Non capita spesso di terminare un libro ed avere voglia di rileggerlo immediatamente. Tanto più se si tratta di un saggio storico. Roma, Romae Una Capitale in Età moderna, di Marina Formica, scorre eventi e dinamiche della storia della Città Eterna in circa cinque secoli.
Roma Romae Una capitale in Età moderna è un saggio che riesce ad essere avvincente nonostante gli innumerevoli personaggi storici, soprattutto Papi, che lo popolano. Permette di viaggiare nel passato di una città unica – cosmopolita per storia e plurale per natura – in grado di trovare risorse inaspettate ad ogni periodo di crisi. Altro pregio di questo libro è che può interessare gli appassionati di Storia, quanto i lettori non specialisti.
L’intento di Marina Formica, docente di storia moderna all’Università di Tor Vergata, è proporre una rilettura della storia che, seppur nota, costituisce una “foresta culturale pietrificata” da ricontestualizzare.
Offre inoltre uno spunto di riflessione per la comprensione di dinamiche sociopolitiche attuali e per poter immaginare la città del futuro.
Il Papa, un sovrano inimitabile
Per scelta dell’autrice, il saggio inizia nel 1300, un secolo prima del convenzionale inizio dell’Era moderna. La sua scelta si deve al fatto che il 1300 è l’anno che inaugura la pratica del Giubileo. È in questo momento che Roma, subordinata da secoli a Bisanzio, rialza la testa e può farlo visto che possiede una risorsa unica e inimitabile: il Papa.
Un sovrano diverso dagli altri, che estende il potere non solo sulla vita economica e sociale dei sudditi, ma anche sul loro destino ultraterreno.
Abbandonata a sé stessa nel periodo della cattività Avignonese, afflitta da pestilenze, carestie e lotte interne, in una successione incalzante di Papi e Antipapi, l’Urbe inizia a desiderare una nuova identità.
“Romano lo volemo o almanco italiano”.
Gridano i sudditi, spesso delusi dai Papi stranieri. Tuttavia proprio i Papi stranieri, cooptando consanguinei e compatrioti, favoriscono la dinamicità sociale e di costume, fondando la natura pluralista della città. Infatti, ad ogni nuova elezione al soglio di San Pietro, la città muta in tutti i campi del vivere sociale e culturale. Dalla gastronomia, alla moda, alla lingua romanesca che si contraddistingue come intonazione parlata, più che vero e proprio idioma. D’altro canto sarà proprio questo turnover ad alimentare il secolare problema della mancanza di continuità politica.
Roma, la sanità, l’immondizia e le tasse
Se la pandemia di Covid-19 e le condizioni di pulizia delle strade di oggi vi sembrano insostenibili, non potete immaginare cosa succedeva a quel tempo. La città era colpita dalla malaria, la peste bubbonica, la sifilide e da altri morbi contagiosi. Era scossa dalle ribellioni delle famiglie nobili romane, offesa dal saccheggio dei lanzichenecchi, piegata da carestie e alluvioni. La città-stato fu inoltre chiamata ad affrontare la pressione dell’Impero e dell’Islam, la scissione protestante e lo scisma anglicano.
Ma, sorprendentemente, nonostante le innumerevoli difficoltà, Roma è sempre stata in grado di risorgere e rinnovarsi.
I Papi, che coniugavano il potere temporale con quello spirituale, da un lato arricchirono la città, dall’altro la depauperarono. Infatti svuotavano le riserve auree di Castel Sant’Angelo, per poi ricorrere spesso a misure economiche draconiane per rimpinzarle.
Così le pasquinate – le satire contro i papi e la Curia – si sprecavano. La popolazione si lamentava, qualche volta si sollevava e infine gioiva platealmente alla dipartita di ogni sovrano.
“Mejo ‘n morto drento casa, cche ‘n marchisciano fori ’a porta”.
I detti popolari romani non nascevano mai a caso. Questo motto, tuttora in uso, non cela una avversione xenofoba, quanto il risentimento dei cittadini romani verso alcune politiche economiche promosse da Sisto V. Marchigiano di origine, Sisto V era molto impopolare per l’aumento dei tributi sulla carne e sul vino, la famosa “tassa della fojetta” che obbligava a pagare un quattrino per ogni mezzo litro di vino.
Una società in contraddizione tra mecenatismo e inquisizione
Roma Romae Una capitale in Età moderna ci offre uno spaccato di vita romana pullulante di plebe e maestranze, prelati e prostitute. L’intera popolazione poteva godere di attrazioni di ogni genere, spettacoli di marionette e carri, zingarate e cantastorie ma anche esecuzioni capitali pubbliche.
