Quando scrive Matsumoto Seicho, si legge una narrativa di altissimo livello che costringere a forza nel pur capiente e comodo recinto del “giallo” sarebbe comunque riduttivo.
Secondo un’opinione corrente (ne ignoro l’origine, l’ho letta sul blog Da dove sto scrivendo), racconto e romanzo per essere costruiti al meglio devono partire da idee radicalmente diverse: forte quella del racconto, debole quella del romanzo.
Il racconto è forte, il romanzo è debole
Un romanzo può andare avanti anche senza un’idea memorabile e se ne contiene una, il resto può apparire superfluo. Il racconto, invece, senza un’idea memorabile non ha ragione d’essere.
In qualche modo, quindi, è dai racconti che si capisce dove può arrivare l’inventiva di un autore, se ci si mette sul serio.
Nel caso dei racconti gialli, poiché c’è anche un meccanismo da rispettare (molti, in realtà, ma di numero limitato), le idee devono essere forti davvero.
La donna che scriveva Haiku
Dopo tanta attesa, finalmente arriva a disposizione del lettore italiano una scelta di racconti di Matsumoto, con il volume La donna che scriveva Haiku, edito da Mondadori. Sono soltanto sei racconti, di cui uno un po’ più lungo degli altri, ma come assaggio rappresentano qualcosa che non si dimentica facilmente.
Riassumere i racconti significherebbe svelare le “idee forti” che stanno dietro ad ognuno di essi. Ma si può parlare di ciò che c’è dentro senza fornire elementi delle trame.
Matsumoto, quando vuole, è in grado di elaborare e di dipanare enigmi di una complessità tale da mettere in difficoltà il più intuitivo dei lettori, ma il pezzo forte dei suoi romanzi e dei racconti è sempre lo spessore dei suoi personaggi. Personaggi che, in un modo o nell’altro, perfino quando sono innocenti o vittime, hanno sempre qualcosa da nascondere, o si comportano come se ce l’avessero.
La narrativa di Matsumoto ha questo importante requisito in comune con il suo abituale alter ego europeo, Georges Simenon. Nella cornice delle sue storie, ogni elemento sembra perfettamente normale, al limite della banalità, ma tra questi ce n’è sempre uno che rende l’insieme instabile e pericolante. Le radici di tale elemento affondano in un passato sconosciuto, anzi, come si diceva prima, in un passato nascosto.
Come a Simenon, anche a Matsumoto piace rifarsi al principio di Balzac per cui “dietro ogni grande fortuna c’è un crimine”. Perciò, quando in una sua storia ci si imbatte in una persona rispettabile, si può stare quasi certi che tanta rispettabilità sarà solo frutto dell’apparenza.
A volte, comunque, la fortuna si presenta con due facce: perché se conduce alla fama rende facilmente riconoscibili, il che non conviene a chi ha qualcosa da nascondere.
Un segreto da difendere “a qualunque costo”
In ogni caso, a un certo punto, lo sviluppo della vicenda diventa inevitabile: il segreto non deve essere scoperto, dev’essere difeso a qualunque costo. Ed è proprio la formula “a qualunque costo”, che fornisce un ulteriore impulso alla trama.
Se ho qualcosa da nascondere e penso di avere tutto da perdere se verrà scoperto, la mia strategia cambierà drasticamente. Se prima era opportuno che facessi il pesce in barile, ora la mia sola speranza è quella di anticipare le mosse di chi potrebbe smascherarmi.
Sembrano formule semplici ma, applicate alle vicende di delitti, permettono di elaborare una sorprendente quantità di alternative. Perché ogni individuo – ogni personaggio – ha una sua personalità che lo porta a regolarsi in un modo diverso dagli altri, o perché lo trova più efficace, o perché in quella situazione non può fare diversamente.
Matsumoto, come Simenon, sfrutta a fondo le tantissime potenzialità che si aprono in questo modo.
Personaggi viaggiatori
Un elemento tipico dello scrittore, che si ritrova in tutti i suoi romanzi usciti finora in Italiano, è la grande mobilità dei suoi personaggi. Leggendo la narrativa di Matsumoto si ha l’impressione che il Giappone sia un Paese immenso, composto di regioni molto diverse tra loro, nel quale però ci si sposta dappertutto con la massima facilità e rapidità.
Eppure sono sempre storie risalenti agli anni ’50, o tutt’al più agli anni ’60. A noi italiani occorre parecchia fantasia per immaginare spostamenti di centinaia di chilometri in poche ore, anche decenni dopo.
Ma a spostarsi, non sono tutti. A viaggiare in tutte le direzioni (quasi sempre con mezzi pubblici tipo treni o autobus, raramente con l’auto) sono inevitabilmente le persone inquiete: sono quelli che hanno qualcosa da nascondere e quelli che conoscono i segreti dei primi, o che li hanno intuiti e vogliono andare più a fondo.
Per questo, delitti e regolamenti di conti avvengono quasi sempre in posti dove le persone coinvolte non dovrebbero stare, determinando ulteriori grattacapi per chi dovrà investigare sull’accaduto.
Le vicende precipitano sempre verso tragici epiloghi quando chi credeva di avere il controllo della situazione si rende conto di non averlo e, di conseguenza, viene preso dal panico. E’ ovvio che chi commette un delitto in preda al panico lascia fin troppe tracce. Perfino chi si ingegna in ogni modo a farle sparire ne lascia di più perché pretende di strafare. E strafare è il modo più spiccio per tradirsi.
Il miglior racconto giallo mai scritto
Non c’è solo il principio di Balzac che abbiamo citato, a governare le azioni dei personaggi di Matsumoto. Quello vale per il passato, mentre per il presente ce n’è un altro. È enunciato da Thomas Burke in quello che, secondo gli esperti, era (e verosimilmente è ancora) il miglior racconto giallo mai scritto, Le mani di Mr. Ottermole.
Si tratta di un racconto del 1931, in cui un romanziere autore di libri popolari, spiega la psicologia criminale meglio di qualunque trattato di criminologia. Vi è riportato quanto segue: l’uomo perbene, quello che non commetterebbe mai delitti, immagina il criminale arrestato e condannato chiuso in cella a macerarsi nel rimorso. In un certo senso ha ragione, perché è esattamente quello che fa un delinquente durante la sua detenzione. Ma, a differenza di quanto crede il buon uomo, il rimorso non è quello per aver commesso il delitto, bensì quello per essersi fatto scoprire.
Sembra che Burke descriva esattamente i personaggi di Matsumoto. Anche se forse sta semplicemente descrivendo i personaggi di ogni autore di ottimi gialli.
La donna che scriveva Haiku è il secondo libro di Matsumoto che la Mondadori pubblica nella collana del Giallo destinata alle librerie. Visto che il grande giapponese di racconti ne ha scritti davvero tanti, speriamo che questo sia solo l’inizio di una lunga serie.
E già che ne abbiamo parlato, speriamo pure che qualche editore di bocca buona si faccia venire in mente di scoprire anche l’opera narrativa di Thomas Burke.
Le mani di Mr. Ottermole è stato ripubblicato pochi anni fa da Polillo, ma del resto dei suoi racconti è arrivata in Italia solo una selezione pubblicata dall’editore veneziano Sodalizio del Libro nel 1959, con la modesta tiratura di 300 esemplari. Tant’è che oggi è possibile trovarla solo in qualche biblioteca.
Burke è morto nel 1945, i diritti d’autore sono ampiamente liberi. Dunque, signori editori, cosa state aspettando?