una spiaggia semi deserta a sud di Creta, un’ombra controluce si è fermata davanti a me. Ho alzato un po’ la testa per vedere chi fosse. Era una signora di una certa età, con un cappello.
L’ho guardata interrogativamente e mi ha detto, in inglese, che stava aspettando la sua famiglia. Quindi ha aggiunto, riferendosi al mio Kindle, che è una bella invenzione che permette di portarsi dietro libri molto grandi. Mi ha chiesto cosa stessi leggendo.
Le ho risposto che era proprio un “big book”, il romanzo di Bernardine Evaristo Ragazza, donna, altro.
Le ho chiesto se anche lei avesse portato il Kindle e mi ha risposto di sì. Quindi le ho domandato cosa stava leggendo.
Un libro sulle scritture che non sono ancora state decifrate, sul disco di Festo e la Lineare B, sulla nascita della scrittura. Sentendo di un simile argomento mi si sono drizzate tutte le antenne.
Ha aggiunto che il libro è scritto da una filologa italiana, Silvia Ferrara ed è molto interessante.
Le ho raccontato che io ero stata a Festo – dove è stato trovato il famoso disco – qualche anno prima e che stavolta volevo tornarci con una guida ma a causa delle altissime temperature, quando ho telefonato mi hanno detto che al momento non era possibile.
Lei a Festo ci è stata cinque volte. Quindi ho scoperto che era francese e abbiamo cambiato lingua.
La grande invenzione
In pratica ho letto La grande invenzione di Silvia Ferrara su consiglio di una francese sconosciuta, incontrata a Creta sulla spiaggia come un’apparizione. Il sottotitolo è Storia del mondo in nove scritture misteriose. Ecco alcune cose interessanti che ho scoperto.
Oggi nel mondo esistono circa una dozzina di scritture antiche che ancora non riusciamo a leggere e capire. Quasi la metà di queste scritture indecifrate proviene da isole: da Cipro, da Creta, o dall’Isola di Pasqua.
Già Omero parlava di Creta come un crogiolo multiculturale che risuonava di lingue diverse. E infatti a Creta ci sono quattro scritture: la lineare A, la lineare B, il geroglifico cretese, il disco di Festo. Solo della lineare B conosciamo la lingua, le altre tre sono indecifrate.
La nascita di nuove scritture segue sempre la stessa modalità. Si parte da immagini che rappresentano le cose, disegnini e raffigurazioni di persone, animali, astri etc. In tutte le scrittura l’iconicità dei segni è all’inizio fortissima.
Col tempo le scritture lineari raggiungono un livello di stilizzazione per cui i segni non somigliano più a qualcosa di riconoscibile come una mano, un piede, o un albero.
Ad esempio nella lineare A il gatto è divenuto sempre più schematico, ma nei reperti è possibile individuare le varie fasi fino a tornare all’icona riconoscibile del gatto.
L’arte è il trampolino di lancio della scrittura
Il logogramma (l’immagine che rappresenta la parola) diventa sempre più stilizzato e cambia da icona a simbolo.
Questo accade perché tra i nostri sensi, la percezione visiva è dominante. Siamo attratti innanzitutto dai contorni, dai profili di ciò che vediamo intorno a noi. In tutti i sistemi di scrittura della storia ci sono dei segni simili che si ripetono e che sembrano ricalcare tali contorni.
È come se la scrittura, nella sua evoluzione, avesse cercato di somigliare ai contorni della natura per essere più facile da percepire e da leggere.
“Le aree programmate per riconoscere forme e contorni degli oggetti sono state riutilizzate per distinguere le forme dei segni di scrittura”.
La scrittura è stata inventata quasi sicuramente in maniera autonoma in quattro grandi culture: Egitto, Mesopotamia, Mesoamerica e Cina.
È nata contemporaneamente in Egitto e in Mesopotamia, all’inizio del quarto millennio a.C. ma probabilmente poco prima in Egitto. Oltre a queste quattro invenzioni autonome è facile ce ne siano altre, come nell’Isola di Pasqua e nella Valle dell’Indo.
Scritture non decifrate
Ma torniamo a Creta e alle sue scritture. Creta, chiamata anche Europa perché così si chiamava la madre di Minosse, è la quinta isola più grande del Mediterraneo, dopo Sicilia, Sardegna, Cipro e Corsica.
Il geroglifico cretese, ancora indecifrato, non assomiglia in alcun modo a quello egiziano. Si chiama “geroglifico” solo perché è un sistema legato alle immagini.
Lo si trova quasi sempre su documenti burocratici. Non c’è narrativa o scienza. È inciso su sigilli fatti di pietre preziose che si portavano al collo o come ornamenti di bracciali. Nella cultura cretese di quattromila anni fa possedere un sigillo con il proprio nome era un segno di status importante.
