Benvenute al Barbizon Hotel

“Oh, è fantastico essere a New York,
soprattutto se alloggiate al Barbizon per sole donne”.

Flapper. Barbizon Hotel. Cronache Letterarie
Flapper dei ruggenti anni Venti

Ci sono dei libri che sembrano chiamarti, come una specie di chimera a cui è impossibile resistere. Il libro Barbizon Hotel. Storia di un hotel per sole donne, di Paulina Bren, è stato uno di quelli.
Racconta la straordinaria storia di questo albergo. Fondato nel 1927 e definitivamente modificato in condominio di lusso ottant’anni dopo, nel 2007, fino al 1981 è stato destinato esclusivamente alle donne, diventando un riferimento iconico per le ragazze americane del XX secolo.

Nato in pieno Proibizionismo, corrispondeva all’esigenza “moderna” delle donne che arrivavano a New York a frotte, in cerca di impiego, fama, soddisfazione professionale e, perché no, di un buon matrimonio e un buon marito.
Il Barbizon Hotel ospitava ragazze nubili che, per meglio dedicarsi alle proprie aspirazioni, volevano quello che per gli uomini era già scontato da tempo. “Residence” con tariffe settimanali, servizio di pulizia quotidiano e una sala da pranzo per non dover cucinare né per sé, né per gli altri.

“Hotel Barbizon, 140 Sessantatreesima Strada Est”.

Certo, non era aperto proprio a tutte, fosse solo perché non era proprio economico. La tariffa settimanale era di 12 dollari, pari a circa 110 euro di oggi. Il target di riferimento del Barbizon erano le giovani WASP, ovvero bianche e benestanti.

C’era bisogno di una lettera di referenze per poterci soggiornare e, soprattutto, bisognava passare l’esame dell’inflessibile direttrice che valutava le ragazze. Dopo averne constatato l’irreprensibilità morale e il bell’aspetto, le classificava in categoria A, B o C a seconda che avessero fino a 28 anni, tra 28 e 35 anni, oltre i 35 anni. Lo so cosa state pensando, ma per il politically correct e il girl power bisogna arrivare perlomeno alla fine degli anni Sessanta.

L’inaffondabile Molly Brown

Molly Brown interpretata da Kathy Bates

Una delle prime ospiti del Barbizon Hotel fu Molly Brown, l’inaffondabile perché era tra le sopravvissute al Titanic, immortalata nell’omonimo film dalla straordinaria Kathy Bates.

Molly Brown era una rappresentante della cosiddetta “donna nuova” dell’ultimo decennio dell’Ottocento, che si era battuta per il voto alle donne e aveva eliminato l’odioso corsetto.
Di decennio in decennio, il Barbizon Hotel ospitò le disinvolte flapper degli anni Venti, le infaticabili impiegate degli anni Quaranta e così via, rappresentando con le sue ospiti l’incarnazione di come, in un determinato momento storico, le donne si facevano strada nel mondo.

Gennaio 1943, Rita Hayworth nella palestra del Barbizon Hotel

La rivista Mademoiselle

Per una particolare sinergia, ben presto il Barbizon divenne l’hotel dove alloggiavano le praticanti della rivista Mademoiselle, punto di riferimento di moda e costume per praticamente tutte le ragazze americane dalla fine degli anni Quaranta fino almeno alla metà degli anni Sessanta. La rivista era nota soprattutto per aver pubblicato articoli di famosi scrittori, come ad esempio Truman Capote, oltre a diversi esponenti della Beat Generation.

Tutte le universitarie anelavano ad essere tra le 20 selezionate, pronte a spiegare le ali nella Grande Mela. Dopo una dura lotta a base di pubblicazioni, racconti, poesie e via creando, erano scelte come praticanti della rivista per il mese di giugno, al seguito delle redattrici.

Nessun uomo può entrare al Barbizon

Chi veniva scelta rinunciava persino alla cerimonia di consegna del diploma, tale era il prestigio di questo tirocinio. Per di più si alloggiava al Barbizon, e questo spesso era l’ago della bilancia a favore delle ragazze, perché tranquillizzava i genitori che la loro figliola non avrebbe corso alcun rischio. Già, perché NESSUN uomo – neanche i padri – poteva accedere alle stanze delle ragazze e questo, tutto sommato, tranquillizzava loro per prime. Nell’hotel c’era la piscina, la palestra, la biblioteca e, passando attraverso un corridoio interno, si poteva andare in tintoria, dal parrucchiere, in libreria, dalla modista, senza neanche dover uscire in strada.

Edie Beale. Barbizon Hotel
Edie Beale. Barbizon Hotel

Tre piani del Barbizon erano invece dedicati alle studentesse della famosa scuola per segretarie di Katie Gibbs, che prevedeva addirittura il coprifuoco e una rigida divisa, con tanto di cappellino obbligatorio.
Poi fu la volta delle modelle della nuova agenzia Ford che, come Mademoiselle, per la prima volta nella storia aveva a capo una donna che tutelava le sue ragazze.

Insomma, dalla fine degli anni Cinquanta, benché non fosse più il solo hotel per sole donne presente a New York, il Barbizon Hotel restava il più ambito e prestigioso, preceduto ormai dalla fama di molte delle ospiti che erano diventate “qualcuno”. Tra tutte Joan Didion, Sylvia Path, Grace Kelly, Liza Minnelli, Joan Crawford e Rita Hayworth. Fino a quando, la lotta per l’emancipazione femminile della fine degli anni Sessanta segnò, paradossalmente, la fine dei gloriosi giorni dell’hotel.

