C’era una volta una bellissima principessa fanciulla dagli occhi blu.
C’era altresì, la stessa volta, un bel principe azzurro forte e intelligente e simpatico e pure ricco.
La splendida principessa fanciulla aspettava il suo principe azzurro.
Il bel principe azzurro sul suo cavallo bianco si mise alla ricerca degli occhi blu che tanto aveva sognato.
Poi cadde di cavallo e si spezzò il collo.
Soffrì molto prima di morire.
Se lo mangiarono i lupi.
FINEI suoi resti non furono ritrovati.
Cosa ce ne facciamo di un’esistenza vissuta col muso lungo?
Meglio provare a navigare attraverso le acque agitate dei giorni che ci appartengono con leggerezza.
Non con superficialità, ma con leggerezza ed allegria sì.
L’importante è saper ridere, anche senza lieto fine.
Come si evince dalla Fiaba del principe e della principessa riportata sopra. E’ questo che ci suggerisce Guido Catalano che dice: puntiamo almeno ad un dignitoso…
E vissero, per un po’, abbastanza felici e contenti.
Poeta e performer, Guido Catalano (di cui qui trovate una bellissima intervista) è nato a Torino nel 1971 e da anni porta i suoi libri in giro per i teatri e le città d’Italia.
Ha già pubblicato D’amore si muore ma io no (2016), Ogni volta che mi baci muore un nazista (2017), Tu che non sei romantica e Poesie al megafono (2019) e infine quest’anno Fiabe per adulti consenzienti.
Fiabe per adulti consenzienti
Il libro contiene delle splendide illustrazioni realizzate da Marco Cazzato, anche lui torinese, già noto per le sue collaborazioni con Linus, La Stampa e Il Corriere della sera.
Noi cresciamo con le favole. Su questo argomento esiste una letteratura sterminata. Si va da Propp e la sua Morfologia della fiaba, che ne analizza minuziosamente la struttura, a Carl Gustav Jung che le ha dato un valore fondamentale nella propria teoria psicanalitica.
Secondo Jung, le fiabe riflettono e svelano i processi dell’inconscio collettivo poiché, attraverso il ripetersi – in spazi e tempi distanti – degli stessi temi e motivi, mostrano l’emergere dell’archetipo (tema universale della psiche, comune a tutte le culture).
In ogni comunità umana il racconto di fiabe rivolto ai più piccoli, costituisce uno strumento pedagogico potente, in quanto i messaggi che veicola assumono funzione di addestramento per la vita.
Calvino si riferisce alla favola addirittura come ad una “spiegazione generale della vita nata in tempi remoti”. Le favole per lui costituiscono:
Il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna.
Un catalogo imprevedibile secondo Catalano che sostiene che tutti noi, man mano che gli anni passano, impariamo che:
Un drago può spuntare dal nulla e, quando meno te lo aspetti, mandare il tuo universo a gambe all’aria.
Però non dobbiamo cadere nell’eccessivo sconforto. Come soleva ripetere il mio professore di psicologia sperimentale all’Università: la fine di un mondo, non è la fine del mondo.
Guido Catalano vuole insegnarci che quando orchi e draghi distruggono le nostre certezze, resta una cosa da fare: riderci su.
Le sue fiabe bizzarre e ironiche ci offrono un antidoto alla paura e alla tristezza che ognuno di noi, ogni tanto, patisce. Come nella Fiaba della bambina curiosa:
C’era una volta una bambina che abitava in una casa ai bordi del bosco.
La mamma le diceva sempre: “Non inoltrarti mai nel bosco ché ci sta dentro il Babau coi denti aguzzi e gli occhi di fuoco che ti mangia”.
Lei però, che era una bambina razionalista, non credeva mica nel Babau.
Un giorno, mentre sua mamma era a far la spesa, la bambina si inoltrò nel bosco.
Il Babau c’era.
FINE
Nell’introduzione a Fiabe per adulti consenzienti, l’autore ci augura di fare un buon viaggio leggendo le sue favole, pure se spesso non hanno un lieto fine.
Non per mancanza di ottimismo, ma per iperrealismo fiabesco, dice lui.
Catalano dà voce attraverso le sue fiabe ad una realtà molto rumorosa.
Un libro che esorcizza lo sconforto
Forse non è possibile vivere per sempre felici e contenti, ma se manteniamo la capacità di ridere anche nella disgrazia, potremmo essere fra quelle persone meravigliose che sanno essere felici, almeno per un po’ di tempo, ogni giorno tutti i giorni.