Anche il cipro-minoico è indecifrato, ma a differenza del geroglifico cretese le tavolette cipriote riportano testi molto lunghi che sembrano narrativa e non inventari di merci e prodotti. Il cipro-minoico è scritto, inciso, dipinto su una serie di oggetti belli. Non oggetti di uso comune. La scrittura su tali oggetti dava ancora più valore a chi li possedeva e li sfoggiava.
Il disco di Festo
Festo è uno dei grandi palazzi minoici, le cui rovine si trovano a sud di Creta.
Il disco è uno dei più famosi misteri di Creta.
Conservato nel Museo Archeologico di Heraklion, è stato trovato durante gli scavi del palazzo di Festo dall’architetto italiano Luigi Pernier nel 1908.
Il ritrovamento del disco stupì tutti perché non assomigliava a nulla di già visto prima. Inizialmente si era pensato a un inganno dell’architetto italiano in cerca di gloria.
La sua datazione risale al II millennio a.C. quando il geroglifico cretese e la lineare B convivevano sull’isola.
Ci sono varie cose misteriose a proposito del disco. Intanto il fatto che sia cotto. Cuocere la creta la rende indistruttibile ma finora lineare B e geroglifico cretese si sono conservati perché bruciati dagli incendi che hanno distrutto i palazzi minoici e micenei e non perché cotti intenzionalmente come il disco.
L’altro mistero riguarda il fatto che il disco non è inciso ma stampato. Sarebbe la prima stampa, secoli prima di Gutenberg. Per queste ed altre caratteristiche il disco di Festo è un unicum.
Molti si sono cimentati nel tentativo di decifrarlo, ma il disco si è rivelato “un cruciverba inespugnabile”. I suoi 242 simboli non assomigliano a nessun’altra scrittura conosciuta.
Il problema più grande nella decifrazione
Fondamentale per poter decifrare una scrittura è la quantità dei testi a nostra disposizione. Più sono e più è facile. Anche se non è sempre vero. Ad esempio dell’etrusco abbiamo un discreto tesoro di segni eppure resta indecifrato.
Ma il problema fondamentale nella decifrazione della scrittura è costituito dall’iconicità. La principale difficoltà è infatti capire se si tratta di immagini o se è una scrittura.
Il rongorongo
Ad esempio, sull’Isola di Pasqua ci sono tavolette incise con una fitta rete di segni: il rongorongo. È una scrittura?
Sono icone di donne, uomini, pianeti, monti, animali e tanti tipi di uccelli. Anche a Rapa Nui, come a Creta, “l’arte fa da trampolino di lancio alla scrittura” e si passa dal disegno al segno.
I logogrammi rappresentano cose, ma il suono di un logogramma può avere anche un altro significato, oltre a quello rappresentato dal disegno.
“In cinese antico il logogramma di un cavallo, che si pronuncia ma, è lo stesso suono di ma che significa madre”.
Tecnicamente questa omofonia si chiama “rebus”: ovvero il logogramma vale per due cose diverse. In pratica, è grazie a questo rebus che il segno si stacca dall’oggetto e prende il volo. Così il logogramma del cavallo significherà “mamma”.
Il problema di capire se si tratta di immagini o se è una scrittura si è posto per i geroglifici egizi che non si riuscivano a decifrare perché si pensava che le immagini registrassero idee e non suoni.
Neanche la scrittura cinese è ideografica. I caratteri cinesi infatti non denotano idee ma parole. Il loro sistema di scrittura riflette sia il significato che la pronuncia.
Dopo la premessa iniziale sulla spiaggetta cretese, vorrei concludere con un lieto fine e dirvi che si tratta di un bellissimo saggio… ma non è così.
Ho faticato molto ad estrapolare quello che ho appena riportato perché il libro è confuso, fumoso e sconclusionato. È pieno di esempi, citazioni e aneddoti tratti dall’attualità (film, sport, telefonini) che vorrebbero essere “accattivanti” e che non c’entrano niente. È zeppo di espedienti retorici, umorismo forzato e noiose divagazioni. Inoltre è tutto un “sembra” e un “potrebbe essere”.
La spiegazione del perché arriva alla fine. L’autrice chiarisce che è stato scritto seguendo il flusso delle parole usate durante le lezioni, perciò ha una forma volutamente orale.
“Il risultato di questo esperimento è che, quasi senza accorgermene, ho scansato la cosa di cui stavo scrivendo: ho tolto di torno il soggetto stesso del libro”.
Come sarebbe che lo ha “scansato”?
In pratica si tratta di lezioni sbobinate e lasciate così com’erano. Ma le regole della scrittura sono completamente diverse da quelle dell’oralità e un discorso risulterà vago, impreciso, approssimativo, una volta scritto. La scrittura ha le sue regole che la lingua non conosce.
Malgrado sottolinei che lingua e scrittura viaggiano su binari paralleli e che non vanno assolutamente confuse, Silvia Ferrara se ne dimentica proprio quando scrive questo testo. Peccato.