Fu a Campo de’ fiori che, nel 1600, in una Roma ancora scossa dalla decapitazione di Beatrice Cenci, il papa Clemente VIII mandò a morte Giordano Bruno. Proprio in quell’anno, mentre il sangue scorreva su trenta patiboli, si aprì il giubileo sul tema del perdono.
Dunque, alle arti e alle speculazioni intellettuali facevano da contraltare le pratiche del Sant’ Uffizio e della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti.
Tuttavia, questa era anche la Roma del Grand Tour, meta imperdibile per i rampolli dell’aristocrazia delle corti di mezza Europa, che vi giungevano in massa a respirare la storia e la civiltà.
Città di meraviglie, di marmo e di sangue
Mentre tentava di assurgere a città-santa universale, in realtà tanto santa Roma non era. Si trattava invece di una città violenta, composta da artisti e popolani, da soldati e straccioni. Da prostitute e cortigiane, alcune delle quali famosissime e rispettate, che prestavano addirittura il volto alle sante caravaggesche.
Con l’avvento dei papi Barberini, Pamphili, Chigi, che saranno disposti a incentivare artisti del calibro di Bernini, Van Dyck, Rubens, Borromini, Pietro da Cortona, si dette vita alla massima espressione delle arti. La Roma che vediamo oggi, quando passeggiamo nelle belle piazze e strade del centro, la dobbiamo proprio ai Papi del Cinquecento e del Seicento.
Capitale di un nuovo Stato
Nel Settecento, mentre la Francia era squassata dalla Rivoluzione e nuovi pericolosi ideali si diffondevano in tutta Europa, a Roma il numero di cospirazioni ordite contro il potere temporale del Papa si moltiplicò. Non si lottava più per il pane o contro le tasse, ma per cambiare la forma di governo.
La caccia al francese divenne costume, ma non impedì l’occupazione napoleonica che culminò con la proclamazione della Repubblica Romana del 1798.
L’Ottocento si aprì dunque sotto il dominio francese con il Papa in esilio. Ma lungi dall’essere una città indolente e statica, come spesso viene rappresentata, la città si rinnovò e si laicizzò. Alla conclusione del capitolo Napoleonico sembrò tornare sui suoi passi, ma ormai aveva avuto il ruolo di Capitale senza il suo Papa, e nessuno lo dimenticherà.
A tavola con il Papa e il primo sommelier della Storia
Tra i tanti estimatori della “sacra bevanda” spicca Papa Paolo III Farnese (a.p. 1534-1539). Al suo servizio c’era Sante Lancerio, che è considerato il primo sommelier della storia. Autore di scritti sul vino nei quali descrive tecniche di degustazione e di abbinamento, metodi di conservazione, qualità e provenienze. Alcuni concetti sono tuttora validi, altri un po’ meno come la sua visione “classista” della bevuta: ci sono vini che per il loro valore sono destinati solo a determinate categorie sociali.
E qual era il vino per palati raffinati? Il ligure Rossese.
Il Rossese di Dolceacqua: un vino DOC, da coltivazione eroica
Se si parla di “coltivazione eroica” è perché la viticoltura ligure si svolge, oggi come allora, in condizioni estreme, su vigneti terrazzati a picco sul mare. Il Rossese è un vino ottenuto da una uva di colore rosso intenso al quale deve il suo nome. Si tratta di una varietà di uva a maturazione tardiva, complicata da gestire nelle concitate fasi della vendemmia. Il risultato, quindi, varia moltissimo di stagione in stagione.
Il Rossese è un vino vibrante, profumato di rosa e viola, carico di sentori marini e macchia mediterranea. Ci avvolge con i profumi fruttati di fragola e ribes, con note muschiate di erbe officinali. Naturalmente è vivace di tannini, spesso bilanciati dalla morbidezza avvolgente e la spiccata freschezza, che ne fanno un vino equilibrato, piacevolissimo. È ideale per accompagnare un antipasto di terra, risotti, oppure una zuppa di pesce.
È un vino che evoca un passato di papi e imperatori e berlo significa avere un bicchiere di storia fra le mani.
La scrittrice Marina Formica, mi ha fatto scoprire alcune cose della misteriosa Roma.
Come sempre questa città ci meraviglia, anche se crediamo di aver visto e letto tutto.
Interessante libro.