John Banville è un autore che è sempre arduo classificare secondo “generi” dalle regole più o meno definite, quando non addirittura rigide. Ha esordito con opere biografiche dedicate a scienziati del passato come Copernico, Keplero, Newton. Li ha però raccontati in modo originale, specie l’ultimo.
A questi, sono seguiti romanzi dai toni intimisti, stemperati da un peculiare umorismo nero. Come ad esempio il rarefatto Isola con fantasmi, tutto giocato sull’attesa di un evento drammatico che non accadrà mai, probabilmente perché è solo una proiezione di altri eventi già accaduti separatamente nelle vite dei protagonisti.
Raccontare l’Irlanda
Banville ha scritto anche molto teatro. Ma alla fine, forse sollecitato da qualche lungimirante editore, si è messo a scrivere romanzi che utilizzano la struttura e gli stilemi del giallo per raccontare un’Irlanda – la sua terra natale – distante ma non troppo, passata ma non troppo. Quella genuina ma bigotta e provinciale degli anni ’50.
I critici, quando si trovano a recensire i suoi libri, non perdono occasione per scomodare numi tutelari come Proust e Nabokov, mentre Banville stesso cita W. B. Yeats, Henry James e Von Kleist quali sue fonti primarie di ispirazione.
La serie gialla
I personaggi della serie gialla di Banville, originariamente firmata con lo pseudonimo Benjamin Black, sono generalmente il maturo patologo Quirke e il discreto ispettore Hackett. Con Delitto d’inverno, però, i due si prendono una vacanza e restano sullo sfondo, mentre a occupare il ruolo di protagonista è un subordinato di Hackett, il giovane ispettore Strafford.
Delitto d’inverno
La trama del romanzo si dipana attraverso alcuni giorni a cavallo del Natale 1957. Da Dublino, Strafford è inviato in provincia a indagare su un caso piuttosto scottante. In una dimora signorile denominata Ballyglass House, qualcuno ha appena sgozzato e successivamente evirato un sacerdote cattolico, padre Tom Lawless.
La situazione si presenta subito contorta. Il padrone di casa, colonnello Osborne, ha fama di essere un adamantino eroe di guerra, ma si rivela ben presto un mezzo rimbambito che vive in un mondo tutto suo, composto di fantasie incentrate su rigidi formalismi.
La sua seconda moglie, Sylvia, non si capisce se reciti ruoli diversi a seconda delle circostanze, o se non abbia una personalità ben definita. L’unica cosa che si capisce con certezza è che è dedita all’uso di qualche stupefacente che le viene fornito sottobanco dall’insospettabile medico di famiglia.
Il figlio Dominic sarebbe iscritto a un prestigioso college per studiare medicina, ma fa tutto tranne quello e sembra ansioso di esibire una franchezza disarmante, che però potrebbe nascondere chissà quale disagio.
Altrettanto enigmatica è la figlia Lettie, polemica e sfuggente.
En passant, rumors non ufficiali danno l’impressione che anche l’antico incidente domestico con cui la prima signora Osborne liberò il posto alla seconda, si presentasse in modo alquanto sospetto. Anche se a quel tempo nessuno volle indagare a fondo sul fatto.
Al di là della sua fama, Ballyglass House sta evidentemente attraversando un periodo di inarrestabile decadenza. Gli Osborne ne occupano solo una parte e lasciano andare in malora il resto. A circondarli e servirli, un piccolo stuolo di domestici e lavoranti, che nemmeno loro sembrano tanto limpidi.
Quanto alle circostanze del delitto, l’aspetto che inizialmente sembra più singolare, sta nel fatto che padre Lawless, cattolico, era molto amico del colonnello Osborne, protestante, al punto da essere spesso ospite a casa sua. Ed è stato proprio durante uno di tali soggiorni che qualcuno gli ha fatto la festa.
Questa e altre circostanze sembrano aver indotto il potente arcivescovo Mc Quaid, nella giurisdizione del quale ricadeva anche padre Lawless, a interessare tutti i suoi innumerevoli e importanti contatti politici affinché la faccenda venga insabbiata prima ancora che si faccia il minimo passo avanti.
Ballyglass House
Strafford viene trascinato nel vortice dei contorti rapporti che legano tutti gli attori in scena sul palcoscenico di Ballyglass House. Forse perché riconosce qualcosa di sé stesso in ognuno di essi. Anche lui protestante, è figlio di un gentiluomo che a sua volta sta mandando in malora la propria residenza signorile. Strafford è tutt’altro che convinto della sua scelta di entrare nella polizia, è represso sessualmente e questo non perché consideri la castità un valore, ma solo per riflesso dell’ambiente in cui è cresciuto e dell’educazione che ha ricevuto.
Entro breve tempo dalla sua comparsa a Ballyglass House, già metà della sgangherata famiglia Osborne – la figlia e la matrigna – ha provato a sedurlo. E lui non ne sembra particolarmente dispiaciuto, anche se non ha colto le occasioni.
Le indagini paiono avvitarsi in una spirale di pettegolezzi che dicono tanto ma non provano nulla. Soprattutto per quanto riguarda le inclinazioni personali e il passato di padre Lawless. Strafford sarebbe incline a cedere alle pressioni di Mc Quaid se durante un controllo di routine, non sparisse il suo assistente, il giovane sergente Jenkins. Un po’ sgradevole nei modi e nell’aspetto, Jenkins è però pieno di senso del dovere. Strafford se ne sente quindi responsabile.
Non un puro giallo
Delitto d’inverno, del giallo, ha solo la confezione, perché in realtà il lettore attento capirà già verso la metà del libro dove puntano i pochi indizi disponibili per identificare l’assassino di padre Lawless. Né si può dire che la ricostruzione delle indagini porterà a qualche deduzione geniale da parte di Strafford nel risolvere il mistero.
Questa però è una visione riduttiva di un romanzo in cui gli eventi della trama servono soprattutto a far muovere i personaggi e a rivelare la loro natura nascosta. Il clima chiuso e ipocrita di una provincia dominata da una Chiesa di affaristi cui non importa nulla di fede, speranza o carità pervade ogni anfratto in cui lo sguardo arriva a penetrare.
Il peso del retaggio di un passato ancora più bieco, dai sanguinosi ricordi della guerra civile agli echi delle spaventose violenze subite dagli ospiti delle istituzioni religiose, appare un humus ideale per far maturare atroci vendette. Così quelli che sembrano inizialmente personaggi quasi per nulla significativi, man mano che si va avanti, rivelano dolori passati mai sopiti. A volte ricoperti da un pesante strato di rassegnazione ma più spesso pronti ad esplodere.
Delitto d’inverno non va letto come un puro giallo, ma come un romanzo in senso stretto, con in più una trama che gli conferisce un ritmo decisamente più incalzante di quello che si avrebbe se i personaggi non fossero spinti a muoversi dalle circostanze criminali.