Nel 1956 abbiamo l’arrivo di Barbara Chase, la prima afroamericana scelta da Mademoiselle e, quindi, la prima a varcare la soglia dell’hotel. Mentre nel 1953 era arrivata Sylvia Plath, che già da ragazza era una poetessa talentuosa e che passò tutta la sua breve vita in bilico tra quello che la società si aspettava dalle donne e la sua voglia di libertà e indipendenza (leggi qui per approfondire).

Sylvia Plath
Sylvia Plath

Non solo artiste

Vi troviamo altresì centinaia di ragazze che, pur non talentuose in campo artistico o letterario, cercavano di andare avanti lavorando nei nuovi grattacieli e assaporando, per la prima e forse unica volta, l’agognata libertà.

Moltissime di loro, conclusa l’esperienza newyorkese, sarebbero tornate dal fidanzato per realizzare il sogno preconfezionato della casetta con steccato bianco in periferia, con bambini e automobile inclusi. Ma comunque il soggiorno al Barbizon sarebbe stato uno spartiacque per tutte loro. Sylvia Plath racconterà del suo soggiorno, con tutte le luci ma anche le ombre, al Barbizon, nel romanzo La campana di vetro.

Non erano solo rose e fiori al Barbizon Hotel. La solitudine e la pressione della grande città, per molte ragazze che avevano lasciato la tranquillità della profonda provincia americana, a volte si rivelava fatale. Pare che negli anni si siano suicidate una cinquantina di ragazze, soprattutto di domenica perché, dopo aver passato la serata di sabato, tradizionalmente dedicata alle uscite romantiche, da sole, la disperazione si era fatta insostenibile.

Come in un altro libro di cui vi ho parlato, anche Barbizon hotel è suddiviso in capitoli che potrei definire a sfondo sociologico perché ognuno di essi, narrando le esperienze delle ragazze, ci apre una interessantissima finestra temporale sulla società americana filtrata dalle giovani donne della metà del XX secolo.

Il Barbizon era costoso e il tirocinio di Mademoiselle, se la ragazza non proveniva da una famiglia particolarmente benestante, una volta pagato l’affitto lasciava poco spazio a spese pazze. Per questo una delle facilities più apprezzate dell’hotel, dopo la colazione, era il tè del pomeriggio, aperto e gratuito per tutte le donne residenti.

Spesso le ragazze, con la scusa di una chiacchiera in compagnia, mangiavano abbastanza da non dover cenare, risparmiando così dollari preziosi.
Certamente, tra le varie leccornie, trovavano i Cookies, quanto di più americano esista in termini di biscotti. Grandi, burrosi, alti e pieni di gocce di cioccolato, sono una tentazione a cui, per restare nelle citazioni letterarie, è impossibile resistere.

Chocolate chip cookies

200 gr di zucchero
50 gr di zucchero di canna scuro
100 gr di burro, a temperatura ambiente
1 uovo
½ cucchiaino di bicarbonato di sodio
200 gr di farina
1 pizzico di sale
300 gr di gocce di cioccolato fondente o, visto che ci avviciniamo a Pasqua, l’equivalente di cioccolato a pezzettini

Come prima cosa, mescolate insieme le polveri.
Con una frusta elettrica, sbattete insieme il burro e lo zucchero per circa 5 minuti, fino a farlo diventare spumoso. Incorporare l’uovo, senza montare troppo, dopodiché unite il composto di farina, sale e bicarbonato.

Usando un cucchiaio o, se lo avete, il porzionatore da gelato, posizionate delle palline di circa 4 cm di diametro su una teglia rivestita di carta forno, lasciando qualche centimetro tra l’una e l’altra.
Infornate a 180# per circa 18 minuti. Appena tolti dal forno sono morbidi, aspettate che si intiepidiscano e poi spostateli a raffreddare, con l’aiuto di una spatola, su una gratella.

Simona Chiocca

Simona Chiocca

Napoletana di nascita e romana per scelta, da sempre sono innamorata della cara vecchia Inghilterra. Lavoro nella produzione cinematografica e da che ho memoria sono appassionata di cucina e passo quasi ogni momento libero spignattando e infornando a più non posso. Cinefila e profondamente gattara, vivrei in un autunno perenne con libri e tè.

2 commenti

  1. Gentile Simona Cocca, mi piacciono i tuoi comentari.
    In generale coincido con quello che dici: vedere o leggere un titolo, una foto o un riferente e restrare intrappolata.
    Mi e’ successo con questo tuo articolo, per cio’ e’ inutile dirti che coincido in quasi tutto di quello che dici.
    Sapevo qualcosa su questo specie di internato ma non conoscevo il nome.
    Ricordo che Kim Novak lo frequentava ed era considerata una ragazza perbene.
    Sono fanatica del cinema inglese ed USA, con tutte le verta’ nascoste. Cosa che da piccola non sapevo e volevo essere come loro donne indipendenti sportive e con un pizzico di intellettualità’.
    Possiedo una biblioteca piena di critiche o vite di Hollywood e cinema internazionale e a 5 anni i miei genitori mi portarono a vedere ‘Hamlet’ con Olivier e Jean Simmons.

    Un cordiale saluto.

    Silvia

  2. Gentilissima Silvia, sono molto contenta che i miei articoli ti facciano rivivere alcune sensazioni che provi durante le letture, è il bello della condivisione! Spero di continuare a darti questo tipo di soddisfazione, grazie!

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