Facciamo tutti parte della Storia. Consapevoli o meno di essere testimoni di avvenimenti in grado di cambiare il corso degli eventi futuri. Ne L’oste dell’ultima ora, Valerio Massimo Manfredi ci porta a riflettere sul nostro ruolo nel mondo, attraverso un racconto sulla vita di un umile oste. Colui che servì il vino alle nozze di Cana.
Ne L’oste dell’ultima ora, Valerio Massimo Manfredi fantastica sulla biografia di Baruch Ben Gad, un uomo in cerca di sé stesso e della sua strada nella vita. Il racconto scorre in maniera fluida, con uno stile semplice ma denso di riferimenti che spaziano dalla storia, all’arte, alla geografia, alle abitudini di vita dei popoli antichi.
D’altro canto, Manfredi ci ha abituati ai suoi racconti densi di riferimenti interdisciplinari. Forse anche per questo, i suoi libri sono letti e tradotti in tutto il mondo, in milioni di copie.
Un uomo in cerca di sé stesso
Figlio di contadini senza terra, Baruch lascia la Galilea, occupata dall’Impero Romano. Dopo aver lavorato come falegname, marinaio, taglialegna, l’uomo accumula un piccolo capitale ed inizia a fantasticare di mettersi in proprio. Si addentra quindi nei territori della Samaria in cerca di lavoro, imbattendosi in uomini buoni che lo aiuteranno indicandogli la via. Raggiunto il cuore del territorio scoprirà un terreno collinoso, meravigliosamente coltivato a vigna.
Il vignaiolo Eleazar gli aprirà la porta di casa e del suo cuore, ancora una volta superando il cliché dell’inimicizia fra i due popoli. Proprio in mezzo ai samaritani, che tutti aborrivano in terra di Israele, Gad conoscerà il segreto della produzione di un vino eccezionale.
Il vino entra prepotentemente nella storia e diventa il mezzo attraverso il quale i rapporti umani si consolidano, i commerci fioriscono, le anime si consolano e si compiono i miracoli.
Nonostante l’amicizia ed il lavoro procedano perfettamente in Samaria, Baruch sente il bisogno di tornare in Israele e riscattarsi socialmente.
Con il denaro accumulato e una grande idea imprenditoriale, apre dunque un fiorente commercio di vino. E presto, l’oste ottiene la grande occasione, la commessa della vita, la possibilità di servire il proprio vino in un importante banchetto di nozze che darà visibilità e lustro alla sua attività commerciale.
I promessi sposi, infatti, sono rampolli di importanti famiglie. La riuscita del banchetto dipenderà notevolmente dalla soddisfazione dei commensali.
Un soprannome… profetico
Una sera, poco prima della chiusura, nella bottega del vino entrano degli uomini, sono i seguaci del Nazareno, ma l’oste ancora non lo sa. Li riconoscerà qualche tempo dopo, nel corso del banchetto. Saranno proprio loro a dargli un soprannome: l’oste dell’ultima ora.
Si giunge così al giorno delle nozze, narrate da dietro le quinte delle cantine. Capiamo dallo sguardo preoccupato dell’oste, che si accorge con sorpresa di aver errato il computo del vino necessario a dissetare tutti gli invitati. L’errore di Baruch permetterà al predicatore di Galilea di compiere il suo primo miracolo.
La trasformazione dell’acqua in vino, salverà il banchetto… e anche la reputazione dell’oste.
Baruch incontrerà di nuovo i discepoli del predicatore, poco prima della Pasqua. Gli fornirà ancora del vino, ma per una cena di tutt’altro tenore, vestendo letteralmente i panni dell’ultimo oste.
In questo racconto mancano le donne. O meglio, si muovono solo sullo sfondo della storia. Classificate come meretrici o schiave, servono gli uomini in silenzio e poi se ne vanno a morire da sole come animali. Oppure sono tabernacoli di grazia e bellezza come la Madre del predicatore e la bella sposa di Cana.
Servire vino all’Uomo che cambierà il mondo
Ci aspetteremmo, dopo il miracolo, che l’oste cada in ginocchio riconoscendo la grandezza dell’accaduto. In realtà in questa parte conclusiva Valerio Massimo Manfredi insinua nella nostra mente il quesito cardine del racconto.
Noi uomini siamo consapevoli di essere testimoni di importanti momenti, con personaggi in grado di cambiare il futuro? In poche parole, abbiamo coscienza di essere parte della Storia?
La Storia che è fatta da grandi personaggi come da gente umile. Dai grandi eventi come dai piccoli accadimenti quotidiani. Questo fa riflettere.
Quale vino fu servito alle nozze di Cana?
Sarebbe bello scoprirlo! Purtroppo, la storia del vino in questa parte del mondo si è interrotta per un periodo talmente lungo da renderne difficile l’identificazione. Nonostante la viticoltura affondi le proprie radici storiche nel Medio Oriente, i millenni di dominazione islamica hanno portato alla scomparsa degli antichi vitigni.
In sostanza la viticoltura in Samaria e Giudea è, allo stesso tempo, fra le più antiche e le più giovani al mondo.
Attualmente in Israele si coltivano, dunque, vitigni internazionali come Barbera, Sangiovese e Nebbiolo, Cabernet, Merlot, Syrah, Sauvignon e Chardonnay.
Unico vitigno considerato oggi autoctono, l’Argaman, è, in realtà, derivante anch’esso da cloni europei.
Le alture del Golan, l’alta Galilea e l’area di Gerusalemme sono le zone più vocate alla coltivazione della vite.
Molti dei vini prodotti in Israele sono Kosher
Il vino Kosher viene prodotto seguendo le leggi della Kasherut. Ossia l’insieme di regole rispettose dei precetti della religione ebraica.
Per la coltivazione della vite si devono rispettare tre grandi regole: non vendemmiare nei primi tre anni di vita della pianta, lasciare a riposo la pianta ogni sette anni, non coltivare altre piante fra i filari.
Inoltre, tutte le fasi di vinificazione vanno controllate e certificate da addetti specializzati, di religione ebraica.
Lo stile di produzione dei vini in Israele, strizza l’occhio al mercato americano e si ispira allo stile californiano. La qualità sta crescendo molto anche qui e la nascita di numerose boutique wineries fondate da giovani imprenditori testimonia un mercato in forte espansione.
Degustare un Nebbiolo proveniente da questa parte del mondo potrebbe essere un’esperienza molto interessante per noi italiani. Accompagnandoci nelle fredde serate d’inverno, magari leggendo un bel romanzo storico.